Questo articolo è disponibile anche in: Italiano

Quesito

Buonasera. Mi chiamo Franca e Le scrivo per avere dei chiarimenti in merito a una discussione avuta con una persona molto preparata che, citando la storia antica, sostiene che ancora oggi nella dottrina, la Chiesa ha il potere di rimettere tutti i peccati tranne quello di apostasia.
(Nella conversazione facevamo riferimento al peccato di apostasia inteso come rifiuto totale di Dio e di Gesù).
Ho letto alcuni suoi interventi che fanno intendere invece che ogni peccato può essere rimesso dalla Chiesa senza limite alcuno e mi sono confusa.
Le sarei grata se mi desse degli aiuti, anche attraverso uno studio con il quale possa dimostrare ciò che Lei asserisce e quindi che ancora oggi il potere di legare e sciogliere riguarda tutti i peccati senza eccezione e se nel tempo questo punto possa essere cambiato dalle leggi della Chiesa. 

La ringrazio in anticipo e attendo la Sua risposta, sperando di essere stata chiara nel porgerLe la mia domanda. Le auguro ogni bene.


Risposta del sacerdote

Cara Franca,
1. per apostasia s’intende il ripudio totale della fede cristiana.
Sulla riammissione degli apostati nella Chiesa antica ti riporto quanto si legge in un testo di Storia della Chiesa, il Bihlmaeyer –Tuechle:
“La Chiesa antica quale « comunità di santi» esigeva dai suoi membri un alto tenore di vita morale. Il sigillo battesimale, già in vista del prossimo atteso ritorno del Signore, doveva essere conservato «sacro e inviolabile». Ne seguiva una grande severità verso i peccatori, anche se solo alcuni vescovi isolati della fine del 2° secolo punivano nel loro rigorismo con l’esclusione perpetua dalla Chiesa i cosiddetti peccati capitali, cioé soprattutto l’idolatria, ossia la negazione della fede (idolatria), l’assassinio e la lussuria (adulterium e fornicatio).
Anche i rei di peccati gravi erano ammessi fin da principio a fare penitenza e, dopo che l’avevano fatta, si concedevano loro il perdono e la riammissione alla Chiesa” (Storia della Chiesa, I,  § 24, 1.

2. “Secondo ogni apparenza, Tertulliano nel suo scritto premontanista «De poenitentia»
ammette il perdono della Chiesa, almeno sul letto di morte.
L’intercessione di martiri e
confessori o il rilascio di una lettera di pace
(libellus pacis) per un rinnegato che si pentiva,
accelerava in generale l’assoluzione e la riassunzione nella Chiesa” (Ib.).
“Non si può dimostrare che martiri e confessori laici avessero il diritto di dare per conto
proprio la pace ai peccatori e di condonare la penitenza. La loro voce aveva certamente un
peso notevole, ma per quanto riguarda la loro intercessione, essa doveva venire regolarmente
ratificata dal vescovo” (Ib.).

3. Verso la metà del 3° secolo scoppiò una violentissima persecuzione sotto l’imperatore Decio. Molti apostatarono. Ma anche nei loro confronti, una volta pentiti, la Chiesa li riammise.
Ecco la narrazione dei nostri due storici:
“A prescindere dalla breve persecuzione sotto Massimino la Chiesa aveva già goduto quarant’anni di pace. In questo periodo guadagnò notevolmente terreno e potè sviluppare indisturbata la sua organizzazione. Penetrò più che in passato anche nelle gerarchie dello Stato e nella società e conquistò molti aderenti perfino fra i nobili e i funzionari. Ma all’accrescimento esterno non corrispondeva il perfezionamento interiore; la lunga pace aveva portato un certo rilassamento. Parecchi chierici e laici si erano dati alla vita mondana ed erano diventati cristiani tiepidi.
Come osserva Cipriano (De lapsis 5) «per mettere alla prova la sua famiglia » Dio mandò un’altra persecuzione. Fu di breve durata, ma violentissima e pericolosa. È dovuta a Decio (249-51), uno di quegli imperatori militari poco colti, ma pieni di energia, di origine pannonico-illirica, che fecero una politica di restaurazione in grande stile. Egli voleva dare all’Impero quasi in rovina per la corruzione e l’invadenza soffocatrice del costume orientale maggiore forza di resistenza contro i nemici esterni ed interni e riportarlo allo splendore di un tempo; credeva quindi di dover sottomettere all’antica religione nazionale unitaria in primo luogo i cristiani, a suo avviso i nemici più pericolosi dello Stato Romano.
Procedette con tale decisione e così sistematicamente che la sua persecuzione ha un’importanza superiore a tutte le precedenti ed inaugura un periodo nuovo nella storia delle stesse. Un editto della fine del 249 o dell’inizio del 250 ordinava a tutti i sudditi di offrire agli dèi, unitamente alle mogli e ai figlioli, un solenne sacrificio propiziatorio (supplicatio). Contro gli esitanti si doveva procedere ricorrendo a tutti i mezzi propri di una giustizia crudele: carcere, confisca dei beni, esilio, lavori forzati, poi, crescendo in asprezza, la tortura e finalmente, in certe circostanze – non in molti casi – anche la pena di morte. I vescovi erano presi di mira in modo speciale; Decio diceva di tollerare più facilmente un rivale nell’Impero che un vescovo
cristiano a Roma.
Poiché il colpo venne come fulmine a ciel sereno, grande fu lo spavento dei cristiani.
Purtroppo in molti casi essi diedero prova di scarsa forza di resistenza: nelle grandi città come Alessandria, Cartagine, Smirne e Roma, si verificò una defezione in massa (Eusebio VI, 39-41; Cipriano De lapsis 7-9); tradirono la fede persino alcuni vescovi. Una parte dei cristiani apostati (lapsi) offerse agli dèi sacrifici di animali o di incenso (sacrificati, turificati), altri invece, senza offrire sacrifici, seppero fare in modo, sia colla astuzia, sia colla corruzione, da procurarsi dalle autorità il prescritto certificato di sacrificio compiuto
(libellus) e la registrazione nelle liste ufficiali (libellatici, acta o accepta facientes).
Ma ci fu anche «una moltitudine» (Cipriano De lapsis 2) di confessori e di martiri di ogni età e sesso saldi nella loro fede; fra gli altri il papa Fabiano, una delle prime vittime della persecuzione (la sua sede rimase vacante più di un anno), il presbitero Pionio di Smirne, che fu arso, i vescovi Babila di Antiochia e Alessandro di Gerusalemme, i quali morirono in carcere, il vecchio Origene, che soffrì gravi torture in carcere ma poi fu
rilasciato. Molti, come i vescovi Cipriano di Cartagine, Dionisio di Alessandria e Gregorio il
Taumaturgo di Neocesarea, si salvarono attraverso gravi stenti con la fuga.
Nella primavera del 251 la persecuzione si rallentò, perché Decio fu distratto dall’irruzione dei Goti nella Mesia. Quando egli nel maggio o nel giugno del 251 cadde combattendo contro di loro sul Danubio inferiore, subentrò una pace totale. La Chiesa era stata scossa gravemente, ma non vinta. Molti «lapsi» rientrarono pentiti; a Roma e Cartagine la loro riammissione
provocò gravi controversie
(v. § 35, 1.2)” (Storia della Chiesa, I,  § 16, 1).

4. Ma “i sinodi di Roma sotto papa Cornelio (251-53) e di Cartagine decisero di ammetterli non solo in caso di pericolo di morte, ma anche per principio, dopo averli sottoposti a una penitenza di lunga durata” (Storia della Chiesa, I,  § 24, 1).

5. Questa dunque la storia antica.

6. Oggi la Chiesa riammette pacificamente coloro che hanno apostatato.
Ad essi, sotto le indicazioni del vescovo, viene fatto compiere un cammino che li aiuti a ricuperare la pienezza della fede.
Così ad esempio fà con chi ha chiesto lo “sbattezzo”, compiendo di fatto un’apostasia.
Molti di coloro che hanno chiesto lo sbattezzo se ne sono pentiti e sono stati riammessi alla comunione ecclesiale.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo