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Quesito
Carissimo P. Angelo,
potrebbe spiegarmi la dottrina del voluntarium in causa (San Tommaso, Summa theologiae, II-II, q. 64 a. 8).
Grato per il suo aiuto la ricordo nelle mie preghiere
Alessandro
Risposta del sacerdote
Caro Alessandro,
1. è necessario conoscere anzitutto il significato dei termini.
Si parla di volontario.
Ebbene, si dice volontaria quell’azione che procede dall’interno del soggetto con una certa conoscenza del fine.
Si tratta pertanto di un’azione, di un’omissione o di un effetto previsto e cercato procedente da una deliberazione.
Ora un’azione deliberata è imputabile al soggetto perché è del tutto sua.
L’ha voluta.
2. Un’azione invece che non procede da deliberazione del soggetto, ma è imposta con violenza o con forte intimidazione, non gli è imputabile in toto o almeno parzialmente.
3. Perché un’azione sia imputabile al soggetto si richiede anche la conoscenza del fine e dei suoi effetti.
4. Ma talvolta può capitare un effetto imprevisto. E può succedere che da un’azione buona o per lo meno moralmente indifferente ne segua involontariamente un effetto cattivo.
È il caso della morte di una persona nell’abbattimento di un muro.
5. Ora se prima di compiere quell’azione si erano prese le dovute precauzioni mettendo tanto di cartello che vietava l’accesso ai non addetti ai lavori e si era fatta una perlustrazione per accertarsi della sicurezza dell’azione, ma poi nonostante il divieto e le precauzioni all’ultimo un ladro è andato a nascondersi, la sua morte è involontaria.
Precisando ulteriormente: l’abbattimento del muro è stata un’azione volontaria.
Ma la morte del ladro è stata involontaria e non imputabile a chi indirettamente l’ha causata.
6. Vi sarebbe invece una qualche responsabilità se, pur compiendo un’azione lecita come l’abbattimento del muro, non se ne fossero prese le debite precauzioni.
È questa la realtà che in teologia morale passa sotto il nome di volontario in causa.
L’azione compiuta è stata volontaria.
La morte del ladro è stata involontaria, ma non esente da ogni responsabilità perché non si era fatto tutto ciò che si doveva per evitarla.
7. Un altro esempio, che purtroppo ha avuto riscontro nei fatti, è quello di una donna che sebbene incinta e anche abbastanza avanti nella gravidanza decide di andare a sciare un’ultima volta.
Se per caso fa un capitombolo, cade in maniera violenta e perde il bambino, la morte del bambino le è imputabile.
L’azione di andare a sciare non era doverosa, né nel suo caso si poteva escludere una qualche probabilità di incidente con esito grave.
La morte del bambino non è proceduta da un volontario diretto, ma da un volontario in causa.
Un volontario (l’andare a sciare) che in questo caso si doveva omettere.
5. Nel passo della Somma teologica che mi hai citato San Tommaso applica il volontario in causa al caso di chi per caso uccide involontariamente una persona.
E dice che “se uno nel compiere una cosa lecita con le debite precauzioni provoca l’uccisione di un uomo, non incorre il reato di omicidio;
se invece egli provoca la morte di un uomo nel compiere una cosa illecita, oppure nel compiere cose lecite non prende le dovute precauzioni, non può sfuggire il reato di omicidio” (Somma teologica, II-II, 64, 8).
Nel primo caso non vi è alcuna responsabilità in causa.
Negli altri due, sì.
Ti ringrazio per le preghiere promesse, ti auguro ogni bene, ti assicuro le mie e ti benedico.
Padre Angelo