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Quesito
Caro Padre Angelo,
Le sottopongo il seguente quesito in tema di eutanasia, attendendo il Suo cortese avviso in linea con i principi di bioetica sostenuti dal Magistero della Chiesa.
Nell’ultimissimo periodo della vita di un paziente oncologico terminale, quando nell’imminenza della morte il dolore e la sofferenza del malato diventano maggiori ed il controllo di sintomi gravi ed angoscianti come dolore o dispnea non possa più avvenire con terapie palliative rivolte al ripristino di un’accettabile qualità della vita e della funzionalità, i medici potrebbero alleviare la sofferenza del paziente ricorrendo ad una sedazione farmacologica intenzionale, con perdita irreversibile della coscienza. La sedazione, con il pieno assenso del malato, comporterebbe in tal caso solo la perdita di una funzione, quella cognitiva e non la morte cerebrale. Credo sia lecito che si faccia tutto ciò che la scienza medica è in grado di fare, sotto il profilo pratico e applicativo. Questa tuttavia non è l’unica scelta critica di fronte alla quale si trova il medico, alla fine della vita del paziente. I pazienti terminali conservano il loro diritto a chiedere analgesici in quantità sufficiente a controllare la sintomatologia.
Può tuttavia succedere che l’uso di adeguati dosaggi di farmaci analgesici conduca ad un’abbreviazione della vita del paziente. ma questo, mi sembra, non ha nulla a che vedere con il voler abbreviare intenzionalmente la vita. L’eventuale anticipazione della morte, a causa di un’adeguata somministrazione di analgesici, starebbe solo a significare che il malato non era più in grado di tollerare trattamenti necessari per una vita dignitosa e sopportabile.Sicuramente nessun operatore sanitario, né il medico che prescrive la cura, né l’infermiere che somministra la terapia, né tantomeno il famigliare che sollecita l’intervento di riduzione del dolore, ha come intento quello di abbreviare la vita. Intervengono in un contesto di doppio effetto, dove l’evento svantaggioso è inevitabile conseguenza del conseguimento del beneficio per il paziente. E’ proprio per la teoria del doppio effetto che non si può identificare con l’eutanasia.
Ritiene, Reverendo Padre, che nell’ipotesi prospettata si configuri comunque l’eutanasia, un ‘‘eutanasia, per così dire, "a piccole dosi"?
La ringrazio anticipatamente per la risposta.
Michele
Risposta del sacerdote
Caro Michele,
1. Pio XII ha insegnato che la soppressione del dolore e della coscienza per mezzo di narcotici è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente anche nell’avvicinarsi della morte e anche se si prevede che l’uso dei narcotici abbrevierà la vita.
Aveva anche precisato: “Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali” (Risposta a 3 quesiti posti dalla società it. di anestesiologia, 24.2.1957).
2. Il motivo, oltre che da Pio XII, è stato riportato pure da un documento della Congregazione per la dottrina della fede sull’eutanasia: “In questo caso infatti è chiaro che la morte non è voluta o ricercata in alcun modo, benché se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si intende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando allo scopo quegli analgesici di cui la medicina dispone” (congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione sull’eutanasia, par. III).
3. Un conto infatti è “la somministrazione di narcotico per provocare e affrettare la morte… perché allora si ha la pretesa di disporre direttamente della vita”.
E un altro conto invece è quello per cui “tra la narcosi e l’abbreviamento della vita non esiste nessun nesso causale diretto” (Pio XII).
“In questo caso, infatti, la morte non è voluta o ricercata, nonostante che per motivi ragionevoli se ne corra il rischio: semplicemente si vuole lenire il dolore in maniera efficace, ricorrendo agli analgesici messi a disposizione dalla medicina” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 65).
4. Giovanni Paolo II dice che “se può essere considerato degno di lode chi accetta volontariamente di soffrire rinunciando a interventi antidolorifici per conservare la piena lucidità e partecipare, se credente, in maniera consapevole alla passione del Signore, tale comportamento “eroico” non può essere ritenuto doveroso per tutti” (EV 65).
5. Ci si è anche chiesto se sia lecita l’anestesia al solo scopo di evitare al malato una fine cosciente.
Pio XII ricorda che è necessario avvertire in buone maniere il paziente della necessità di provvedere ai suoi doveri religiosi e civili.
Ma “se il malato chiede insistentemente, nonostante non abbia voluto compiere i propri doveri (di cittadino e di cristiano), il medico può consentirvi senza rendersi colpevole di collaborazione formale alla colpa commessa. Questa infatti non dipende dalla narcosi, ma dalla volontà disordinata del paziente.
Ma se il morente ha adempiuto a tutti i suoi obblighi, se precise indicazioni mediche suggeriscono l’anestesia, se nel fissare la dose non si supera la quantità permessa e se ne sia misurata quantità e durata, e vi sia il consenso del paziente, allora nulla si oppone” (Risposta a 3 quesiti posti dalla società it. di anestesiologia, 24.2.1957).
6. Anche Giovanni Paolo II ricorda i doveri etici di chi sta arrivando alla fine: “Avvicinandosi alla morte, gli uomini devono essere in grado di poter soddisfare ai loro obblighi morali e familiari e soprattutto devono potersi preparare con piena coscienza all’incontro definitivo con Dio” (EV 65).
Dice anche che è “evidentemente illecito praticare l’anestesia contro la volontà espressa del morente, quando questi è sui iuris”.
7. È lecito pertanto, e anche doveroso nei limiti del possibile, ricorrere all’aiuto di sedativi adatti per morire più serenamente e sotto un certo aspetto rendere “più umano” l’ultimo passo che prepara l’uomo a presentarsi davanti a Dio.
Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo