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Quesito
Caro Padre Angelo,
grazie ancora per il tempo che mettete a disposizione di chi ha bisogno di approfondire e chiarire l’insegnamento della Chiesa.
Nel Catechismo leggo che perché si cada in peccato mortale si devono verificare tre condizioni:
materia grave
deliberato consenso
piena consapevolezza
Ora non comprendo bene il terzo punto, per piena consapevolezza si intende il conoscere l’insegnamento della Chiesa in merito o che si sappia in coscienza che si tratta di peccato?
Ossia nel caso in cui una persona pecca pensando di essere nel giusto, l’anima della persona annienta la carità? Rompe il rapporto di grazia con Dio?
Spero di aver espresso chiaramente le mie domande.
Salvatore
Risposta del sacerdote
Caro Salvatore,
1. quella che tu chiami piena consapevolezza il Catechismo la chiama “piena avvertenza della mente”.
2. L’avvertenza della mente è piena quando è simultaneamente psicologica e morale.
L’avvertenza psicologica c’è quando il soggetto è consapevole di quello che sta facendo, ha il perfetto uso della ragione, e pertanto è in grado di governare, fermare o prolungare l’azione in qualsiasi momento.
Questa piena consapevolezza o avvertenza di sé manca nei sogni, nel sonno, in stato di follia, di ebbrezza, di anestesia, di dormiveglia e in tanti altre situazioni di mancata presenza a se stessi, come quando si è distratti, si è alterati fisicamente, psichicamente, a causa di una passione violenta antecedente come l’ira, il timore, la tristezza, mali terribili…
I moralisti fanno notare che non si esige la consapevolezza più perfetta possibile, ma è sufficiente quella lucidità con la quale ci si impegna per trattare affari di una certa importanza.
3. L’avvertenza morale è la consapevolezza che quanto si sta per compiere è peccato mortale, e cioè un’azione difforme dalla volontà di Dio.
Non è necessario che in quel momento si pensi a Dio. È sufficiente sapere con mente lucida che quanto si sta per fare è male o può essere male (il dubbio).
4. Tu chiedi espressamente se uno abbia piena consapevolezza o avvertenza morale quando sa che il Magistero della Chiesa dice una cosa e lui ne pensa un’altra.
Il problema è questo: come può un credente pensare che il Magistero, che è garantito dall’alto, sbagli e che quello che uno pensa in coscienza (che non ha ricevuto nessuna garanzia di infallibilità) sia giusto?
5. Il giudizio di coscienza può essere erroneo. E facilmente diventa erroneo a causa dei peccati commessi.
Il peccato, diceva Giovanni Paolo II, oltre a comportare altre conseguenze, offusca sempre il giudizio di coscienza.
Bisogna stare attenti dunque a non dare l’infallibilità alla propria coscienza, negandola invece al Magistero.
La coscienza non ha ricevuto garanzie da Cristo. Il Magistero invece ne ha ricevute.
6. Ma se uno si trovasse in un’ignoranza invincibile e incolpevole, vale a dire che non è frutto dell’oscurità provocata dai peccati, l’errore del giudizio di coscienza potrebbe essere scusabile.
Rimane il fatto però che in cuor suo giudica che il magistero sbagli.
Ma non posso escludere a priori che uno, magari a motivo di una errata formazione, abbia un’ignoranza invincibile e incolpevole.
In questo caso, allora, il suo cattivo comportamento sarebbe scusabile.
7. Va ricordato però che oltre al dettato del Magistero, c’è sempre la legge naturale scritta in fondo al cuore che attesta che determinate azioni sono di suo disordinate e cattive e che non possono essere messe come norma comune di azione.
Ti ringrazio del quesito, ti prometto un ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo