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Quesito

Buon pomeriggio, Padre Angelo,
leggo molto spesso la rubrica degli Amici domenicani e ogni volta rimango meravigliato della profondità e della semplicità con cui lei risponde alle numerose domande che le vengono rivolte e per questo le porgo i miei più sentiti ringraziamenti.
Sono un ragazzo di 21 anni che le ha già scritto qualche tempo fa, ma alcuni dubbi continuano a rimanermi: sono fidanzato da più di un anno con una ragazza alla quale voglio molto bene e insieme seguiamo un percorso che, speriamo, possa condurci un giorno al Matrimonio, un Sacramento che immaginiamo essere meraviglioso proprio come per lei deve essere stato il Sacramento dell’Ordine. Ci teniamo molto, stiamo attenti a non assumere quegli atteggiamenti che possono dispiacere il Nostro Signore e spesso frequentiamo i luoghi di culto insieme, pregando (soprattutto Maria col Rosario).
La domanda che mi tormenta in questo periodo riguarda il contesto in cui i futuri sposi devono essere inseriti per potere accedere al Sacramento del Matrimonio: noi, infatti, siamo ancora studenti universitari e viviamo in case separate e in due città che distano circa una quarantina di chilometri l’una dall’altra, sebbene ci vediamo quasi tutti i giorni salvo imprevisti.
Sapendo anche di tanti giovani nostri coetanei che già si sono sposati, era venuta anche a noi l’idea di volerci sposare prima della fine degli studi che, se andasse tutto bene, sarebbe a cavallo tra il 2015 e il 2016. Quindi non saremmo ancora autonomi e vivremmo per un qualche periodo in case separate.
E’ giusto, mi chiedo, legare un Sacramento come il Matrimonio a una sola questione economica, cioè al solo fatto che non possiamo ancora permetterci una casa perché non abbiamo ancora un lavoro? Se davvero volessimo unirci in questo sacro vincolo, non potremmo data la nostra situazione? Creare una famiglia sarebbe un’impresa colossale: in un periodo di tempo di breve durata (due mesi) dovremmo laurearci, trovare un lavoro, trovare una casa (quindi fare un mutuo in banca, arredarla, sistemarla e quant’altro) e poi sposarci per andare a vivere insieme; è giusto che il Matrimonio, la più importante di queste fasi, che comunque richiedono del tempo e delle forze, finisca per ultimo, come una cosa che va fatta dopo questo, dopo quello e dopo quest’altra cosa ancora? Le chiedo scusa per il linguaggio un po’ mondano, ma non riuscirei a esprimermi meglio, mi perdoni. Magari sono nell’errore più bieco con queste mie convinzioni e, nel caso, seguiremo il suo consiglio senza farci troppi scrupoli. La ringrazio per la pazienza e la buona volontà con cui risponde a tutti noi, le garantisco una preghiera,
Lorenzo


Risposta del sacerdote

Caro Lorenzo,
1. ti ringrazio anzitutto per le parole benevoli che hai avuto per me.
Aristotele (l’antico filosofo greco) diceva che l’onore è più in chi onora che è in chi è onorato (honor magis in honorante quam in horonato), perché manifesta la finezza e la nobiltà d’animo di chi onora.
Fa sempre piacere avere interlocutori cortesi.

2. Vengo adesso al tuo problema, che nello stesso tempo è il problema di molti altri.
In passato le cose stavano diversamente.
In una società agricola il novello sposo non aveva bisogno di lauree, né di avere un lavoro e una casa in proprio.
Né si poneva particolari problemi per arredare la casa perché per lo più, sposandosi, rimaneva in casa ed era già arredata.
Il sostentamento era assicurato dal lavoro di molti, che abitavano insieme.
Gli sposi novelli trovavano già chi faceva da mangiare. La sposa sia aggiungeva al lavoro di altre donne.
Questo era il motivo per cui i nostri vecchi si sposavano presto. La maggioranza delle donne si sposava attorno ai 20 anni. Molte anche prima.
Per maschi il matrimonio avveniva qualche anno dopo.

3. Oggi le cose sono più complicate.
Non viviamo più in una società agricola.
Il sostentamento per la nuova famiglia non è assicurato da nessuno. Vi è anzitutto un affitto da pagare, vi sono poi le bollette con precise scadenze. Soprattutto vi sono delle bocche da sfamare.
Gli sposi novelli oggi non possono contare sulla famiglia di origine senza costituire per loro un notevole aggravio.
Questo richiede che gli sposi siano in grado di mantenersi.
Ma il mantenimento oggi prevede l’acquisizione delle capacità professionali, che si raggiungono in buona parte con una laurea, e poi l’assicurazione di un lavoro stabile, sul quale si possa contare.
I tempi pertanto si allungano.

4. È un bene?
Indubbiamente il progresso è un bene.
È un bene anche l’autonomia dalle rispettive famiglie.
Ma è un bene ritardare all’infinito il matrimonio?
Non c’è il rischio di diventare sempre più insicuri?
Era del tutto sbagliata la proposta di Giovanni Paolo II di rivalutare il ruolo della maternità e di sussidiarlo?
Non potrebbe essere questo un punto d’appoggio per chi intende costituire una famiglia e garantire così futuro alla società?
Sono solo alcune domane e si potrebbe andare molto avanti.
Ma forse senza accorgercene siamo diventati troppo conservatori di un tipo di società che probabilmente non è il migliore né il più umano.
È da tempo che si parla di politica per le famiglie, ma si fa ancora troppo poco per mettere la famiglia al centro della società.
Eppure è solo sulla famiglia che la società può contare per il proprio futuro sotto tutti gli aspetti.

5. In conclusione, caro Lorenzo, i tuoi punti interrogativi sono più che legittimi.
Purtroppo, almeno attualmente, non s’intravede via di soluzione.
Da parte tua continua a vivere secondo Dio il tuo fidanzamento e ad essere impegnato in tutto.
Poggiato sul principio teologico per cui “se uno fa il proprio dovere Dio non gli nega la grazia” (facienti quod in se est, Deus non denegat gratiam) vedrai che il Signore ti verrà incontro in tanti modi e potrai sposarti senza attendere le famose “calende greche”.

Ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo