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Quesito
Gentile Padre Angelo, buonasera.
Mi chiamo Michele, ho svolto attività di catechista per diversi anni nella mia Parrocchia, in provincia di ….
Mi rivolgo a Lei per chiederLe cortesemente un chiarimento su una questione di fede che mi sono posto in questi giorni: se un fedele si avvicina al sacramento della Confessione dopo un attento esame di coscienza e con pentimento sincero, l’assoluzione è pienamente concessa e valida anche se le conseguenze del suo peccato non fossero pienamente cancellate -sul piano della pratica concretezza- per motivi particolari? Mi sono posto questi esempi: una persona sottrae un bene ad un’ altra persona, si pente e confessa il suo peccato, ma non restituisce il bene sottratto semplicemente perché il derubato è uno sconosciuto e sarebbe oggettivamente molto difficile da rintracciare….Oppure: un soggetto afferma il falso su un altro soggetto, danneggiandone la reputazione;, si pente sinceramente e si confessa ma per un senso di vergogna -o per altri motivi – non riesce a dichiarare pubblicamente di avere detto falsità sul conto del danneggiato, non contribuendo quindi a ristorare il suo "status".
Mi chiedo questo anche perché solitamente il sacerdote (o meglio Dio tramite lui) ci assolve senza richiedere ulteriori adempimenti, se non quello della Preghiera e del colloquio sincero con Cristo come "penitenza".
Questi sono alcuni casi che mi sono posto, ma immagino che Lei abbia capito cosa intendo e come nel vivere di tutti i giorni si possano verificare casi analoghi.
Confidando nella Sua cortese risposta, La ringrazio e La ricordo nelle mie preghiere.
Michele
Risposta del sacerdote
Caro Michele,
1. al momento del pentimento ci deve essere il proposito di eliminare le conseguenze del peccato, sopratutto quelle che hanno leso o tolto aglì altri qualche bene.
A proposito del 7 comandamento e dei peccati che toccano la virtù della giustizia si richiede al momento del pentimento la volontà di reintegrare l’altro in quanto gli si è leso o tolto.
Se non c’è questa volontà, non c’è vero pentimento.
2. È per questo che un antico principio della teologia morale suona così: non remittitur peccatum, nisi restituatur ablatum (non viene rimesso il peccato se non viene restituito il maltolto).
Chi non riconosce questo obbligo, non può essere assolto.
3. A volte, nonostante il pentimento, ci si potrà trovare nell’impossibilità di attuare la restituzione.
Questa impossibilità tuttavia deve essere accompagnata dal dispiacere per quanto si è fatto e dalla volontà di poter provvedere prima o poi al risarcimento.
4. Nel caso che risulti impossibile la restituzione perché la persona danneggiata è morta o per altri ragionevoli motivi ci si dovrà ugualmente liberare di quanto non ci appartiene o comunque si cercherà di riparare con preghiere e suffragi il male che si è fatto.
5. Il sacerdote in confessione è tenuto a ricordare questi obblighi al penitente.
6. La penitenza che viene data non è in condono della male fatto, ma per purificare ulteriormente il soggetto da quello che il peccato ha lasciato di disordine nella sua anima.
Anche qui va ricordato che la grazia (la comunione con Dio) non sostituisce le esigenze della giustizia, ma aiuta ad attuarla.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo