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Quesito
1)La superstizione è peccato veniale o ci sono livelli in cui è peccato mortale?
2)La stessa cosa vale per i gesti scaramantici che normalmente si vedono fare da persone comuni?
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. San Tommaso dice che “la superstizione è un vizio che per eccesso è contrario alla religione, non perché nel culto divino offre più di quanto non faccia la vera religione: ma perché offre questo culto, o a chi non deve, o come non si deve” (Somma teologica, II-II, 92, 1).
2. Quando si dà culto a chi non si deve, e cioè al demonio, si tratta sempre di peccato grave.
Appartiene a questa specie di superstizione anche la divinazione, che consiste nel tentativo di predire il futuro o scoprire cose nascoste con mezzi indebiti, e cioè non voluti da Dio, anzi da lui proibiti.
Appartiene a questa specie di superstizione anche l’idolatria, che di fatto consiste nel legare gli eventi che capitano alla presenza di determinati oggetti.
Se uno lo fa con cuore leggero, senza aderirvi, c’è diminuzione di responsabilità e pertanto non commette peccato grave.
Ma se uno ci crede, allora il suo culto a Dio non è vero, perché non si sottomette interamente a Lui, ma agli idoli. E sottomettersi agli idoli, secondo san Paolo, è la stessa cosa che servire i demoni: “Che cosa dunque intendo dire? Che la carne sacrificata agli idoli vale qualcosa? O che un idolo vale qualcosa? No, ma dico che quei sacrifici sono offerti ai demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni” (1 Cor 10,19-20).
3. Quando invece si dà culto a Dio ma non nel modo dovuto è necessario distinguere.
Se il culto a Dio è un falso culto, come nel caso di uno che non è sacerdote ma celebra la Messa o dà l’assoluzione, si tratta sempre di peccato grave.
4. Se invece nel vero culto che si dà a Dio culto si aggiunge qualche cosa di superfluo che non serve alla gloria di Dio ma a soddisfare i gusti o alle vanità degli uomini c’è parvità di materia e si commette peccato veniale perché l’azione non è in se stessa cattiva.
5. Interessante ciò che dice san Tommaso: “Una cosa può dirsi superflua in due modi.
Primo, in senso assoluto. E in tal modo non può esserci del superfluo nel culto divino: poiché l’uomo non può fare nulla che non sia inferiore a quanto deve a Dio.
Secondo, una cosa può essere superflua in rapporto a una data proporzione: cioè perché non è proporzionata al fine. Ora, il fine del culto divino è che l’uomo dia gloria a Dio, e a lui si sottometta con l’anima e col corpo.
Perciò qualunque cosa uno faccia per la gloria di Dio, e allo scopo di sottomettere la propria anima a Dio, nonché il corpo, mediante un freno moderato delle concupiscenze, secondo le leggi di Dio e della Chiesa, e le consuetudini delle persone con le quali convive, non è affatto superfluo nel suo culto divino.
Ma se interviene qualche cosa che per se stessa esuli dalla gloria di Dio, o non serva a condurre l’anima a Dio, o a frenare moderatamente le concupiscenze della carne; oppure sia estranea alle leggi di Dio e della Chiesa, o contraria alla consuetudine comune (che a detta di S. Agostino, "ha valore di legge"), tutto questo è da ritenersi superfluo e superstizioso; poiché, fermandosi a cose esterne, non raggiunge il culto interiore di Dio” (Somma teologica, II-II, 93, 2).
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo