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Quesito

Gentile Padre Angelo,
innanzitutto La ringrazio per la chiarezza e la puntualità delle sue risposte: una vera e propria arma di Salvezza!
Volevo avere delucidazioni in merito al concetto di "Piena avvertenza" nel commettere peccato mortale: tale avvertenza presupporrebbe che il soggetto fosse consapevole che il suo gesto costituisce una violazione grave della legge di Dio. La mia domanda è questa: un ateo, cresciuto da genitori atei e dunque mai istruito riguardo al concetto di peccato mortale, non è tecnicamente "immune" dal peccato grave?
Lo so che può sembrare un paradosso ma è un dubbio che non mi riesco a spiegare. Se per esempio qualcuno regolarmente non va a messa la domenica o pecca contro il sesto comandamento, senza che nessuno gli abbia mai spiegato il concetto di perdita della Grazia o di materia grave di peccato, egli non sarebbe tecnicamente giustificato dal peccato mortale?
Mi scuso se sono risultato banale, ma è sinceramente un punto sul quale spesso faccio fatica a ritrovarmi.
Dio la benedica e la assista, donandole ogni felicità in questo Mondo e nell’altro.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
la tua domanda non è affatto banale. Anche altri me l’hanno posta.

1. Una condizione insopprimibile perché si possa parlare di peccato grave e cioè di colpa imputabile ad una persona è proprio la presenza della piena avvertenza della mente.
I teologi distinguono una duplice avvertenza: psicologica e morale.
L’avvertenza psicologica consiste nel rendersi conto delle azioni che si stanno per compiere. Essa è piena quando si è così padroni del proprio atto che in ogni momento si è in grado di comandarlo, sospenderlo, proseguirlo.
L’avvertenza morale consiste nella consapevolezza della bontà o della malizia dell’azione.
La mancanza della piena avvertenza fa sì che un’azione di suo cattiva possa essere in tutto o almeno in parte soggettivamente scusabile.

2. La domanda che tu hai posto mira a discernere la colpevolezza di una persona quando questa, pur essendo pienamente padrona di se stessa (ha pertanto l’avvertenza psicologica), non ha invece quella morale perché finora non era a conoscenza che quella determinata azione costituiva di per sé un peccato grave.
E i casi che tu mi hai portato (la mancata santificazione della domenica e diversi peccati nell’ambito della purezza) ne sono in qualche modo emblematici.

3. Ebbene, proprio i due casi che hai portato offrono lo spunto per distinguere tra precetti morali provenienti dal diritto naturale e precetti cosiddetti positivi, e cioè posti sulla base della legge naturale, ma stabiliti dall’autorità, che può essere divina, ecclesiastica e civile.
Ebbene, se uno non è mai venuto a conoscenza di questi precetti positivi, la loro ignoranza antecedente all’azione o all’omissione scusa.
Ma non è così per i precetti morali di diritto naturale, perché questi sono scritti nel cuore dell’uomo e se ne viene a conoscenza a partire dall’acquisizione dell’uso di ragione.

4. San Tommaso dice che “l’ignoranza non sempre causa involontarietà”.
Infatti “l’ignoranza, direttamente e indirettamente volontaria, non può causare involontarietà” (Somma teologica, I-II, 19, 6).
È come dire che in questo caso vi è colpa, vi è peccato.

5. E precisa: “Chiamo ignoranza direttamente volontaria quella che è perseguita da un atto di volontà; indirettamente volontaria quella dovuta a negligenza; e questo perché uno non vuol sapere quello che è tenuto a sapere” (Ib.).
“Se dunque la ragione o la coscienza è erronea, per un errore direttamente o indirettamente volontario, riguardando cose che uno è tenuto a sapere, tale errore non scusa dal peccato la volontà che segue la ragione o la coscienza erronea.
Se invece si tratta di un errore che produce involontarietà, perché provocato, senza negligenza alcuna, dall’ignoranza di particolari circostanze, allora tale errore della ragione, o della coscienza, scusa la volontà dal peccato” (Ib.).

6. Con un esempio poi illustra la differenza tra le due ignoranze, e cioè tra quella che accusa e quella che scusa:
“Se la coscienza erronea affermasse che un uomo è tenuto ad accostarsi alla moglie di un altro, il volere che si uniformasse a tale ragione sarebbe peccaminoso: poiché questo errore proviene dall’ignoranza della legge di Dio, che siamo tenuti a conoscere.
Se invece uno s’inganna credendo che la donna furtivamente introdotta sia sua moglie, e alle richieste di lei volesse trattarla come tale, questa sua volizione sarebbe scusata dal peccato: poiché questo errore proviene dall’ignoranza delle circostanze, che scusa e causa involontarietà” (Ib.).

7. Orbene, il sesto comandamento che vieta di commettere atti impuri è scritto nel cuore dell’uomo.
È vero che alcune persone non hanno un giudizio corretto su questo punto e considerano lecite azioni che di per sé sono cattive.
Ma questo dipende da responsabilità personali.
Il Concilio Vaticano II afferma infatti che l’ignoranza “è colpevolmente erronea quando l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene, e diventa quasi cieca in seguito all’abitudine al peccato” (Gaudium et spes 16).
A questi pericoli di deformazione della coscienza allude Gesù quando ammonisce: “La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tua tenebra!” (Mt 6,22-23).

8. Sicché opportunamente Giovanni Paolo II ha detto che “non è sufficiente dire: Segui sempre la tua coscienza.
È necessario aggiungere subito e sempre:chiediti se la tua coscienza dice il vero o il falso e cerca instancabilmente di conoscere la verità.
Se non si facesse questa necessaria precisazione, l’uomo rischierebbe di trovare nella sua coscienza una forza distruttrice della sua umanità vera, anziché il luogo santo ove Dio gli rivela il suo bene” (17.8.1983).

9. Come si vede, non è una questione banale, soprattutto se si mettono queste ultime affermazioni di Giovanni Paolo II a confronto con quelle di chi dice che i divorziati risposati che vivono more uxorio possono decidere da se stessi se per loro sia giusto vivere così e accedere ugualmente ai sacramenti.
Bisogna dunque badare bene che la coscienza non diventi una forza distruttrice della propria autentica umanità, anziché il luogo santo ove Dio le rivela il suo bene.

Ti ringrazio per il quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo