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Quesito

Caro Padre Angelo,
nel contesto della domanda precedente (pubblicata ieri, n.d.r.), mi lascia anche perplesso la lettura del libro di Giobbe, dove il diavolo dialoga tranquillamente, quasi con autorità, con Dio. Insomma: come vecchi amici. E si permette, il diavolo, di chiedere ed ottenere delle concessioni alla sua azione malvagia. A quale titolo? Secondo me, il diavolo dovrebbe tremare solo all’idea di avvicinarsi all’Onnipotente; altro che conversare. Alla fine, mi verrebbe da dire, chi ci fa la figura migliore di tutti è proprio l’innocente Giobbe.
Inoltre, nel libro di Giobbe non mi convince il finale, che mi sembra posticcio, falsamente consolatorio (infatti, per lo più, sulla terra, l’esito di malattie devastanti è la morte; e Giobbe, nella prima parte, mi dà l’impressione di sapere che non ce la farà) e adatto ad una mentalità di una cultura pastorizia – ben lontana, quindi, dalla nostra sensibilità -, cultura, appunto, che si ritiene di appagare con il fornire un’altra moglie, altri figli (e quelli morti?) e greggi in abbondanza.
Mi lascia insoddisfatto pure quella che dovrebbe essere la risposta di Dio al motivo del dolore senza senso. Riassumendo, la risposta mi pare questa: il dolore non è la conseguenza di una condotta colpevole; per il resto, io sono Dio, creatore dell’Universo, e le cose stanno così, perché ho deciso così; tu, creatura, non puoi capire. Allora, con queste indicazioni (almeno, prima della venuta di Cristo), ragionare troppo su Dio mi sembra uno sforzo vano. In tante occasioni, occorre riconoscere semplicemente che Dio è totalmente Altro da noi: e arrendersi – o, se si preferisce, abbandonarsi – alla Sua volontà, che ha concepito questo mondo, così imperfetto e malato.
D’altra parte, so anche di aver ragionato con l’accetta; perciò, quando può, Le chiedo di dedicare al Libro di Giobbe le considerazioni che la Sua preparazione riterrà opportune, in modo che anch’io ne possa apprezzare il contenuto autenticamente cristiano.
La ringrazio e la saluto cordialmente.
Michele


Risposta del sacerdote

Caro Michele,
1. i testi sacri sono stati scritti in maniera adatta alla comprensione dell’uomo dei tempi in cui Dio si è rivelato.
Sotto il profilo teologico non possiamo proprio pensare che satana possa andare davanti a Dio e conversare con Lui come vuole, come possono fare fra loro due amici o anche, nella peggiore delle ipotesi, due nemici.
Satana non ha alcuna possibilità di avvicinarsi a Dio.
Anche nei confronti del Dio fatto carne trema solo al sentirlo avvicinarsi. È quanto la Chiesa ci ha fatto sentire nel vangelo di ieri (mercoledì della tredicesima settimana del tempo ordinario. Appena ne avvertono la presenza i demoni “Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?»” (Mt 8,29).

2. Sulla seconda tua riflessione nella quale ti dichiari insoddisfatto per la risposta di Dio in merito alle vicende di Giobbe, ti trascrivo quanto osserva la prestigiosa Bibbia di Gerusalemme:
“Il lettore sa, dal prologo, che i suoi mali vengono da satana e non da Dio, e che sono una prova della sua fedeltà. Ma Giobbe non lo sa, né lo sanno i suoi amici. Questi avanzano le risposte tradizionali: la felicità degli empi è di breve durata (cf. Sal 37; 73); la disgrazia del giusto saggia la sua virtù (cf. Gen 22,12); oppure, la pena castiga colpe commesse per ignoranza o debolezza (cf. Sal 19,13;25,7)”
E poi “i suoi moti contro Dio portano gli amici a riconoscere in Giobbe uno stato di ingiustizia molto più profondo: i mali che affliggono Giobbe non si possono spiegare se non come punizione di gravi peccati. I discorsi di Eliu approfondiscono queste soluzioni: se Dio affligge coloro che parevano giusti, è per far loro espiare peccati di omissione o colpe inavvertite; oppure lo fa per prevenire colpe più gravi e guarire il peccato di orgoglio”.

3. La soluzione non sta nel riconoscere che Dio ci ha messo in un mondo imperfetto e malato.
Anzitutto perché può dare l’impressione che Dio abbia fatto un mondo imperfetto e malato e poi vi abbia messo l’uomo. Il che non è vero.
E poi perché, se è vero che “quando Dio interviene, interviene per rivelare la trascendenza del suo essere e dei suoi disegni e per ridurre Giobbe al silenzio”, tuttavia il suo dire non si ferma qui. Ma nel dolore c’è un mistero che viene svelato pienamente in Cristo.

4. La Bibbia di Gerusalemme prosegue: “È questo il messaggio religioso del libro: l’uomo deve persistere nella fede anche quando il suo spirito non ne è appagato. A questo stadio della rivelazione, l’autore del libro di Giobbe non poteva andare oltre.
Per illuminare il mistero della sofferenza innocente, bisognava attendere di avere la certezza della retribuzione dell’aldilà e di conoscere il valore della sofferenza degli uomini unita a quella di Cristo.
Alla domanda angosciosa di Giobbe risponderanno due testi di san Paolo: «Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18) e: «Do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo Corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).

5. Mi pare che le riflessioni della Bibbia di Gerusalemme aiutino a comprendere il dramma di Giobbe e anche il mistero della presenza del male nel mondo e in noi.
Questo male non si riesce a comprenderlo se non nella prospettiva di Cristo, nella sua morte redentrice, atto sommo di amore per Dio e per noi, e nella sua risurrezione.
In questa prospettiva Giovanni Paolo II, profondamente segnato nella sua carne dalla presenza devastante della sofferenza, poteva scrivere: “La sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell’amore”…
Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza” (SD 30).

6. Con questo, anche se non tutto è compreso, tuttavia troviamo una luce molto grande, sufficiente a portare con dignità le nostre sofferenze in unione con quelle di Cristo e della Beata Vergine Maria.

Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo