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Quesito

Caro padre Angelo,
anzitutto grazie ancora del servizio prezioso che svolge; un vero tesoro per tutti noi. Di nuovo mi rivolgo a lei perché leggendo una domanda posta nel 2007 sulla schiavitù, in cui si citava un infelice passo di un documento del Sant’Uffizio, sono rimasto sorpreso che nella risposta non sia stata citata la bellissima enciclica di Leone XIII In Plurimis del 1888, che tratta proprio dell’argomento della schiavitù.
Il grande Papa la definisce con parole durissime, e fa un excursus di tutte le iniziative che la Chiesa e i Papi da sempre lungo la storia hanno intrapreso per estirpare questo grave peccato contro Dio e contro la natura, questa vergogna dell’umanità. Lo stesso Papa poi guida correttamente l’interpretazione dei passi delle lettere di Paolo a riguardo.
E la cosa è quanto mai attuale. Pensiamo a quanta schiavitù c’è ancora oggi: donne costrette a prostituirsi, stranieri sfruttati come animali da imprenditori agricoli in Puglia dove vivo io, disperati che dall’Africa si riversano sulle nostre spiagge. Sino ad arrivare alle schiavitù piu soft che un mondo del lavoro senza Cristo e estremamente concorrenziale impone: donne emarginate perché madri, lavoro nero, famiglie considerate come intralcio per la carriera, ecc…chi non produce, o non produce nell’immediato, è scartato, i bambini, i giovani e gli anziani, condannati alla schiavitù dell’abbandono.
Ci tenevo a precisare questo, e mi sono permesso solo perché questa della permissione della schiavitù è un’altra "leggenda nera" raccontata per infangare la Chiesa Cattolica.
La saluto e preghiamo gli uni per gli altri.
Cosimo


Risposta del sacerdote

Caro Cosimo,
1. la risposta pubblicata nel nostro sito non intendeva trattare della schiavitù, ma semplicemente dare la spiegazione di un intervento del Sant’Uffizio del 20 giugno 1866 ad una interrogazione fatta dal Card. Massaia che a quei tempi era vicario apostolico in Etiopia sulla prassi da seguire su alcuni usi diffusi tra gli indigeni: poligamia, matrimonio, battesimo, schiavitù, vendetta.
Rispondendo sulla schiavitù (12-15), l’istruzione del Sant’Uffizio ricordava che "i pontefici non hanno lasciato nulla di intentato per abolire la servitù tra le nazioni".
La medesima Istruzione asseriva che "la servitù, considerata di per sé e in assoluto, non ripugna al diritto naturale e divino".
Però questa legittima servitù presuppone che il servo si doni "spontaneamente e con la libera e propria volontà" e venga trattato "secondo i precetti della carità cristiana".
Se invece questi uomini sono stati ingiustamente ridotti in servitù "non possono essere comprati e ricevuti" e hanno regolarmente diritto di fuggire.

2. Nella mia risposta ricordavo che in passato non si era all’interno di uno stato di diritto e di uno stato sociale e che tanta gente in cambio della propria prestazione trovava assistenza e protezione nel proprio padrone fino alla morte.
Ma questo presupponeva che gli schiavi si consegnassero "spontaneamente e con la libera e propria volontà", con la condizione di essere trattati "secondo i precetti della carità cristiana".
Se invece erano ingiustamente ridotti in servitù non potevano essere accolti  o essere oggetti di contratto e avevano regolarmente il diritto di fuggire.
Pertanto le affermazioni del sant’Uffizio non sono state “un infelice passo”.
Piuttosto il visitatore che le aveva scritte probabilmente le aveva prese da un infelice e forse anche disonesto taglio dell’Istruzione fatto da qualcuno per screditare il Magistero.

3. Ti ringrazio di avermi dato la possibilità di tornare su questo argomento e precisare ulteriormente la mia risposta.
Ma nello stesso tempo ti ringrazio anche perché mi offri l’opportunità di ricordare un’enciclica di Leone XIII scritta nel 1888  in occasione della liberazione di molti schiavi fatta in Brasile per rendere omaggio al Papa per il 50° del suo sacerdozio.
Oltre a ricordare la pari dignità di tutte le persone derivante dal fatto che sono chiamate a partecipare alla vita soprannaturale di Dio che elimina in radice ogni motivo di superiorità degli uni sugli altri e che è stata proprio la civiltà cristiana ad introdurre i principi disgregatori della schiavitù, il Papa mette in evidenza l’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli schiavi quando questo problema tornò alla ribalta con la schiavitù perpetrata dai mussulmani e poi con la scoperta dei nuovi mondi.

4. Ecco il passo centrale che merita di essere riportato:
“Alla fine del secolo decimo quinto, quando la funesta piaga della schiavitù era quasi scomparsa presso le genti cristiane e gli Stati tentavano di rafforzarsi nella libertà evangelica e di estendere il loro dominio, questa Sede Apostolica, con assidua vigilanza cercò di impedire che rigermogliassero quei malefici semi.
Perciò rivolse la sua vigile attenzione ai territori da poco tempo scoperti in Africa, in Asia, in America.
Infatti era giunta voce che i capi di quelle spedizioni, sebbene cristiani, avessero abusato delle armi e dell’ingegno per imporre la schiavitù a popoli inoffensivi.
In pratica, a causa della natura del territorio che si voleva sottomettere e delle miniere di metalli da esplorare e scavare con grande impiego di mano d’opera, furono adottati provvedimenti sicuramente ingiusti e inumani.
Infatti si cominciò con qualche traffico deportando dall’Etiopia schiavi da impiegare in quei lavori: tale operazione, poi definita "la tratta dei negri", infierì oltre misura in quelle colonie.
Seguì poi, con crudeltà non dissimile, l’oppressione degli indigeni (generalmente chiamati "Indiani") al modo degli schiavi.
Non appena questi fatti furono noti a Pio II, senza alcun indugio, il giorno 7 ottobre dell’anno 1462, scrisse una lettera al Vescovo di Rubicon per biasimare e condannare tanta malvagità.
Non molto tempo dopo Leone X usò tutti i buoni uffici e l’autorità in suo potere, presso i re del Portogallo e delle Spagne, perché provvedessero a estirpare dalle radici quell’abuso contrario non solo alla religione ma anche all’umanità e alla giustizia.
Tuttavia quella vergogna persisteva perché sopravviveva l’ignobile causa dell’insaziabile avidità di lucro. Allora Paolo III, ansioso nella sua paterna carità per la sorte degli indiani e degli schiavi africani, prese la decisione estrema di affermare con solenne decreto, al cospetto di tutte le genti, che a tutti gli schiavi era dovuto un giusto e particolare potere in triplice forma: potevano disporre della propria persona; potevano vivere in società secondo le loro leggi; potevano acquistare e possedere beni. Queste disposizioni ebbero più ampia conferma nella lettera inviata al Cardinale Arcivescovo di Toledo: chi avesse operato contro lo stesso decreto incorreva nella interdizione dei sacramenti, integra restando la facoltà del Romano Pontefice di assolvere.
Con la stessa sollecitudine e con la stessa costanza, altri Pontefici quali Urbano VIII, Benedetto XIV, Pio VII si dimostrarono strenui difensori della libertà per gli Indiani e per i Negri e per altri non ancora educati alla fede cristiana.
Pio VII, inoltre, nel congresso di Vienna dei principi alleati europei, richiamò l’attenzione di tutti anche su quella tratta dei Negri (di cui si è detto) perché fosse radicalmente abolita, come era già stata soppressa in molti luoghi.
Anche Gregorio XVI ammonì severamente coloro che disprezzavano la clemenza e le leggi; richiamò in vigore i decreti e le pene stabilite dalla Sede Apostolica e non omise alcun argomento perché anche le nazioni lontane, imitando la moderazione di quelle europee, si astenessero dalla ignominia e dalla crudeltà della schiavitù . A proposito, è accaduto a Noi di ricevere congratulazioni da principi e da governanti per aver ottenuto, a forza di perseveranti preghiere, che fosse dato ascolto ai lunghi e giustissimi reclami della natura e della religione.
In situazione analoga, affligge non poco il Nostro animo un’altra preoccupazione che sprona la Nostra sollecitudine. Se cioè un così turpe mercato di uomini è di fatto cessato nei mari, tuttavia esso viene praticato in terra in modo troppo esteso e barbaro, soprattutto in molte zone dell’Africa.
Poiché infatti i Maomettani praticano la perversa teoria per cui un Etiope o un uomo di stirpe affine sono appena al di sopra di un animale, è facile comprendere con sgomento quale sia la perfidia e la crudeltà di quegli uomini.
All’improvviso, senza alcun timore, si avventano contro le tribù degli Etiopi, secondo l’usanza e con l’impeto dei predoni; fanno scorrerie nelle città, nei villaggi, nelle campagne; tutto devastano, spogliano, rapiscono; portano via uomini, donne e fanciulli, facilmente catturati e vinti, per trascinarli a viva forza sui più infami mercati.
Dall’Egitto, da Zanzibar e in parte anche dal Sudan, come da centrali di raccolta, partono di solito quelle abominevoli spedizioni; per lungo cammino gli uomini procedono stretti in catene, scarsamente nutriti, sotto frequenti colpi di frusta; i meno adatti a sopportare queste violenze vengono uccisi; quelli che sopravvivono, sono venduti come gregge insieme ad altri schiavi e sono costretti a schierarsi davanti a un compratore difficile e impudente.
Coloro che sono venduti a costui sono costretti alla miseranda separazione dalla moglie, dai figli, dai genitori; e in suo potere sono sottoposti a una schiavitù crudele e nefanda, e non possono ricusare la stessa religione di Maometto.
Questi fatti abbiamo appreso or non è molto, con l’animo profondamente turbato, da alcuni che furono testimoni, non senza lacrime, di siffatta infamia e aberrazione; con essi, poi, convengono pienamente le narrazioni dei recenti esploratori dell’Africa Equatoriale. Anzi, dalla loro attendibile testimonianza risulta che il numero degli Africani venduti annualmente, a guisa di gregge, ammonta a quattrocentomila, di cui circa la metà, estenuata dal tribolato cammino, cade e muore, in modo che i viaggiatori (quanto è triste a dirsi!) possono scorgere il cammino quasi segnato da ossa residue.
Chi non si sentirà commosso al pensiero di tanti mali? Noi, che rappresentiamo la persona di Cristo, amantissimo di tutte le genti, liberatore e Redentore, Noi che Ci allietiamo dei molti e gloriosi meriti della Chiesa verso gli infelici di ogni sorta, a stento possiamo dire quanta pietà proviamo verso quelle infelicissime genti, con quanta immensa carità tendiamo loro le braccia, quanto ardentemente desideriamo di procurare loro tutti i conforti e i soccorsi possibili, affinché, non appena distrutta la schiavitù degli uomini insieme con la schiavitù della superstizione, possano finalmente servire un solo Dio, sotto il soavissimo giogo di Cristo, partecipi con Noi della divina eredità. Volesse il cielo che tutti coloro che sono più in alto per autorità e potere, e che vogliono santificati i diritti delle genti e della umanità, o che si preoccupano di dare incremento alla religione cattolica, tutti con tenacia cospirassero a reprimere, a proibire, a sopprimere (aderendo alle Nostre esortazioni e preghiere) quel mercato, del quale nulla è più disonesto e scellerato”.

5. Tu giustamente in evidenza nuove forme di schiavitù che avvengono nelle nostre stesse terre a motivo dello sfruttamento da parte di alcuni delle esigenze estreme di altri.
Ma quanto ha denunziato Leone XIII per il Sudan e altri paesi dell’Africa non è forse ancora attuale?
Commuove sentire un Papa parlare come Leone XIII in questo breve passo che ho voluto riprodurre.

Ti ringrazio ancora delle opportunità che mi hai offerto.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo