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Quesito

“Sopportare pazientemente le persone moleste” è riferito solo alla sopportazione personale, senza reagire… o anche ad altro?
(Segue un lungo elenco di casi; n.d.r.)


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. la pazienza, come insegna S. Agostino, "è la disposizione che ci fa sopportare i mali con animo sereno", cioè senza i turbamenti della tristezza, "e ci impedisce di abbandonare con l’animo turbato cose che ci fanno raggiungere i beni più grandi" (De patientia, 2).

2. Ci si domanda giustamente: bisogna sempre sopportare il male?
Qui è necessario fare una distinzione tra la disposizione dell’animo e la necessità di attuare la giustizia, che come ricordava Paolo VI è la forma minima dell’amore.
A questo proposito giova ricordare quanto scriveva Pio XI nell’enciclica Divini Redemptoris (contro il comunismo ateo).
In termini molto forti il Papa disse: “La carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia… Una carità che privi l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non è carità, ma un vano nome e una vuota speranza di carità.
Né l’operaio ha bisogno di ricercare come elemosina ciò che a lui tocca per giustizia; né si può tentare di esimersi dai grandi doveri imposti dalla giustizia con piccoli doni di misericordia” (DR 49).
E Pio XII: “Per essere autentica e vera, la carità deve sempre tener conto della giustizia da instaurare e non accontentarsi di mascherare disordini e insufficienze d’una ingiusta condizione” (Lettera al Presidente della Settimana sociale in Francia, 1952).

3. Finché il male è presente ed è ineliminabile è necessario portarlo in maniera virtuosa e meritoria, come ha fatto nostro Signore.

4. Poiché il male è contrario alla volontà di Dio è sempre doveroso fare il possibile per eliminarlo.
Per questo san Tommaso prevedeva la possibilità di fuggire dalla prigione senza commettere alcuna colpa per chi vi fosse stato messo ingiustamente.
E per il medesimo motivo scrive: “si dice che uno è paziente non perché non fugge, ma perché sopporta con onore quanto lo affligge, senza addolorarsi eccessivamente” (Somma teologica, II-II, 136, 4, ad 2).

5. Aggiunge anche che reagire al male non è incompatibile con la pazienza: “Il fatto poi che uno aggredisce chi compie il male, quando ciò si richiede, non è incompatibile con la pazienza; poiché, come dice il Crisostomo, "è cosa lodevole essere pazienti nelle ingiurie fatte a noi: ma sopportare con troppa pazienza le ingiurie fatte a Dio è cosa empia" (In Matteo hom. 5, su 4,10)” (Ib., ad 3).

6. Domandandosi poi se uno sia sempre tenuto a sopportare gli insulti S. Tommaso scrive: “L’obbligo di sopportare le azioni ingiuste è da considerarsi quale disposizione dell’animo, come dice s. Agostino, spiegando quel precetto del Signore: ‘Se uno ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra’, e cioè nel senso che uno deve essere disposto a farlo, se è necessario.
Ma nessuno è tenuto a farlo sempre realmente, perché neppure il Signore lo fece; ma dopo di aver ricevuto uno schiaffo, come narra S. Giovanni, disse: ‘Perché mi percuoti?’ (Gv 18,23). Quindi anche a proposito delle parole offensive, vale lo stesso criterio. Infatti siamo tenuti ad avere l’animo preparato a sopportare gli insulti quando ciò si richiede. Ma in certi casi è necessario respingere le ingiurie, e specialmente per due motivi:
per il bene di chi insulta: cioè per reprimere l’audacia, ossia perché non si osi ripetere codesti atti. Nei Proverbi (26,5) infatti si legge: ‘Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza, affinché non si creda saggio ai suoi occhi’;
per il bene di altre persone, il bene delle quali viene compromesso dagli insulti fatti a noi” (Somma teologica, II-II, 72, 3).
E aggiunge: “Si è tenuti a reprimere l’audacia di chi insulta, ma con la debita moderazione: e cioè per compiere un dovere di carità, e non per la brama del prestigio personale. Di qui le parole dei Proverbi: "Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza, affinché non diventi pari suo anche tu" (Pr 26,4)” (Ib., ad 1).

7. Come vedi, è sempre necessario esaminare secondo quanto richiedono le circostanze, le quali talvolta impongono di reagire e tal’altra – soprattutto quando non si può sfuggire il male oppure non è prudente o non è meritorio reagire – di fare di noi stessi sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” (Rm 12,1).

Con l’augurio di saper sempre discernere queste situazioni, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo