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Quesito

Caro Padre Angelo,
perché è stato eliminato questo comandamento?
“Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai”
Grazie anticipate,
Giulia


Risposta del sacerdote

Cara Giulia,
1. Clemente Alessandrino in oriente e S. Agostino in occidente, nella trascrizione dei comandamenti, hanno lasciato perdere il divieto delle immagini.
E giustamente.

2. Infatti il divieto delle immagini: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra” (Es 20,4) è motivato dal pericolo dell’idolatria, come si evince dal medesimo testo dell’Esodo: “Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai” (Es 20,5).
Come non ricordare che Israele, vedendo che Mosé tardava a scendere dal monte, si costruì un vitello d’oro e disse: “Ecco il tuo dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto” (Es 32,7)?

3. Il Deuteronomio spiega tale divieto col fatto che Dio non si è rivelato con figure, ma si è fatto solo udire: “Poiché non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, state bene in guardia per la vostra vita, perché non vi corrompiate e non vi facciate l’immagine scolpita di qualche idolo…” (Dt 4,15-16).
Dio è assolutamente trascendente: “Egli è tutto”, ma, al tempo stesso, è “al di sopra di tutte le sue opere” (Sir 43,27-28), è “lo stesso autore della bellezza” (Sap 13,3).

4. “Tuttavia, come nota il Catechismo della Chiesa Cattolica, fin dall’Antico Testamento, Dio ha ordinato o permesso di fare immagini che simbolicamente conducessero alla salvezza operata dal Verbo Incarnato: così il serpente di rame (Nm 21,4-9; Sap 16,5-14; l’arca dell’Alleanza e i cherubini (Es 25, 10-22; 1 Re 6,23-28; 7,23-26)” (CCC 2130).
Proprio questa autorizzazione divina a costruire immagini o statue fa comprendere che il divieto non è per le immagini in se stesse, ma per gli idoli.

5. La vicenda del serpente di rame è molto eloquente. Dio dice a Mosé: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita” (Num 21,8). Ma quando gli israeliti gli bruceranno incenso e lo chiameranno Necustan, allora Ezechia lo farà a pezzi (2 Re 18,4) e il suo gesto viene lodato (2 Re 18,5-7). Nel Libro della Sapienza si dice chiaramente che la salvezza non veniva dal serpente, ma da colui che in esso era simboleggiato: “Infatti chi si volgeva a guardarlo era salvato non da quel che vedeva, ma solo da te, salvatore di tutti” (Sap 16,7). Ad esso si richiamerà Gesù (Gv 3,14-15).

6. Va notata anche l’insistenza nel rappresentare i cherubini, che sono realtà celesti e di loro natura invisibili. Non solo saranno messi “sulle estremità del coperchio” (Es 25,22), come Dio ha ordinato a Mosé, ma anche sulla Dimora (la tenda che contiene l’arca) (Es 36,8) e perfino sul velo che copre la Dimora (Es 36,35).
Anche Salomone fa mettere nella cella del tempio due cherubini di legno di ulivo (1 Re 6,23-28). Nella sua reggia vi sono immagini, come le statue di 12 buoi in metallo fuso (1 Re 7,23-26).

7. Ma, soprattutto con l’incarnazione del Verbo, l’immagine acquista un significato nuovo. Cristo infatti è “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15). Nessuno si sorprende, dunque, se nei primi secoli, soprattutto nelle catacombe, Gesù viene raffigurato nelle sembianze del buon Pastore.
Per questo il settimo Concilio Ecumenico, a Nicea (nel 787), ha giustificato, contro gli iconoclasti, il culto delle icone: quelle di Cristo, ma anche quelle della Madre di Dio, degli angeli e di tutti i santi.
Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica scrive: “Il culto cristiano delle immagini non è contrario al primo comandamento, che proscrive gli idoli. In effetti, l’onore reso ad un’immagine appartiene a chi vi è rappresentato, e chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto. L’onore tributato alle sacre immagini è una venerazione rispettosa, non un’adorazione che conviene solo a Dio” (CCC 2132).

Ti ringrazio per il quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo