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Quesito
Caro Padre Angelo,
Buongiorno e buona domenica, io le riscrivo stavolta non per motivi di natura teologica o filosofica, ma esistenziali, in questo ultimo periodo mi sento deluso da Dio, non lo sento più come prima, credo che non mi ami come ama gli altri, perché fa nascere le persone sorde, malate sin dalla nascita? Se avevo difeso Dio ora non lo difendo come prima, non ho più voglia di andare a Messa e di frequentare la parrocchia, se prima non davo ragione a chi diceva Dio castiga le persone sin dalla nascita per causa del peccato originale, ora gli do ragione.
Le faccio due domande
1) Perché Dio crea le persone con malattie, e perché se qualcuno cerca la felicità e fortuna è già condannato alla tristezza?
2) Perché Dio ama meno quella persona e di più un’altra?
Grazie, una preghiera per me e per la mia famiglia, e in particolare per mio papà, mia zia e una mia amica che sta soffrendo.
Buona domenica a presto
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. comprendo la tua vicinanza nei confronti delle persone che soffrono o patiscono menomazioni fin dalla nascita.
Questo è a tuo onore.
2. Tuttavia la domanda, così come l’hai formulata, è sbagliata in partenza perché creare significa trarre una cosa dal nulla.
Ora se Dio traesse gli uomini dal nulla con delle malformazioni potremmo dire che non è giusto.
Ma Dio non ha creato i nostri corpi nei quali abitiamo. Questi corpi li abbiamo ricevuti dai nostri genitori.
Al momento della generazione Dio crea l’anima, non i corpi.
3. Perché possa succedere che vengano generati dei corpi con malformazioni noi lo addebitiamo al fatto che col peccato originale la natura ha subito corruzione.
Per cui la “colpa” delle malformazioni non è da addebitare né a Dio, né ai genitori, né a colui che viene concepito.
Questo è quanto si deduce anche dal Vangelo di Giovanni al capitolo 9: “Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio” (Gv 9,1-3).
Dio permette le malattie per un disegno superiore, che però noi al momento non vediamo. Ma è quanto sottintende il Signore quando dice “perché in lui siano manifestate le opere di Dio”.
Queste “opere di Dio” non necessariamente si manifestano nella vita presente.
In ogni caso, però, si manifesteranno nella vita futura e allora potremo vedere che alcuni degli ultimi sono diventati primi, e cioè si trovano in Paradiso, mentre alcuni tra i primi saranno ultimi, e cioè all’inferno.
4. Non dobbiamo mai dimenticare che questa vita non è l’unica né è l’ultima, ma è la penultima.
Ed è alla luce della vita futura che i nostri giudizi sulla vita presente sono più equi.
Anche in questo senso Gesù ha detto: “Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?” (Mt 16,26).
5. Circa la seconda domanda potrei dire ugualmente che in un certo senso è mal posta perché Dio ama tutti con il medesimo atto di amore, che è un atto di amore infinto, eterno e soprannaturale.
Dio, dicono in teologi, non ama con molti atti, come facciamo noi, ma con un unico atto.
Anzi, con l’unico atto con cui ama se stesso, ama anche noi.
6. Tuttavia c’è del vero nella tua domanda perché Dio non ama come amiamo noi.
Noi amiamo perché siamo affascinati dal bene che troviamo in una determinata realtà.
Dio invece ama infondendo il bene nelle realtà.
E dal momento che non tutte hanno i medesimi beni, possiamo dire che alcune siano amate più di altre.
In questo senso la Madonna, poiché è stata piena di grazia fin dal primo istante della sua esistenza, è stata amata di più.
Anche gli Apostoli sono stati amati di più.
7. Tuttavia Dio non ci fa torto, perché non abbiamo alcun diritto di essere come la Madonna o come gli Apostoli.
Perché poi Dio dia ad alcuni di più che ad altri lo sapremo solo di là.
Sant’Agostino diceva: “Non volertelo domandare se non vuoi sbagliare”.
Capiremo di là.
L’affermazione testuale in latino di Sant’Agostino è la seguente: “Quare illum trahat et illum non trahat, cur istum trahat et illum non trahat, noli velle iudicare se non vis errare” (Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 26,2).
In italiano: “Perché attiri quello e non attiri quell’altro, perché questo lo attiri e quello non lo attiri, non pretendere di giudicarlo se non vuoi sbagliare”.
Nell’attesa di saperlo in Cielo, dove ci auguriamo di arrivare, ti saluto, ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo