Questo articolo è disponibile anche in:
Italiano
Inglese
Quesito
Gentile Padre Angelo,
Seguo spesso la sua rubrica, e la ringrazio per le sue risposte. Ci tengo a farle sapere che grazie a lei ho avuto molti chiarimenti in merito a dei comportamenti sbagliati che avevo, e questo mi sta aiutando tantissimo.
Le ho già scritto per altre questioni e mi dispiace portarle via del tempo nuovamente, però desidero un suo parere (ho anche provato a cercare nel sito, ma non mi risulta sia stata posta una domanda simile).
Scrivo per chiederle una delucidazione in merito a due diverse questioni: la fede come sentimento; e l’implicazione della tecnologia nei malati terminali. Le chiedo scusa per la lunghezza della mail.
Parto dal secondo punto, con una mia storia personale. Mi chiedo: la tecnologia che ci salva la vita può divenire, in un certo senso, "accanimento terapeutico" (le virgolette sono d’obbligo, è solo per esprimere il concetto)?
Mio nonno è gravemente malato proprio in questi giorni, è molto vecchio (più di 90 anni) e ci è stato detto che la sua vita giunge al termine. In parte ad un comprensibile sconforto – sono molto legata a lui e mi dispiace vederlo soffrire-, so che fa parte del naturale corso degli eventi e che la Vita eterna non è questa, perciò cerco di aiutare come posso, cercando di superare la tristezza, nella speranza che lui possa giungere sereno alla sua ora.
La questione è che lui ha un pacemaker messo qualche anno fa. Questo supporto naturalmente è una stupenda conquista: permette al cuore di funzionare meglio e garantisce un miglioramento della qualità e della durata della vita, e così è stato per lui. Però ora questo supporto tecnologico gli sta "impedendo" di spegnersi in maniera naturale.
Infatti il suo cuore continua a battere senza fatica mentre tutto il resto del corpo collassa lentamente: ha una brutta polmonite che gli sta causando continui blocchi respiratori, e ci è stato spiegato che essendo il cuore "rinforzato", è più probabile (anche se non certo) che le sue sofferenze siano in parte allungate ed intensificate da ciò.
Dov’è dunque il limite?
Ho provato a pensarci e non lo so: sarebbe giusto "spegnere" il pacemaker? Io non ce la farei, perché non vorrei mai fare qualche intervento che causi la sua morte.
Allo stesso tempo, questa sua sofferenza è straziante e mi dispiace pensare che vi sia anche la minima possibilità che sia stata "indotta" o favorita.
Stiamo facendo il possibile per essergli accanto, in maniera che, al primo cenno di crisi, i medici possano tempestivamente intervenire per lenire il dolore, e a parte questo ci sentiamo impotenti e pieni di dubbi.
Forse questo mio messaggio contiene errori scientifici oltre che etici, ma anche facendo opportune ricerche ed informandomi più che posso, è tutto ciò che ho capito.
Altra questione è che mio nonno non è mai stato molto credente (come buona parte della mia famiglia) anche se è un uomo buono e amorevole. Vorrei che si presentasse bene a Dio, ma non è cosciente e la sua volontà è compromessa. Posso pregare chiedendo al Signore che consideri le mie preghiere dette da lui? E che consideri le mie comunioni prese da lui?
La seconda questione è che da anni non sento il "fuoco" della fede.
Vado in Chiesa, cerco di leggere le scritture, dedico ogni giorno del tempo alla preghiera e alla riflessione, cerco di confessarmi regolarmente, faccio l’esame di coscienza per migliorarmi e ringraziare.
Ma non sento nulla, niente! C’è stato un periodo anni fa in cui sentivo una forte vocazione alla preghiera, una forte e positiva energia nel distaccarmi dal peccato, un senso di amore interminabile verso di Lui e verso gli altri. Tutto questo è successo nel periodo in cui mi sono avvicinata a Lui in maniera profonda, intorno ai 19 anni (ora ne ho 24).
Poi, di punto in bianco, nulla. Ho cercato le cause nel mio orgoglio, nella mia cattiva gestione del tempo, nel mio "non riuscire a staccarmi" da ciò che è materiale. Queste riflessioni mi hanno aiutata perché siamo sempre deboli e ho scoperto in me nuove lacune.. Ma non capisco perché tutto sia cessato, e quale può essere la colpa che mi allontana così tanto da Dio. Il fatto è che vivo la fede come vivrei un libro di matematica, solo con la testa e con la memoria.
Mi ricordo del "fuoco" che ho sentito dentro di me, delle lacrime di gioia, della gratitudine.. Quei sentimenti non venivano da me e per questo so che Lui c’è e che la Sua parola è vera, reale. Anche se ora non sento quel fuoco, l’ho sentito e questo mi basta per sapere che c’è. Però a volte è così stancante pregare senza sentire nulla, concentrarsi durante la Messa sentendosi soli, cercare di capire i suoi progetti per me (starò mai facendo la cosa giusta?).. Sentendosi così lontani dalla sua Voce e non capendo come fare.
Le è mai successo qualcosa del genere o conosce qualcuno che sta come me? A parte le preghiere e il non allontanarmi dalla vita di fede, c’è qualcosa che posso fare?
Risposta del sacerdote
Carissima,
1. vi sono alcuni interventi clinici che sono irreversibili.
Si è liberi di farsi impiantare un pacemaker e ricuperare un battito cardiaco regolare.
Ma una volta acquisito questo status, che tutto sommato è benefico (a tuo nonno ha dato qualche anno di vita in più), non si può tornare indietro anche se il morire diventa più difficile.
2. Conservare a tuo nonno il pacemaker non si può configurare come un accanimento terapeutico perché a suo tempo non gli è stato messo per non accettare una morte ineluttabile, ma per conservarlo in vita in maniera dignitosa e per conservarlo all’affetto dei suoi cari.
3. Adesso il pacemaker ha l’effetto opposto perché lo conserva in vita magari contrariamente alla sua volontà e a quella degli altri.
Ma questo è l’effetto indesiderato che si è accettato al momento in cui è stato impiantato il pacemaker.
4. Spegnere il pacekamer in questo momento è la stessa cosa che uccidere tuo nonno.
Tanto più che lo stato di coscienza potrebbe essere presente pur a livelli minimi. E potrebbe non avere la possibilità di manifestarlo all’esterno.
5. Il prolungamento pur precario della sua vita gli potrebbe giovare sul profilo soprannaturale.
Per voi, dal momento che la medicina non può far altro che intervenire per lenire il dolore, questo è il momento della preghiera e della vicinanza affettuosa.
La preghiera porta dentro tuo nonno la presenza di Gesù Cristo, medico celeste, e della Madonna.
Come saprai, la coroncina della Divina Misericordia insegnata da Nostro Signore a santa Faustina Kowalska è molto utile a questo.
6. Circa invece il venir meno del fuoco della tua fede che ti dava molta consolazione va detto anzitutto che la qualità della fede non dipende dal fuoco che si sente.
Il fuoco o fervore è un sentimento e un’emozione piacevole.
È un dono del Signore. In genere il Signore trae a sé chi è lontano proprio attraverso questi legami di dolcezza e di fervore.
Indubbiamente il fuoco o fervore stimola a stare uniti al Signore nella preghiera, nell’ascolto della sua parola e nella celebrazione dei sacramenti.
Ma il Signore talvolta permette che questi sentimenti si attenuino perché lo possiamo cercare con rinnovato fervore migliorando la qualità della nostra preghiera forse troppo distratta e anche la qualità della nostra vita cristiana, forse troppo agitata nel correre dietro a tante cose che non sono essenziali e forse addirittura attaccata a cose che non sono gradite al Signore.
In altre parole, il Signore permette questo in ordine ad una ulteriore conversione.
Oppure lo permette per una maggiore purificazione del nostro amore per lui, che forse nel rapportarsi con Lui cerca più la propria consolazione spirituale che il donargli qualche cosa.
Oppure lo permette a Dio perché possiamo unirci maggiormente alla sua passione e all’opera della sua Redenzione per cooperare con lui nella diffusione del suo Regno.
7. Il calo del fervore lo provano un po’ tutti.
E lo provano per i vari motivi che ti ho indicato.
Nell’augurati nuovo fuoco e nuovo fervore spirituale, ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo