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Grazie alla sua rubrica, che seguo quotidianamente, ho potuto interessarmi a molte questioni e comprendere alcune posizioni della Chiesa a me ignote: voglio ringraziarla per questo, è un servizio unico e davvero profondo.
Di seguito ho alcune domande, molto diverse fra loro ma che preferisco porre insieme. Chiedo scusa fin d’ora per dilungarmi ma sono questioni per me un po’ complicate e sulle quali rifletto spesso, al fine di cercare di seguire i valori cristiani che -anche se faccio fatica- mi piacerebbe testimoniare.
La prima riguarda l’aborto. Nella chiesa dove sono solita andare a confessarmi c’è una bella proposta per l’esame di coscienza e c’è un punto che lo riguarda, e mi chiedo se commetto un peccato a pensarla in un certo modo. Parlandone con i confessori non mi sono mai sentita contrariare, e ho piena fiducia nel loro consiglio, ma desidero cercare ulteriori opinioni essendo un tema così delicato.
Sono contraria all’aborto sia da un punto di vista spirituale -la sacralità della vita in ogni sua forma- che sociale -abbiamo visto come l’aborto possa essere una sorta di cavallo di Troia per lucrare sui più deboli sotto la maschera di libertà e indipendenza, senza fornire un reale aiuto alle donne, ai loro bimbi, e alle famiglie che vivono nel disagio.. Ma anzi aggiungendo dolore al dolore.
Tuttavia, non spetta a me giudicare e a volte sento di storie talmente complicate e dolorose e di scelte sofferte, da non riuscire ad avere un’opinione personale e di fronte ad un dolore e ad una scelta che possono essere frutto di una diversa sensibilità in circostanze che non comprendo, preferisco non dire nulla e affidare ancor di più a Dio queste situazioni (parlo in astratto e pensando a fatti di cronaca, non mi è mai capitato di confrontarmi con donne che pensano di abortire).
Inoltre ho letto che a volte, in mancanza d’altro, si ricorre a cliniche private molto rischiose con tragici esiti: quindi la mancanza di una regola non aiuta e la disperazione può portare a compiere gesti davvero molto rischiosi.
Per queste ragioni la mia idea sull’aborto è che non sia sbagliata la presenza della legislazione che entro certi limiti lo consenta (presente anche in Italia), ma va presentato non come conquista di diritti ma come soluzione disperata in casi disperati, e sconsigliandola sempre, prima di tutto a livello istituzionale con aiuti materiali e morali a situazioni difficili, con potenziamenti della ricerca medica, educando all’attesa, al rispetto, alla responsabilità e all’amore.. Aumentando le testimonianze di chi ha vissuto situazioni difficili al fine che le loro esperienze possano illuminarci e darci forza (penso a Gianna Jessen, ma anche a tante situazioni più “ordinarie” ma eloquenti), potenziando i consultori in direzione pro-vita.. Senza però togliere la possibilità di abortire, come a dire “è vero, c’è la possibilità, ma hai intorno a te una comunità che farà il possibile per accogliere te come donna e mamma, e aiutarti con la tua vita e con quella del tuo bambino, non avere paura”.
La seconda domanda riguarda il modo di gestire la rabbia. Non mi ritengo una persona molto irascibile. Ma quando mi arrabbio, a volte mi rendo conto che è una questione di principio, di orgoglio e di mancanza di umiltà. Mi fa soffrire terribilmente ma è causa mia, e penso che con la buona volontà, la preghiera, la confessione e la comunione potrò migliorare. Qualche volta però sento dentro di me che, dopo svariati tentativi, sembra non esserci altro modo che una risposta brusca e diretta e un tono di voce fermo. Quando sento di essere arrabbiata, se ne ho la possibilità prego prima di esprimermi, in genere il Rosario che cerco di pregare tutti i giorni. La mia preghiera non è certo perfetta, ma qualche volta un po’ di silenzio mi aiuta a riflettere e mettere da parte l’orgoglio, a volte no e agisco secondo l’orgoglio e il mio comodo (mentirei se dicessi che non è così) ma ci sono delle volte in cui mi sento più calma, magari riesco ad essere più lucida, evito di offendere volontariamente ma la rabbia rimane (e traspare), come se fosse un fuoco.
In ogni caso dopo vivo sensi di colpa, e a volte è dovuto alla presa coscienza dei miei errori e al dispiacere di aver ferito qualcuno, a volte invece mi sembra più dovuta a una paura del giudizio degli altri e alla necessità di approvazione, che non sarebbero venuti meno se “fossi stata zitta”. Nel primo caso il senso di colpa mi sembra lecito e aiuta migliorarmi, nel secondo caso non lo è, ma faccio così tanta fatica a distinguere le diverse situazioni.
Le chiedo se c’è un consiglio per discernere in questi casi.
Ringraziandola ancora per il suo aiuto, la ricordo nelle mie preghiere
Carissima,
anzitutto ti chiedo scusa per il ritardo con cui ti rispondo. Solo oggi sono giunto alla tua.
1. La prima questione che mi poni, quella dell’aborto, è particolarmente dolorosa.
Tuttavia è sempre necessario guardare in faccia la realtà senza giri di parole.
Che cos’è l’aborto volontario se non l’uccisione di un bambino?
Ebbene, ognuno può rispondere alla seguente domanda: in quali casi è lecito uccidere un bambino?
2. Di qui la soluzione al problema.
È la soluzione di Madre Teresa di Calcutta: “Se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portarmi quel bambino. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio”.
Giovanni Paolo II ha voluto ripetere queste parole nell’omelia della beatificazione di Madre Teresa (cfr. L’Osservatore Romano, 20-21 ottobre 2003, p. 8).
3. La legislazione pertanto deve muoversi in questa direzione, l’unica tra l’altro che evita il dramma perenne che vive una donna che abortisce.
4. Per il secondo problema: nella Tabula aurea di Pietro da Bergamo (è una specie di dizionario che rimanda alle varie questioni trattate nelle opere di san Tommaso) si legge: “La lingua è facile al peccato perché è mobile ed è l’immediato strumento del cuore per cui diventa rea (colpevole) solo quando segue una mente colpevole”.
5. San Tommaso a questo proposito fa proprio il pensiero di sant’Agostino: “Quel che conta è vedere come le parole escono dal cuore; perché a rendere colpevole la lingua è la perversità del cuore” (Somma teologica, II-II, 98, 1, ad 3).
6. Il malessere che si prova nel reagire al male è un fatto naturale. È un autentico dispiacere.
Ma il dispiacere è un sentimento. Non è sinonimo di cattiva volontà.
Sicché il disagio che si prova nel dover fare sia pure con delicatezza un’osservazione o anche nell’alzare la voce non è un peccato.
Né è peccato causare qualche dolore alla persona cui si fa osservazione se questa viene fatta nel debito modo.
7. Anche Gesù ha alzato la voce quando ha inveito contro gli scribi ei farisei.
Né ha peccato perché ha suscitato dentro di loro tristezza e pensieri cattivi come quando ha detto con veemenza: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi. Guai a voi, guide cieche, che dite: «Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato».
Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro?” (Mt 23,13-17).
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo