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Quesito

Buongiorno, padre Angelo.
Oggi sono qui con una questione che mi porto dietro da molto tempo e che è riemersa dopo la lettura del Vangelo di oggi (“pagliuzza e trave”, del quale vorrei chiederti anche una breve spiegazione)
Io non ho compreso quale sia il confine tra il dire ad una persona che qualcosa che sta facendo non va bene (che ho sentito essere un dovere morale) e il giudicare quella persona (che invece è sbagliato): come posso riconoscerlo?
Vorrei poi portarti degli esempi concreti del mio passato per capire bene se ciò che ho fatto è stato semplicemente dire a quella persona che ciò che stava facendo era sbagliato, oppure ho giudicato e, in questo caso, se si trattava di peccato veniale o mortale (anche se non credo di essere arrivato fino a questo punto, sebbene non ne sia sicuro al 100%).
Per quanto riguarda questi esempi, pensavo di mandarteli nella prossima mail, dopo la sua risposta alla presente mail. A tal proposito, siccome alcune di queste situazioni riguardano cose che ho scritto io sui social, volevo chiederti se io posso inviare foto delle conversazioni in questione, ovviamente oscurando nome e foto profilo del mio interlocutore.
Grazie veramente. Attendo conferma per quanto detto sopra.


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. la differenza tra pagliuzza e trave è evidente. Non credo che abbia bisogno di spiegazione.
In ogni caso la pagliuzza tutto sommato rappresenta una mancanza veniale, la trave invece possiamo configurarla col peccato mortale.

2. Questo è anche il pensiero di San Tommaso il quale commentando Mt 7,3 dove si legge: “perché vedi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello e non vedi la trave che è nel tuo?” scrive: “Qui dice che il giudizio non deve essere disordinato: infatti è disordinato quando inizia da parte di qualcuno senza che sia stata esaminata pienamente la causa o la gravità del delitto. Poiché nel giudicare sono necessarie due cose: la conoscenza della causa e il giudizio.
 “Perché vedi la pagliuzza“, un lieve peccato, “nell’occhio“, cioè nella coscienza, “del tuo fratello“, e “non vedi la trave“, cioè un grave peccato, “che è nel tuo?”.
Con la trave e la pagliuzza insegna a considerare la gravità dei peccati: spesso infatti quanti commettono dei gravi peccati riprendono quanti ne commettono di leggeri, come accade nel giudicare i religiosi. Quando alcuni, che fanno cose gravi, giudicano gravi quelle leggere che vedono nei religiosi; ma esse vengono inghiottite come una goccia d’acqua in molto vino.
Così pure accade che uno per debolezza pecchi lievemente, e qualche giudice cattivo e mal disposto, che vorrebbe punirlo per odio, considera la pagliuzza nel suo occhio, ma non la trova nel proprio. “In che modo” dunque, cioè con quale faccia tosta, puoi dire: “fratello, lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio?”. Devi vergognarti”.

3. Mi chiedi quale sia il confine tra il dire ad una persona che ciò che sta facendo non va bene e il giudicare la persona.
Certo si deve intervenire quando una persona sbaglia e il suo errore, anche se lieve, è nocivo al lavoro che si sta facendo o per il bene comune.
Si può invece sopportare quando si tratta di modi tipici di agire di una determinata persona che possono disgustare o dare fastidio, ma non sono nocivi al bene comune.

4. Inoltre si deve distinguere tra giudizio razionale e giudizio morale.
Il giudizio razionale è più che legittimo. Tutto il nostro modo di conoscere procede per giudizio. La nostra mente conosce proprio giudicando, e cioè esamina se quanto viene detto è logico in se stesso ed è rispondente alla realtà. 
Ad esempio, mentre leggo la tua mail e mentre sto rispondendo, non posso non giudicare il significato delle parole, se siano dette con connessione logica e in maniera chiara, se siano rispondenti alla realtà, se siano intellegibili, se siano offensive, eccetera, eccetera.
Questo è il modo proprio di procedere della nostra mente. Non è di questo giudizio che il Signore parla.
Anzi, in riferimento a questo chiede di esprimere dei giudizi: “Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: «Arriva la pioggia», e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: «Farà caldo», e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 12,54-57).

5. Diverso invece è il giudizio morale, quello che incolpa la coscienza.
Infatti perché il giudizio sia equo è necessario “conoscere pienamente la causa o la gravità del delitto”, come ricorda San Tommaso.
Ma chi può conoscere pienamente il cuore dell’uomo, che è la causa dei vari peccati, se non Dio solo?
È qui che si deve arrestare il nostro giudizio di colpevolezza morale.

6. I tribunali umani giudicano dall’esterno. Non hanno il compito di giudicare la coscienza, ma di giudicare le azioni. E fanno il loro dovere.
In confessione il giudizio è già più integro perché è il soggetto che si accusa.
Non è il confessore che incolpa, ma è il penitente che incolpa se stesso.

7. E tuttavia anche il soggetto stesso, sebbene si riconosca colpevole, non conosce pienamente se stesso, come del resto dice San Paolo: “Anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode” (1 Cor 4,3-5).

Ti benedico, ti auguro ogni bene e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo