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Quesito
Caro p. Angelo, anzitutto un caro saluto!
Stavo riflettendo sulla libertà di coscienza di noi sacerdoti in relazione al magistero.
Un sacerdote che conosco, su una questione specifica di insegnamento morale chiaro della chiesa (concretamente nella sfera della morale sessuale), ritiene in coscienza di non poter essere d’accordo con quanto la Chiesa insegna.
Di fatto questo sacerdote ha la correttezza di non insegnare quanto gli dice la sua coscienza, e quando è richiesto dalla Chiesa di insegnare quanto non condivide tace.
Tale sacerdote afferma di conoscere la dottrina della Chiesa, e di averla approfondita, e che l’approfondimento l’ha portato a dissentire.
Visto che la sua coscienza gli presenta una risposta chiara, sente di non poter disobbedire ad essa.
È concepibile una tale libertà di coscienza?
Grazie dell’attenzione
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. do atto del fatto che il sacerdote di cui parli non si espone a contraddire l’insegnamento della Chiesa.
Questo è un segno manifesto di lealtà nei confronti della Chiesa di cui ha accettato di esserne ministro.
La Sacra Scrittura dice: “Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele” (1 Cor 4,1-2).
2. Tuttavia questo è ancora troppo poco.
Perché al sacerdote si richiede non solo di non contraddire il Magistero, ma anche di annunciarlo, di motivarlo, di farsene persuasore.
Di nuovo la Sacra Scrittura dice: “Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero” (2 Tm 4,2-5).
Ora il sacerdote di cui mi parli “quando è richiesto dalla Chiesa di insegnare quanto non condivide tace”, mentre il suo compito è quello di annunciare e di adempiere il suo ministero.
Come possono le coscienze dei fedeli essere illuminate, formate e corroborate se lui tace?
Penso a quanto dice il Concilio Vaticano II proprio a proposito della sessualità e della castità: “I figli della Chiesa, fondati su questi principi, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina” (GS 51).
3. Questo sacerdote potrebbe dire: ma io non posso andare contro la mia coscienza.
Ebbene, va detto che la coscienza non è maestra infallibile di verità. La coscienza si può sbagliare.
Chi non ha fatto l’esperienza della debolezza delle proprie valutazioni su tante situazioni e su tante persone?
La Sacra Scrittura ci dice: “Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni (cogitationes mortalium timidae, etincertae providentiae nostrae)” (Sap 9,13-14).
Pertanto diventa difficile essere sicuri delle proprie motivazioni se non si viene corroborati da un lume superiore, che abbia la garanzia della verità o se non altro che abbia la garanzia di non insegnare cose sbagliate e contrarie alla Sapienza divina.
Questo è quanto ci viene garantito attraverso il Magistero della Chiesa.
4. Viene fuori dunque la questione: in che modo deve intervenire la proposizione del Magistero della Chiesa nella formazione del giudizio di coscienza?
L’enciclica Humanae vitae ricorda che il giudizio di coscienza “comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all’ordine morale oggettivo, stabilito da Dio, e di cui la retta coscienza è fedele interprete” (HV 10).
Il ruolo della coscienza non è dunque semplicemente quello di essere fedeli a se stessi, ma di essere ‘fedeli interpreti dell’ordine morale oggettivo’.
Essa è chiamata a pronunciare il proprio giudizio alla luce di Dio, “la cui voce risuona nell’intimità propria” (Gaudium et spes,16).
Per questo “nella loro linea di condotta i coniugi cristiani (e molto più i sacerdoti, n.d. r.) siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono essere retti da una coscienza che sia conforme alla legge divina stessa, docili al magistero della Chiesa, che in modo autentico quella legge interpreta alla luce del vangelo” (GS 50).
5. Qui entra in gioco il ruolo del Magistero, che non è quello di interferire nella coscienza, ma di aiutare il credente a scoprire la legge di Dio. Il credente sa che il Magistero della Chiesa “in modo autentico interpreta quella legge alla luce del Vangelo”.
C’è evidente continuità tra la legge divina e il Magistero. La legge divina (la Sacra Scrittura) rende sicuro e credibile il Magistero.
E proprio questa continuità rende privo di senso l’appello alla propria coscienza per obiettare all’insegnamento della Chiesa.
Sicché il cristiano che vuole agire da credente cerca volentieri la luce che deriva da Gesù Cristo. Egli sa che questa luce Cristo gliela dona generosamente attraverso il Vangelo interpretato autorevolmente da coloro che egli stesso ha dotato e garantito col suo spirito di verità.
Per questo la Conferenza episcopale italiana, presentando l’Humanae vitae nel comunicato del 10.9.1968, esortava “ad accogliere con spirito di fede l’insegnamento del Vicario di Cristo” e ricordava che tale insegnamento “è elemento essenziale per la formazione della loro coscienza, perché il loro giudizio responsabile possa risultare conforme al volere di Dio” (n. III).
Ciò significa che qualora vi fosse discrepanza tra il proprio pensiero e l’insegnamento della Chiesa, se si vuole agire da credenti, e cioè da persone che si fidano di Dio e dell’insegnamento della Chiesa da Lui garantito, rinunciano al proprio pensiero, che umilmente devono riconoscere non infallibile, per aderire a quello della Chiesa.
Che cosa significa pensare con il criterio della fede e agire col lume della fede se non fidarsi e abbandonarsi a Dio e alla sua Chiesa?
6. In conclusione mi pare di poter dire che il sacerdote di cui mi parli su un punto che è particolarmente importante per la vita eterna dei fedeli non si comporta secondo la promessa che ha fatto nel giorno della sua ordinazione sacerdotale quando il Vescovo gli ha chiesto: “vuoi adempiere degnamente e sapientemente il ministero della Parola nella Predicazione del Vangelo e nell’insegnamento della Fede Cattolica?”. A questa domanda lui ha risposto: “Sì, lo voglio”.
Agire con il criterio della fede comporta obbedire prima a Dio e al suo insegnamento che a se stessi.
Ti auguro ogni bene per il tuo ministero e ti ricordo volentieri al Signore.
Padre Angelo