Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Caro Padre Angelo,
Salve sono …, un ragazzo di 24 anni, grazie a Dio convertito e rinato nella verità Cristo da 7 mesi.
Le scrivo perchè ho dubbi sull’argomento tatuaggi; io ne ho già di diversi, fatti nel mio passato prima della conversione (niente demoni teschi o simboli massonici/esoterici), ora vorrei dedicarne uno a Gesù (in particolare il Cristo redentore), il mio ultimo tatuaggio. C’è qualcosa di male? Ho pensato, mi sono tatuato per cose ovviamente meno importanti di colui che mi ha salvato, vorrei rendergli omaggio portandolo sul mio corpo che male c’è? In giro ho raccolto molti pareri discordanti e sono confuso.
Chiedo di ricevere una risposta in privato oltre che pubblica, e di rimanere anonimo.
Grazie padre.
Il Signore sia lodato!
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. Il tatuaggio era proibito nell’Antico Testamento (“Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio. Io sono il Signore”; Lev 19,28) perché era una forma di culto tipica degli idolatri.
Nell’antichità spesso gli adoratori di una divinità praticavano il tatuaggio, imprimendo su se stessi la sua immagine o il suo nome.
A questo fa riferimento il libro dell’Apocalisse quando parla della bestia e di coloro che ne portano il marchio sulla destra o sulla fronte (Ap 13,16) mentre i cittadini della nuova Gerusalemme portano sulla fronte il nome di Dio come segno esterno della propria appartenenza a Lui (Ap 3,12) e come simbolo della sua efficace protezione perché non vengono devastati (Ap 7,3).
2. Il divieto biblico dei tatuaggi non appartiene ad un precetto morale derivante dalla legge naturale, ma ad un precetto rituale o civile.
Si tratta pertanto di un divieto è superato col Nuovo Testamento. Purché evidentemente il tatuaggio non venga fatto con le medesime intenzioni per cui veniva fatto nell’antichità.
3. I cristiani di fatto non si sono mai tatuati.
Tuttavia abbiamo dei casi interessanti, come quello di un frate domenicano che a suoi tempi da tutti era chiamato il frate Santo (e lo era davvero), il quale compì un tatuaggio sul suo petto.
Si tratta del Beato Enrico Suso (detto anche “Susone”), nativo di Costanza (Svizzera) morto nel 1366.
Entrato giovanissimo tra i domenicani, dopo qualche anno di vita religiosa mediocre ebbe una profonda conversione e si innamorò letteralmente della Sapienza Eterna, della Sapienza divina, fattasi carne in Gesù Cristo.
La divina Sapienza – che è la seconda Persona della SS. Trinità – gli aveva dato un nome nuovo “frater Amandus”, un fratello a disposizione dell’amore di Dio.
Insieme al nome, la Sapienza gli aveva indicato anche un programma di vita: mettersi esclusivamente al suo servizio per salvare le anime. Fu un servizio che entusiasmò il suo cuore.
4. Enrico aveva un desiderio immenso di vedere la Sapienza eterna.
Un giorno in refettorio sentì leggere il passo dell’Ecclesiastico: «Io come un terebinto ho esteso i miei rami» (Sir 24,16).
Queste parole lo infiammarono d’amore.
Il domenicano Ignazio del Nente (sec. XVII) scrive: “in questi affetti gli comparve la Divina Sapienza su alto lontana da lui in una Colonna di Nube, e sopra un Trono di avorio, sedendo con maestà, più splendida della Stella Diana, e più luminosa del Sole. La sua Corona era eterna, il suo velo e amitto era felicità, il suo parlare tutto soavità e i suoi abbracciamenti sazietà d’ogni bene. Si mostrava lontana, e vicina, sublime, e umile, presente, e occulta, familiare, e pure grande, incomprensibile, più alta d’ogni sommità dei Cieli, e più profonda degl’abissi». E la Sapienza si degnò di rivolgere la parola ad Enrico dicendo piena di cortesia: «Figlio, dammi il tuo cuore”.
In quel momento Enrico ricordandosi che gli amanti del mondo solevano portare scritto sul petto il nome della dama del loro cuore pensò di fare altrettanto.
Si ritirò in un angolo della sua cella e, immergendosi in amorosa contemplazione, pregò così: «O se io potessi ora, benignissimo Gesù, trovare un segno d’Amore che fosse una memoria eterna dello scambio dei nostri Amori e testimoniasse al Cielo e alla Terra che io di voi sono amantissimo e voi siete amantissimo di me».
5. “Quindi pieno d’ardentissimo fervore si aprì in un attimo il petto e preso un temperino o stilo di ferro incominciò con il ferro tagliente a ferirsi e a stracciarsi il petto, movendo lo stiletto di sopra e di sotto, sin tanto che formò in tutte le sue lettere il Santo Nome di Gesù e lo scrisse nella carne che copre il cuore” (Ignazio del Nente, Vita di Enrico Suso, c. VII, p. 7)
6. Il Beato Enrico non è però da imitare su questo punto.
Egli infatti era giunto ad un vertice molto alto di vita cristiana, che i teologi chiamano unione trasformante.
Si tratta di una perfezione tale per cui uno può dire con tutta verità quanto un giorno San Paolo disse di se stesso: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
7. Il mio parere pertanto sarebbe di lasciare il nostro corpo così com’è.
Nessun tatuaggio lo potrebbe rendere migliore o più significativo.
Ma se uno volesse tratteggiare l’immagine di Gesù non per esibizionismo ma per avere un segno di Colui che amiamo sopra ogni cosa non ci vedrei profanazione di un’opera di Dio.
Ti auguro di progredire nella vita cristiana come il beato Enrico.
E per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo