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Quesito

Caro padre Angelo Bellon,
mi permetto di disturbarla oltre per un dubbio recente su alcune considerazioni trovate in uno schema didattico trovato su Internet (Istituto Teologico di …). Copio integralmente un lungo passaggio riferito al sacramento della riconciliazione:
– La prassi proposta di Mt 18,15-17: alla comunità è dato il potere di legare e sciogliere: tradizionalmente testo fondativo del sacramento:
Innanzitutto va capito all’interno del contesto generale di Mt 16-18 dove si colloca il discorso ecclesiastico: il perdono quale momento della rinuncia al potere per vivere la novità del regno. Non è un puro mandato di autorità ma di servizio reciproco.
Secondo l’esegesi sono parole non autentiche di Gesù ma attribuite a lui per dar valore alla prassi della comunità, come è l’invito finale di Mt di andare in tutto il mondo per battezzare nel nome della trinità.
E’ la prassi-coscienza della comunità che sente la convergenza del suo operare con l’intenzione/spirito di Gesù.
Legare e sciogliere è da capire secondo la tradizione rabbinica che concedeva ai rabbini di determinare ciò che era proibito e ciò che era permesso e di cacciare e riaccogliere colui che era cacciato dalla comunità.
E’ un gesto o una prassi consegnata a tutta la comunità e non ad un solo ministro.
Il mandato dato da Gesù dopo la resurrezione in Gv 20,23: è da collocare all’interno della stessa dinamica redazionale: si attribuisce a Gesù la prassi della comunità, in particolare nei riguardi della fede come era il caso di Tommaso nel contesto di Gv 20.
I testi paolini contemplano la questione del peccato nella comunità senza però suggerire un rito specifico circa il perdono: La durezza del trattamento del peccatore: 1Cor 5,3-5; La tenerezza dei suoi confronti: Gal 6,1-3
Il casus belli che qui Le propongo non e’ la giustificazione scritturale del sacramento, bensi’ alcuni commenti che mi sembrano eterodossi, forse per mia ignoranza.
Comprendo la necessità di sintesi in una dispensa per studenti, ma quelle asserzioni: "…secondo l’esegesi, parole non autentiche di Gesù ma attribuite a lui…" e anche "…si attribuisce a Gesù la prassi della comunità…" formulate così brutalmente sono per me particolarmente disturbanti.
Abbiamo abbastanza problemi con miscredenti e anche protestanti che ci attribuiscono variazioni del testo pro domo nostra (ovvero forzature a uso e consumo della interpretazione autentica dal Magistero e Tradizione), come e’ possibile avvallare e proporre a teologi in erba frasi del genere con tranquillità, senza fare un esteso preambolo per evitare di minare la credibilita’ del testo e quella dei fedeli cattolici? Il testo della tradizione secondo Matteo non e’ quello canonizzato qualche secolo dopo la stesura del testo? Parafrasando le parole di un noto prefetto romano, "che cos’e’ la verita’?
Grazie in anticipo,
Mauro


Risposta del sacerdote

Caro Mauro,
1. l’autore di quelle dispense sottintende che i Vangeli siano l’esposizione della fede della prima comunità cristiana, ma che non si tratterebbe di libri che trasmettono in maniera autentica le parole di Gesù.

2. L’autore dice che “secondo l’esegesi sono parole non autentiche di Gesù ma attribuite a lui”.
Quale esegesi?
E quali sono i motivi di quell’“esegesi” per dire che non si tratta di parole di Gesù?
Come vedi l’autore si nasconde dietro un’etichetta (l’esegesi, non meglio identificata) per dire quello che vuole, in maniera del tutto infondata.
Questa non è serietà.
Ma procediamo con ordine.

3. L’autore asserisce che Mt 18,15-17 sarebbe “tradizionalmente testo fondativo del sacramento”.
Il Concilio di Trento (testimone della vera tradizione) dice invece: “Ma il Signore ha istituito il sacramento della Penitenza principalmente quando, risorgendo dai morti, soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi (Gv 20,22-23)” (DS 1670).
Dunque il sacramento della Penitenza non è stato istituto dalla Chiesa primitiva e attribuito a Cristo per dargli forza, ma da Cristo stesso.
Inoltre è stato istituito principalmente la sera del giorno della sua risurrezione (Gv 20,22-23.
Mentre il testo di Mt 18 riguarda il governo generale della Chiesa, all’interno del quale vi è anche la celebrazione del sacramento della Penitenza affidato agli apostoli.

4. Ma stupisce anche che l’autore si riferisca a Mt 18 e non  a Mt 16, quando per la prima volta Cristo affida a Pietro il governo della Chiesa dicendo “A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19).
Speriamo che l’autore di quelle affermazioni non dica che anche queste parole non le ha dette Gesù, ma sarebbero della comunità cristiana!

5. Hai ragione nel dire che le affermazioni di quella dispensa disturbano, perché distruggono senza motivare. È una ricostruzione ideologica dell’autore.

6. In ogni caso ti trascrivo alcune affermazioni di Benedetto XVI nella sua introduzione a Gesù di Nazaret: “A cominciare dagli anni Cinquanta la situazione cambiò. Lo strappo tra il «Gesù storico» e il
«Cristo della fede» divenne sempre più ampio, l’uno si allontanò dall’altro a vista d’occhio.
Ma che significato può avere la fede in Gesù il Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi
l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai
Vangeli, lo annuncia la Chiesa
?

I progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne sempre più nebulosa, prese contorni sempre meno definiti. Nello stesso tempo le ricostruzioni di questo Gesù, che doveva essere cercato dietro le tradizioni degli evangelisti e le loro fonti, divennero sempre più contrastanti: dal rivoluzionario anti-romano che mira al rovesciamento dei poteri esistenti e naturalmente fallisce, al mite moralista che tutto permette e inspiegabilmente finisce per causare la propria rovina. Chi legge di seguito un certo numero di queste ricostruzioni può subito constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona fattasi sbiadita. In conseguenza di ciò nel frattempo è si cresciuta la diffidenza nei confronti ditali immagini di
Gesù; la figura stessa di Gesù, tuttavia, si è allontanata ancora più da noi.
Come risultato comune di tutti questi tentativi è rimasta l’impressione che, comunque, sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo in seguito la fede nella sua divinità abbia plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto” (pp.7-8).
“Va detto innanzitutto che il metodo storico – proprio per l’intrinseca natura della teologia e della fede – è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico. Per la fede biblica, infatti è fondamentale il riferimento a eventi storici reali. Essa non racconta la storia come un insieme di simboli di verità storiche, ma si fonda sulla storia che è accaduta sulla superficie di questa terra. Il factum historicum per essa non è una chiave simbolica che si può sostituire, bensì fondamento costitutivo: Et incarnatus est – con queste parole noi
professiamo l’effettivo ingresso di Dio nella storia reale.
Se mettiamo da parte questa storia, la fede cristiana in quanto tale viene eliminata e
trasformata in un’altra religione
. Se dunque la storia, la fatticità, in questo senso appartiene
essenzialmente alla fede cristiana, quest’ultima deve esporsi al metodo storico. È la fede stessa che lo esige. La ricordata Costituzione conciliare sulla Divina Rivelazione lo afferma molto chiaramente al numero 12, indicando anche singoli concreti elementi metodologici da tenere presenti nell’interpretazione della Scrittura” (pp.11-12).

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo