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Quesito

Padre,
Le scrivo per porLe due quesiti:
1- se spinti da una persecuzione (come quelle dei primi cristiani, ma anche nel ‘‘900 sappiamo di molte persecuzioni ed oggi stesso nei paesi islamici) si rinnega Cristo perchè minacciati dalla possibile violenza, questo non dovrebbe neanche essere peccato, perchè manca il deliberato consenso. Mi sbaglio?
Ma allora S. Pietro nel Vangelo alla fin fine non ha neanche peccato?
2- Le scrivo riguardo alla Lettera di S.Paolo agli Ebrei laddove  si dice che chi crocifigge Cristo per la seconda volta non può essere perdonato. Una nota a piè di pagina della mia Bibbia spiega che si tratta di una imperdonabilità morale, ma che Dio può comunque superare. A dire il vero la nota non mi ha  molto persuaso, dato che la lettera di S.Paolo è chiara.
La ringrazio, preghi per me e la mia famiglia.
Giuseppe


Risposta del sacerdote

Caro Giuseppe,
1. il timore di un male di per sé non rende involontaria un’azione.
Anzi, sotto un certo aspetto la si delibera appositamente proprio per scansare il male.
È vero che se non ci fosse l’incombere di un male non la si compirebbe.
Tuttavia, a meno che il timore sia così grande da far perdere l’uso di ragione, quanto si fa sotto timore rimane almeno sotto un certo aspetto volontario.

2. Sotto la pressione del timore si valuta ciò che è più preponderante e si cede il bene di minor conto.
Nel classico caso di chi minaccia con arma: “O la borsa o la vita” si cede la borsa, perché diversamente si perderebbero tutti e due i beni.
L’intenzione di chi agisce sotto timore non è quella di disfarsi della borsa, ma di salvare il salvabile, e cioè la vita.

3. Nel caso della persecuzione è necessario fare un’analoga valutazione per salvare almeno il bene preminente.
Ora il bene preminente di ciascuno di noi è Dio, senza del quale perdiamo veramente tutto.
In caso di persecuzione Cristo ci chiede di fuggire. “Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra” (Mt 19,23).

4. Ma, insieme alla promessa che chi lo riconoscerà davanti agli uomini anche Lui riconoscerà davanti al Padre suo che è nei cieli, ha anche detto: “chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,33).
Siamo in questo mondo per essere testimoni della Luce, anzi per portare Luce.
Rinnegando, anche solo per timore, non si è testimoni. Si fallisce l’obiettivo più alto della nostra vita.
Gesù ha detto che se uno lo rinnega davanti al mondo, pur conservando la fede in Lui nel proprio cuore, sarà rinnegato davanti al Padre suo.

5. Giustamente tu concludi che se sotto il timore fosse lecito rinnegare il Signore, Pietro non avrebbe fatto un peccato poi così grande.
Tu stesso noti l’incongruenza.
E invece fu veramente grande il peccato di San Pietro e l’ha pianto per tutta la vita.

6. Circa invece la seconda domanda desidero riportare per intero il testo, così si comprende meglio anche la tua domanda: “Quelli, infatti, che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro. Tuttavia, se sono caduti, è impossibile rinnovarli un’altra volta portandoli alla conversione, dal momento che, per quanto sta in loro, essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all’infamia” (Eb 6,4-6).
Che significa l’espressione “è impossibile rinnovarli un’altra volta”.
Secondo alcuni l’Autore della lettera agli Ebrei parla del Battesimo. E allora è evidente come non possa essere conferito una seconda volta.
Secondo altri alluderebbe alla seconda tavola della salvezza, che è la Penitenza.

7. Se è così, allora anche la Penitenza o sacramento della Penitenza, per quanto possa portare alla conversione ed essere chiamato secondo Battesimo, tuttavia non conferisce la grazia nel medesimo modo in cui la dona il battesimo.
In questo senso “è impossibile rinnovarli un’altra volta”.
Dice infatti il Concilio di Trento: “Del resto questo sacramento differisce dal battesimo per molte ragioni. Infatti,
oltre che differire moltissimo per la materia e la forma, che costituiscono l’essenza del
sacramento, è certo che il ministro del battesimo non deve essere un giudice, perché la chiesa non esercita il suo giudizio su nessuno che
prima non sia entrato in essa attraverso la porta del battesimo.
«Spetta forse a me», dice l’apostolo, «giudicare quelli di fuori?» (1 Cor 5,12).
È diverso poi per quelli che sono fratelli nella fede (cf. Gal 6,10), una volta che il Signore Gesù li ha fatti membra del suo corpo col lavacro del battesimo (cf. 1 Cor 12,
13). Infatti egli volle che questi, se si fossero successivamente macchiati di qualche
peccato, non fossero purificati ripetendo il battesimo (cosa che nella chiesa cattolica non è
permessa per nessuna ragione), ma che comparissero come rei dinanzi a questo tribunale, affinché per la sentenza del sacerdote potessero essere liberati non una volta soltanto, ma tutte le volte che, pentiti, vi cercassero rifugio dai peccati.
Altro poi è il frutto del battesimo, altro quello della penitenza. Col battesimo, infatti, rivestendoci di Cristo (cf. Ga13,27), diventiamo in lui una creatura del tutto nuova, conseguendo la piena e totale remissione di tutti i peccati; col sacramento della penitenza, invece, non è possibile giungere a questa novità e integrità senza grandi gemiti e fatiche da parte nostra, come esige la divina giustizia. Così che a buon diritto la penitenza è stata chiamata dai santi padri «un battesimo laborioso». Per coloro che sono caduti dopo il battesimo questo sacramento della penitenza è necessario alla salvezza, come lo stesso battesimo per quelli che non sono stati ancora rigenerati (can. 6)” (DS 1671-1672).
Va ricordato infine che nella Chiesa primitiva e anche in quella dei primi secoli il sacramento della Penitenza veniva celebrato una volta sola, perché si trattava della seconda tavola della salvezza.

Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo