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Quesito
Caro Padre Angelo
ultimamente sto molto riflettendo sulla sua risposta alla lettera del 17 giugno 2015 riguardante la notte oscura dei sensi e dello spirito, come vengono descritte da S. Giovanni della Croce.
Avevo l’impressione che queste esperienze di purificazione fossero prevalentemente riservate dal Signore ai religiosi regolari, per via dell’intensita’ dell’esperienza, che mi pare incompatibile con la normale vita attiva dei laici. Fra l’altro, leggendo alcune vite di santi, apprendo che nella vita dei conventi questo genere di esperienze non sono rare mentre non ho mai sentito di un laico che dovesse affrontare queste prove – o almeno non in questa forma.
D’altra parte in alcune conversazioni con un mio parente, che e’ molto vicino alla spiritualita’ dell’Opus Dei, lui mi spiegava come fosse proprio del carisma di questa associazione la santificazione dei laici per mezzo del lavoro normale e quotidiano, fatto bene e scrupolosamente in offerta a Dio. Questa mio parente sottolineava come la santita’ "laica" raggiunta per mezzo del lavoro non fosse in nulla inferiore a quella raggiungibile nello stato religioso.
Io faccio un po’ di fatica ad immaginare che la santificazione di un laico, per esempio di un impiegato che si sforza di lavorare bene e senza errori e di essere un buon padre e marito possa essere considerata da Dio alla stregua della santificazione di una monaca clarissa di clausura, che si e’ votata a Lui in modo integrale, assoluto e definitivo. E questo anche spiegherebbe perche’ certe vette mistiche siano raggiungibili molto piu’ facilmente fra i muri della clausura che fra quelli dell’ufficio o della casa.
Naturalmente, guardando alle nobilissime iniziative portate avanti da alcuni laici in campo sociale o politico e culturale (penso ai centri di aiuto alla vita per esempio), e’ ovvio che la santificazione di un laico sia raggiungibile. Ma in primo luogo lo spirito stesso di queste iniziative richiede una immersione nel mondo che distrae, annega in un mare di attivita’ necessarie che hanno un nobile fine ma che assorbono in modo notevole l’attenzione, le energie e l’intelligenza. E in secondo luogo, sono comunque pochissimi i laici che si impegnano profondamente in questo senso, e mai senza opportune pause di preghiera e adorazione; mentre con varie modalita’ tutti i religiosi sono tenuti a dedicare ogni loro tempo ed energia a Dio, direttamente o per mezzo dell’aiuto al prossimo (se poi lo facciano o meno e’ un altro discorso), senza necessariamente mescolarsi alle cose del mondo.
Insomma, dal punto di vista soprannaturale mi pare che, mediamente parlando, la condizione religiosa potenzialmente permetta una santificazione piu’ perfetta e completa. Mi farebbe molto piacere un suo commento su questo punto…
La saluto e la ringrazio cordialmente per l’inestimabile servizio che rende al popolo di Dio. La ricordero’ oggi davanti al SS. Sacramento
Andrea
Risposta del sacerdote
Caro Andrea,
rispondo volentieri alla tua mail che mi permette di chiarire un equivoco nel quale non pochi cadono.
1. È vero che la santità, in quanto vita di unione con Dio, è la stessa per tutti.
Ci sono strade diverse e anche forme diverse di santità.
Ma la sostanza è la stessa: si tratta di vivere la vita di Dio dentro di noi e di essere una sola cosa con Lui.
2. Le vie sono diverse: c’è la via della famiglia, la via del lavoro, la via della sofferenza, la via dell’apostolato, la via del sacerdozio, dell’insegnamento, del servizio alla società, ecc…
Tutti sono chiamati alla santità.
Dio non fa preferenze per alcuno: ci vuole tutti perfettamente contenti e gioiosi. La santità infatti consiste in una pienezza di vita.
Per questo ho detto che Dio ci vuole perfettamente contenti.
3. Anche le forme di santità sono diverse.
Proprio perché diverse sono le vie non si può chiedere ad una madre o a un padre di famiglia di vivere come un certosino.
San Tommaso ricordando che la santità consiste nell’unione con Dio, dice che si sta uniti a Dio in maniera diversa a seconda dei singoli stati di vita.
Premesso che la santità consiste nella carità perfetta, dice che essa si realizza sostanzialmente in forme o modi:
Il primo è quello di coloro il cui cuore “è continuamente concentrato in Dio.
E questa è la perfezione che la carità raggiunge nella patria e che non è possibile in questa vita per la fragilità umana, che non permette di pensare continuamente a Dio e di amarlo senza interruzioni” (Somma teologica,II-II, 24, 8).
Il secondo è quello di chi “impiega ogni sua capacità nel tendere a Dio e alle cose divine, dimenticando tutto il resto, per quanto glielo permettono le necessità della vita presente.
E questa è la perfezione della carità possibile in questa vita, sebbene non si realizzi in tutti coloro che possiedono la carità” (Ib.).
È la forma tipica dei monaci, dei religiosi, dei contemplativi.
Il terzo è quello di chi “mette abitualmente tutto il suo cuore in Dio in modo che non pensa a nulla che sia contrario all’amore divino.
E questa è la perfezione comune fra coloro che vivono nella carità” (Ib.).
È la forma comune cui sono chiamati in genere i laici.
Penso in questo momento a Pier Giorgio Frassati. Non era un contemplativo come un monaco, perché doveva fissare la propria attenzione sugli studi che faceva, sugli esami che doveva sostenere, sulle varie iniziative che portava avanti. Non poteva pensare continuamente alle cose di Dio come un monaco.
Ma la sua anima era pronta a rimuovere tutto ciò che era contrario al Signore e alla sua volontà.
Questa è la santità alla quale sono chiamati gli uomini nello svolgimento del loro lavoro e della loro vita professionale.
4. Sotto questo aspetto non vi sono santità di serie a o di serie b.
Si tratta sempre di “perfezione”, come dice san Tommaso, sebbene raggiunta con modalità diverse.
5. Detto questo bisogna aggiungere un’altra cosa ed è relativa a quella tua istintiva ed esatta percezione per cui dici: “Insomma, dal punto di vista soprannaturale mi pare che, mediamente parlando, la condizione religiosa potenzialmente permetta una santificazione piu’ perfetta e completa”
Questo mi offre l’opportunità di ricordare la dottrina del Vaticano II sulla eccellenza della verginità consacrata rispetto al matrimonio, perché chi sceglie questo stato vuole imitare Cristo più da vicino, intraprendendo lo stesso stile di vita che Cristo ha assunto con la sua incarnazione.
6. È fuori dubbio allora che il percorso della consacrazione aiuta a non essere distratti da tante cose che invece possono distrarre coloro che vivono nel mondo.
Certo, si può essere Santi e grandi Santi anche come santa Gianna Beretta Molla, che era sposata e madre di famiglia, come i santi coniugi Luisa Guerin e Luigi Martin genitori di santa Teresa di Lisieux, oppure persone che pur non essendo sposate sono rimaste nel secolo come san Giuseppe Moscati.
San Tommaso ricorda che “Abramo, pur essendo sposato e pur facendo uso delle sue ricchezze, era perfetto davanti a Dio” (Quodlibetales 4, a. 24, a. 4).
Precisa però che “Abramo possedeva una virtù così perfetta che né il possesso dei beni temporali né l’uso del matrimonio distoglieva la sua anima dal perfetto amore di Dio.
Ma, se chi è privo di tale virtù pretendesse di raggiungere la perfezione pur usando delle ricchezze e del matrimonio, peccherebbe di presunzione e di errore, perché non terrebbe conto dei consigli del Signore” (De perfectione vitae spiritualis, c. 8) che invita a lasciare tutto e a seguirlo (Mt 19,21)” (Ib.).
7. Sempre secondo San Tommaso “l’osservanza perfetta dei precetti quanto agli atti interiori è di gran lunga più difficile.
Perché è più arduo disfarsi delle cupidigie dell’anima che non di ciò che si possiede” (Ib.).
Il cuore dell’uomo infatti è malato e facilmente si attacca in maniera malsana ai beni di questo mondo correndo il rischio di farne un sostituto di Dio.
Per questo Gesù ha dato dei consigli che sono dei mezzi che permettono di stare più uniti a Lui che alle sue benedizioni.
Secondo San Tommaso con la pratica dei consigli si sta uniti a Dio “più facilmente” (“facilius”) più sicuramente (“securius”, “tutius”), “più rapidamente” (“expeditius”).
8. Il Concilio Vaticano II esprime i medesimi concetti e la stessa terminologia quando parla di coloro che “seguono più da vicino l’annientamento del Salvatore e più chiaramente lo mostrano, abbracciando, nella libertà dei figli di Dio, la povertà e rinunziando alla propria volontà” (Lumen Gentium 42) e “vogliono imitarlo più da vicino” (Perfectae caritatis 1).
9. Nel decreto sulla formazione sacerdotale il Concilio, dopo aver chiesto che gli alunni dei seminari siano adeguatamente informati sulla dignità del matrimonio cristiano, immagine dell’amore di Cristo per la Chiesa, aggiunge: “ma sappiano comprendere la superiorità (praecellentiam) della verginità consacrata a Cristo” (Optatam totius 10).
D’altra parte è facile comprendere che se la vita consacrata non desse alcun aiuto in più per agevolare la santificazione non varrebbe la pena di rinunciare a possedere, a sposarsi, a spogliarsi della propria volontà.
10. Questo è il medesimo sentire dei Santi Padri i quali dicevano con S. Ambrogio: “Il matrimonio è un bene, ma la verginità è più eccellente. Non dissuado dalle nozze, ma enumero i vantaggi della verginità. Confronto bene con bene, affinché appaia quello che è più eccellente” (De virginibus, 17).
E con S. Girolamo: “Tra le nozze e la verginità corre la medesima differenza che passa tra il bene e il meglio” (Contra Jovinianum, I, 13)
E con S. Agostino: “Per diritto divino la continenza è superiore alla vita coniugale e la verginità cristiana al matrimonio. Il matrimonio non uguaglia in bontà la continenza delle vergini” (De sancta virginitate, 1, 19.).
11. Sicché il Concilio di Trento poi ha affermato in termini dogmatici: “Se qualcuno dice che lo stato coniugale deve essere anteposto allo stato di verginità o di celibato, e che non è migliore e più felice cosa (“melius ac beatius”) rimanere nello stato di verginità o di celibato piuttosto che contrarre matrimonio, sia anatema” (sess. 24,10, DS 1810).
E Pio XII, nell’enciclica Sacra virginitas (1954): “La dottrina che stabilisce l’eccellenza e la superiorità della verginità sul matrimonio, come già dicemmo, annunciata dal Divin Redentore e dall’Apostolo delle genti, fu solennemente definita dogma di fede nel concilio di Trento e sempre concordemente insegnata dai Santi Padri e dai Dottori della Chiesa.
I nostri predecessori e noi stessi, ogni qual volta se ne presentava l’occasione, l’abbiamo più e più volte spiegata e vivamente inculcata. Tuttavia poiché di recente vi sono stati alcuni che hanno impugnato con serio pericolo e danno dei fedeli questa dottrina tramandataci dalla Chiesa, noi, spinti dall’obbligo del nostro ufficio, abbiamo creduto opportuno nuovamente esporla con questa Enciclica indicando gli errori proposti spesso sotto apparenza di verità”.
Ecco dunque chiarita la questione.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo