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Quesito
Gentile Padre Angelo,
ho 21 anni, sono stato ateo fin dalla nascita sino ad un paio di anni fa. Purtroppo nella mia non ancora completa conversione la parte più difficile non risiede solo nel riadattare il mio modo di pensare cinico e razionale, ma anche riuscire a trovare risposte a domande capaci di farmi ricadere nel dubbio e far crollare una fede ancora fragile. In particolare le volevo porre una domanda circa il classico dilemma di Heidegger "perché l’ente piuttosto che il niente". Mi spiego, Dio, nella sua saggezza, sapeva che nel momento in cui avesse creato l’umanità, ci sarebbe stato chi l’avrebbe seguito ed avrebbe raggiunto la felicità eterna e chi no. Ma la felicità dei giusti compensa a pieno l’eterna sofferenza degli ingiusti? Se io fossi un padre, con due figli destinati ad una vita piatta e senza soddisfazioni e Dio mi proponesse: "posso cambiare la vita insignificante dei tuoi figli: uno di loro avrà successo, avrà una famiglia e sarà felice, mentre l’altro sarà destinato a grande sofferenza, finirà in depressione e si toglierà la vita", io da padre per amore uguale dei mie figli rifiuterei. Ma perché Dio, invece di lasciarci nella pace della non esistenza ci ha trascinato nella vita destinando una parte inevitabile di noi alla sofferenza (in vita e dopo di essa)? E poi, se al termine della mia vita raggiungessi il paradiso, come potrei essere esente da qualsiasi tipo di rimorso o di angoscia al solo pensiero che altri fratelli soffrono nell’inferno? Non sarebbe un paradiso di ipocrisia?
La ringrazio per il tempo dedicatomi,
Luca
Risposta del sacerdote
Caro Luca,
1. se tu fossi un insegnate sapresti fin dall’inizio che purtroppo qualcuno dovrà essere rimandato e forse anche bocciato.
Dall’esperienza apprendi anche che alcuni abbandoneranno la scuola.
Ma questi motivi sarebbero sufficienti per dire: non vale la pena far scuola?
Per quelli che ne trarranno profitto, per i loro posteri e per coloro che incrementeranno ulteriormente il tuo insegnamento porterà un beneficio immenso.
Tanto più che non sarai tu la causa dell’abbandono della scuola o dell’essere rimandati o bocciati.
2. Più o meno il discorso vale anche per Dio e per i motivi della creazione.
Dio non è la causa dell’infelicità o della dannazione di nessuno.
Anzi, quando qualcuno comincia separarsi da Lui, viene fatto oggetto di cure ancor più attente.
Come ha detto il Signore nella parabola della pecorella smarrita, addirittura lascia sui monti le novantanove pecore e va alla ricerca di quella smarrita.
In fondo è quello che ha fatto e continua a fare anche con te.
3. Nella tua mail dici che se un padre sapesse che uno dei due suoi figli è destinato alla sofferenza, per amore di tutti e due non dovrebbe metterli al mondo.
Potrei essere d’accordo con te se si sapesse che uno dei due è destinato alla sofferenza.
Ma nessuno invece è destinato all’inferno.
Purtroppo all’inferno ci si va perché ci si ostina esplicitamente o implicitamente (ed è quanto succede il più delle volte) a rifiutare il Paradiso, la Comunione con Dio.
4. Senza andare all’esempio estremo che tu hai portato, tuttavia i nostri genitori ci hanno messi al mondo pur sapendo che anche noi andremo incontro a difficoltà, a dolori, a sofferenze e inesorabilmente anche alla morte.
Ma hanno stimato tutte queste cose (compresa la morte) come inferiori ai beni immensi e alla felicità che ci donavano con la vita.
Tanto più poi se mediante la fede si è persuasi che in Cristo la fatica, il combattimento e anche la morte preparano beni inimmaginabili.
Dice San Paolo: “Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili.
Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne” (2 Cor 4,16-18).
5. Infine Dio non ci trascina nell’esistenza, ma dà il placet alla deliberazione dei nostri genitori.
A questa deliberazione – anche se talora irresponsabile – si vincola per l’amore e per il rispetto che ha per ogni uomo, tanto più che Egli è così buono e onnipotente che permette il male per trarne per noi e per altri un bene più grande.
Perseguendo questo obiettivo Egli ci ama e ci soccorre senza sosta, con infinito e onnipotente amore.
6. Certo, non possiamo dimenticare che Gesù ha detto di Giuda: “Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato” (Mt 26,24).
Per coloro che vanno all’inferno è meglio se non fossero mai nati.
Ma la volontà di andare all’inferno non è di Dio.
Anzi gli è del tutto contraria.
Così contraria che senza sosta, con infinito e onnipotente amore richiama, stimola, dona grazie su grazie (come l’esistenza quotidiana e tutti i beni dell’universo) anche a quelli che lo rifiutano e detestano.
7. Non c’è nessuna attività che richieda la libertà interiore quanto l’amore.
Ora Dio non toglie mai la libertà e permette (ci avrebbe da dire: purtroppo!) di non essere amato.
Ma anche questo, paradossalmente, è un segno del suo amore. E di un amore così grande che non riusciamo a comprendere.
Per questo, nonostante le risposte che ti ho dato siano vere, rimane sempre qualcosa che sfugge, qualcosa di inafferrabile
. Dovremmo essere grandi e infiniti come è grande e infinito Lui per poterlo comprendere adeguatamente.
Intanto perché il bene ancora più grande per il quale ha permesso il tuo pregresso ateismo ti avvolga sempre più e perché tu possa possederlo in maniera sempre più piena e beatificante ti assicuro volentieri il mio ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo