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Quesito
Salve Padre Angelo,
avrei una domanda da farle…
È da un po’ che mi sono appassionato ad una figura per me molto improntate (dai tempi del catechismo) e ho visto che lei ne ha già reso omaggio in un’altra domanda esposta da un altro utente, cioè Averroè.
Ho visto che una buona parte di persone (importanti e non) sono contrarie alle sue teorie e denominandolo con appellativo non molto consono.
Io purtroppo non ne so molto. Ho cercato anche di approcciarmi e informarmi di più su esso. È male accolto forse perché non ha avuto fede nel convertirsi in Cristiano?
Grazie ancora.
ps. Ho 18 anni
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. Averroè è stato uno dei più grandi esponenti dell’islam in sede filosofica.
Nacque a Cordova in Spagna nel secolo 12º.
La sua attività è stata poliedrica.
All’interno della storia della filosofia è importante perché ha introdotto Aristotele nel pensiero occidentale.
Tuttavia il suo commento ad Aristotele è stato accompagnato da errori, sicché inizialmente, come ad esempio a Parigi, sotto pena di scomunica venne proibita la lettura di Aristotele.
Averroè veniva chiamato per antonomasia il Commentatore. Dante nella Divina Commedia ne parla come di colui che il gran commento feo”.
2. Il motivo della proibizione riguardava l’intelletto umano.
Aristotele distingueva un duplice intelletto: un intelletto agente che ha il compito di astrarre l’essenza delle cose e l’intelletto passivo che accoglie e conserva in sé stesso l’essenza delle cose.
Il principio astrattivo è il segno evidente della natura spirituale dell’intelletto.
A proposito dell’intelletto agente Aristotele ha usato un’espressione che ha dato origine a diverse interpretazioni: “Questo intelletto è separato, impassibile e senza mescolanza, perché la sua sostanza è l’atto stesso” (L’anima III, 5 430a 10).
3. Secondo alcuni suoi commentatori l’intelletto agente, identico per tutti gli uomini, si identificherebbe addirittura con Dio.
Secondo altri, starebbe nella luna.
4. Ciò che è in gioco in questa diatriba è l’immortalità dell’anima. Perché il punto di partenza per dimostrare l’immortalità dell’anima sta proprio qui: nell’attività spirituale della nostra intelligenza.
Perché se l’attività spirituale della nostra intelligenza è svolta fuori di noi e in noi rimarrebbero soltanto le immagini sensibili non c’è alcuna radice per poter parlare di immortalità individuale dell’anima.
5. Ebbene, questo era proprio l’errore di Avverroè: asseriva che tanto l’intelletto agente quanto quello possibile è in Dio e lasciava all’uomo soltanto la facoltà dell’immaginazione.
Ma l’immaginazione o meglio la facoltà di elaborare e di conservare le immagini appartiene ai sensi più che allo spirito e ce l’hanno anche gli animali.
Con questo veniva a negare l’immortalità dell’anima.
6. Secondo San Tommaso ogni uomo è dotato di intelletto agente, e cioè di capacità astrattiva, e di intelletto passivo, cioè di conoscere l’essenza delle cose.
Per cui ogni anima umana, avendo un’attività spirituale, trascende la materia e al momento della morte del corpo sopravvive.
7. Guglielmo di Tocco, scrivendo la Positio di Tommaso d’Aquino, che è un sommario della vita, delle virtù, del pensiero e delle opere del Santo per la sua causa di canonizzazione, menziona anche questo problema.
Lo presenta come un errore diffuso da Sigieri di Brabante, massimo esponente a quei tempi del pensiero di Averroè.
Tale errore riguardava l’immortalità dell’anima che di fatto veniva negata a motivo del convincimento che vi fosse “un unico intelletto comune a tutti gli uomini.
Questo errore alimentava i peccati dei malvagi e oscurava le virtù dei santi. Se, infatti, tutti avessimo in comune un unico intelletto, non vi sarebbe più alcuna differenza tra gli uomini, nemmeno quanto ai meriti.
Questa eresia crebbe a tal punto anche nelle menti più deboli e vi si insinuò così perniciosamente, che un soldato parigino a cui era stato chiesto se in punto di morte avesse voluto emendarsi dei propri peccati, avrebbe risposto: “Se è salva l’anima del beato Pietro, allora mi salverò anche io; se infatti ci è dato di comprendere mediante l’unico intelletto moriremo anche di un’unica morte” (Hystoria santi Thomas de Aquino, cap. 19).
Tommaso mostrò come Aristotele fosse stato male interpretato da Averroè ed “estirpò dalle radici quest’errore smascherandolo nella sua inconsistenza” (Ib.).
Proprio a tale proposito scrisse il de unitate intellectus (1270), il de spiritualibus creaturis e il de anima (1268-1269).
8. Averroè non fu rigettato perché non era cristiano. Neanche Platone ed Aristotele lo erano. Eppure il loro pensiero è stato largamente da teologi e filosofi cristiani.
Ti benedico, ti auguro ogni bene e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo