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Quesito
Carissimo p. Angelo
ancora una volta devo distrarti dai tuoi compiti.
Ti chiedo: CHI HA SCRITTO I CANONICI VANGELI.
Un caloroso abbraccio e una fervida preghiera.
Primiano
Risposta del sacerdote
Caro Primiano,
1. Non sono un esegeta.
Tuttavia ho studiato e studio la sacra Scrittura, che mi appassiona.
Come del resto mi appassiona anche la questione della data e degli autori dei Vangeli.
A proposito degli autori dei Vangeli ti riferisco quanto dice la prestigiosa Bibbia di Gerusalemme.
Di questa Bibbia abbiamo due edizioni italiane (1974 e 2008) e pertanto ti ripropongo quanto è scritto nella prima e nella seconda edizione.
La prima edizione è più stringata.
La seconda è ampia.
Ma, come potrai notare, le conclusioni sono identiche e soddisfacenti.
2. Ecco che cosa si legge nell’edizione del 1974:
“Dei quattro Vangeli canonici, i primi tre presentano tali somiglianze tra loro che si possono benissimo mettere in colonne parallele e abbracciare con un «colpo d’occhio»: da qui il nome di «sinottici».
La tradizione della chiesa, attestata fin dal II secolo, li attribuisce rispettivamente a san Matteo, san Marco e san Luca.
Secondo essa, Matteo il pubblicano, del collegio dei dodici apostoli (Mt 9,9; 10,3), scrisse il primo, in Palestina, per i cristiani convertiti dal giudaismo; la sua opera, composta in «lingua ebraica», cioè in aramaico, fu in seguito tradotta in greco.
Giovanni-Marco, un discepolo di Gerusalemme (At 12,12), che servì Paolo nell’apostolato (At 12,25; 13,5.13; Fm 24; 2 Tm 4,11), Barnaba (At 15,37.39) suo cugino (Col 4,10) e Pietro (1 Pt 5,13), del quale era «l’interprete», a Roma mise per iscritto la catechesi orale di quest’ultimo.
Un altro discepolo, Luca, medico (Col 4,14), di origine pagana a differenza di Matteo e di Marco (Col 4,10-14), nato ad Antiochia secondo alcuni, compagno di Paolo nel suo secondo (At 16,l0s.) e terzo (At 20,5s.) viaggio apostolico, come anche nelle due prigionie romane (At 27,1s; 2 Tm 4,11), fu il terzo a scrivere un Vangelo, che poteva dunque esser raccomandato da Paolo (cf. forse 2 Cor 8,18), come quello di Marco da Pietro. Scrisse anche una seconda opera, gli «Atti degli Apostoli».
La lingua originale del secondo e del terzo Vangelo è il greco.
3. Ed ecco che cosa si legge nell’introduzione dell’edizione del 2008:
“La più antica testimonianza che abbiamo sulla composizione dei Vangeli canonici è quella di Papia, vescovo di Gerapoli, in Frigia, che compose verso il 130 una Interpretazione (esegesi) delle parole del Signore, in cinque libri.
Quest’opera è andata persa da molto tempo, ma lo storico Eusebio di Cesarea ce ne ha tramandati i due passi seguenti: «E l’Anziano diceva: Marco, che era stato interprete di Pietro, ha accuratamente messo per iscritto tutto ciò di cui si ricordava, senza tuttavia rispettare l’ordine con cui fu detto o compiuto dal Signore. Egli infatti non aveva ascoltato né seguito il Signore, ma più tardi, come ho detto, ascoltò e seguì Pietro. Questi dava le sue istruzioni secondo le necessità e non come una raccolta ordinata delle parole, cosicché Marco non ha commesso alcun errore a metterne per iscritto alcune, come se le ricordava. La sua unica preoccupazione fu di non omettere nulla di ciò che aveva sentito, senza introdurvi delle falsità».
Eusebio aggiunge, subito dopo, la testimonianza di Papia su Matteo: «Matteo dunque ha messo in ordine i detti, in lingua ebraica; ognuno li interpretò come poteva» (Hist. eccl. III, 39,15-16).
Una seconda testimonianza che riguarda la composizione dei Vangeli ci è data da Clemente Alessandrino (citato da Eusebio di Cesarea): «Negli stessi libri ancora, Clemente cita una tradizione degli Anziani circa l’ordine dei Vangeli; eccola: diceva che i Vangeli che comprendono le genealogie sono stati scritti prima e che quello secondo san Marco fu scritto nelle circostanze seguenti: avendo Pietro predicato la dottrina pubblicamente a Roma e avendo esposto il Vangelo con l’aiuto dello Spirito, i suoi uditori, che erano numerosi, esortarono Marco, poiché era stato suo compagno da molto tempo e ricordava le sue parole, a trascrivere ciò che egli aveva detto. Lo fece e trascrisse il Vangelo per coloro che glielo avevano chiesto. Quando Pietro lo venne a sapere, non fece nulla con i suoi consigli per impedirlo o per sollecitarlo» (Hist. eccl. VI, 14,5): Come quella di Papia, questa testimonianza risale agli Anziani, cioè a uomini della seconda generazione cristiana. Tutta la tradizione posteriore, greca, latina o anche siriaca (Efrem), non farà che riprendere, aggiungendovi qualche detto, queste due testimonianze fondamentali. Cosa possiamo concluderne?
Papia e Clemente sono d’accordo nell’attribuire la composizione di uno dei Vangeli a Marco, discepolo di Pietro (cf 1 Pt 5,13), di cui avrebbe messo per iscritto la predicazione.
Provenendo da due fonti arcaiche differenti, questa informazione può essere considerata certa.
Secondo Clemente, Marco avrebbe scritto quando Pietro era addirittura ancora vivente, e questi si sarebbe più o meno disinteressato dell’iniziativa. Papia non ci dà alcuna informazione esplicita in proposito. Il suo testo lascia pensare piuttosto che Marco avrebbe scritto dopo la morte di Pietro, e in questo senso interpreteranno Ireneo di Lione e il più antico prologo evangelico giunto fino a noi (fine del II sec.). Papia non ci dice dove Marco scrisse il suo Vangelo. Clemente precisa che fu scritto a Roma, dove Pietro svolgeva il suo ministero. Questo particolare, ripreso nella tradizione posteriore, sembra giusto perché il Vangelo di Marco contiene un certo numero di parole greche, che sono una trascrizione del latino. Clemente non ci dà alcuna notizia su Matteo, se non che il suo Vangelo conteneva una genealogia di Cristo (Mt 1,1-17). Secondo Papia, avrebbe scritto in ebraico, termine che potrebbe applicarsi anche all’aramaico e la sua opera sarebbe stata poi tradotta in greco. Questo particolare sarà ripreso in modo unanime dalla tradizione posteriore. Un fatto potrebbe confermarlo. Nelle due notizie fondamentali citate sopra, i riferimenti riguardanti Marco sono molto più estesi di quelli che si riferiscono a Matteo, di cui non ci viene detto neppure che si tratta del pubblicano di Mt 9,9. Non potrebbe essere l’indizio che il Vangelo di Marco, scritto in greco, si sarebbe diffuso rapidamente nel mondo cristiano fino a che quello di Matteo, che lo sostituirà come Vangelo di base, fu tradotto dall’ebraico (o dall’aramaico) in greco?
4. Del Vangelo di Giovanni. Anche qui ti riporto i testi delle deu edizioni.
In quella del 1974 si legge:
Sull’autore del quarto Vangelo è fuori di dubbio che sia San Giovanni, che non si cita mai se non attraverso l’espressione “il discepolo che Gesù amava”.
Che il quarto Vangelo sia stato redatto dai suoi discepoli non cambia nulla. È lui che attesta ciò che ha visto.
Ecco quanto dice la Bibbia di Gerusalemme sull’autore del IV Vangelo:
“Nel Vangelo stesso, nulla viene d’altronde a smentire questa tradizione, anzi (che l’autore sia l’apostolo Giovanni).
Si è visto: l’evangelista si presenta sotto la garanzia di un discepolo amato dal Signore, testimone oculare dei fatti che racconta.
Lingua e stile denotano un’origine manifestamente semitica; lo si vede perfettamente al corrente degli usi giudaici, come della topografia palestinese al tempo di Cristo.
Sembra legato da una speciale amicizia con Pietro (13,23s; 18,15; 20,3-lO; 21,20-23) e Luca ci informa che effettivamente si trattava dell’apostolo Giovanni (Lc 22,8; At 3,1-4.11; 4,13.19; 8,14).
Infine come spiegare il silenzio incomprensibile del quarto Vangelo sui due figli di Zebedeo, se non proprio perché sarebbe stato scritto da uno di loro? Il «discepolo che Gesù amava… che ha scritto queste cose» (21,24) è quello che Gesù aveva, con Pietro e Giacomo, in particolare stima (Mc 5,37, 9,2; 13,3, 14,33)”.
Si è voluto obiettare che, secondo certe testimonianze, l’apostolo Giovanni sarebbe morto martire in una data relativamente antica, e dunque che non avrebbe potuto scrivere il Vangelo che porta il suo nome. Di fatto, è difficile negare che effettivamente vi sia stata un’antica tradizione in favore di questo martirio. Ma essa ha più garanzie di autenticità della tradizione che fa vivere san Giovanni a Efeso fino a un’età avanzata?
E se sì, si potrà notare che tale tradizione rimane muta sulla data di questo martirio. D’altra parte, l’insieme delle tradizioni giovannee si costituì certamente in una data molto antica, anche se il Vangelo fu definitivamente redatto ed edito solo più tardi, probabilmente dai discepoli di Giovanni.
In tal caso, la paternità del quarto Vangelo non sarebbe inconciliabile con l’ipotesi del martirio dell’Apostolo”.
5. In quella del 2008 la sostanza è identica:
“Chi e l’autore del quarto vangelo? O meglio, chi sono gli autori, dato che questo vangelo si è probabilmente formato per tappe successive? È difficile rispondere.
Per tradizione la Chiesa riconosce nell’apostolo Giovanni il quarto evangelista: si dovrebbe dunque vedere in lui l’iniziatore di questo lungo processo redazionale.
Sant’Ireneo di Lione sembra essere il primo autore disposto ad affermare un legame tra il vangelo e l’apostolo: «In seguito, Giovanni, il discepolo del Signore, quello che riposò sul suo petto, ha scritto anche lui il vangelo durante suo soggiorno a Efeso».
Numerosi autori ecclesiastici dell’antichità hanno ammesso senza difficoltà questa attribuzione.
Infatti il vangelo si presenta con la garanzia di un discepolo «che Gesù amava», testimone oculare dei fatti che racconta (21,20-24; cf 13,23).
Come l’apostolo Giovanni egli doveva essere pescatore in Galilea (21,2.7; cf Mc 1,19-20).
San Luca confermerebbe indirettamente simile identificazione; infatti questo «discepolo che Gesù amava» appare legato da amicizia con Pietro (12,23s; 18,15; 20,3-10; 21,20-23) e Luca riferisce che era appunto il caso dell’apostolo Giovanni (Lc 22,8; At 3,1-4; 4,13; 8,14)”.
Ti sono grato per la fervida preghiera.
Ti assicuro la mia e ti benedico.
Padre Angelo