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Quesito
Caro Padre Angelo,
Le scrivi nuovamente Padre Bellon per confrontarmi con lei circa i miei interrogativi sulla religione, questa volta però vorrei affrontare alcune questioni inerenti alla dottrina sociale della Chiesa se non le dispiace.
1) Separazione tra carità e giustizia:
Quando si dice che “la carità deve illuminare la giustizia” cosa si intende?, quale differenza intercorre tra i due principi?
Inoltre mi pare che in molte encicliche di Leone XIII e di altri Papi il rapporto tra giustizia e carità sembri prefigurare una distinzione più radicale e netta.
Le riporto le seguenti citazioni di S.S. Leone XIII.
Per comporre il dissidio fra i ricchi ed i proletari fa mestieri distinguere la giustizia dalla carità. Non si ha diritto a rivendicazione, se non quando si sia lesa la giustizia (Encycl. Rerum Novarum).
Obblighi di giustizia, quanto al proletario ed ai padroni, sono questi: prestare interamente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba, né offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti né mai trasformarla in ammutinamenti (Encycl. Rerum Novarum).
Obblighi di giustizia, quanto ai capitalisti ed ai padroni, sono questi: rendere la giusta mercede agli operai; non danneggiare i loro giusti risparmi, né con violenze, né con frodi, né con usure manifeste o palliate; dar loro libertà per compiere i doveri religiosi; non esporli a seduzioni corrompitrici ed a pericoli di scandali; non alienarli dallo spirito di famiglia e dall’amor del risparmio; non imporre loro lavori sproporzionati alle forze, o mal confacenti coll’età o col sesso (Encycl. Rerum Novarum).
Obbligo di carità de’ ricchi e de’ possidenti, è quello di sovvenire ai poveri ed agl’indigenti, secondo il precetto Evangelico. Il qual precetto obbliga sì gravemente, che nel dì del giudizio dell’adempimento di questo in modo speciale si chiederà conto, secondo disse Cristo medesimo (Matth. XXV) (Encycl. Rerum Novarum).
Io penso che Leone XIII volesse intendere che esistono due principi che regolano i rapporti fraterni e solidali tra gli uomini i quali si applicano in situazioni e in modi diversi.
La carità deve regolare le azioni spontanee e volontarie dei fedeli nei confronti dei loro fratelli meno fortunati e non può essere coercitiva.
La giustizia invece è il principio al quale deve tendere l’organizzazione della società e può dover essere fatta prevalere anche in maniera coercitiva (per questo può essere oggetto di rivendicazione).
La carità impone di assistere i poveri con i propri beni; la giustizia impone di dare loro ciò di che si sono guadagnati.
Ho il dubbio che questa distinzione sia ripresa dalla filosofia dei dottori della Chiesa, in particolare da San Tommaso d’Aquino, il quale riteneva che l’attività dei governanti e dei magistrati fosse soggetta a una etica particolare, diversa da quella generale, nella Summa Teologia San Tommaso d’Aquino sostiene che a volte alcune azioni vietate dalla legge di Dio non costituiscono peccato se a disporle è un giudice (es. pena di morte).
2) L’uguaglianza secondo il vangelo:
In cosa consiste precisamente l’ideale dell’uguaglianza come è espresso nel nuovo testamento?
All’opposto, secondo gl’insegnamenti del Vangelo, tutti gli uomini sono uguali in quanto avendo tutti avuto in sorte la medesima natura, tutti sono chiamati alla medesima altissima dignità di figliuoli di Dio; avendo tutti lo stesso fine da conseguire, dovranno essere giudicati a norma della stessa legge, per riceverne premi o pene secondo che avranno meritato. Tuttavia l’ineguaglianza di diritti e di potestà proviene dall’Autore medesimo della natura, “dal quale tutta la famiglia e in cielo e in terra prende il nome” (Ef 3,15). Gli animi poi dei Principi e dei sudditi, secondo la dottrina e i precetti della Chiesa cattolica, sono così legati attraverso scambievoli doveri e diritti, che ne resta temperata la passione sfrenata del comandare, e diviene facile, costante e nobilissima la ragione dell’ubbidienza.
(Leone XIII, enciclica Quod Apostoloci Muneris)
Di qui viene che, nella umana Società, è secondo la ordinazione di Dio che vi siano principi e sudditi, padroni e proletari, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, nobili e plebei, i quali, uniti tutti in vincolo di amore, si aiutino a vicenda a conseguire il loro ultimo fine in Cielo; e qui, sulla terra, il loro benessere materiale e morale (Encycl. Quod Apostolici muneris).
Quindi quando nel nuovo testamento si parla di uguaglianza tra gli uomini non si deve intenderla come uguaglianza dei diritti o delle proprietà?
Spero che troverà il tempo di rispondermi.
P.S. Perdoni la lunghezza delle mie email.
Risposta del sacerdote
Carissimo
1. vi è una distinzione tra giustizia e carità.
La giustizia – che consiste nella buona e costante volontà di dare ad ognuno il suo – è richiesta dalla legge naturale.
La carità – che consiste nell’amare tutti con il cuore di Dio – è richiesta dalla legge evangelica e pertanto da una legge di ordine soprannaturale.
2. Queste due virtù hanno molte relazioni vicendevoli.
È necessario anzitutto ricordare che la carità non può sostituire la giustizia, ma la pre richiede, secondo il noto assioma teologico che la grazia non distrugge la natura, ma la perfeziona (“gratia non destruit, sed perficit naturam”).
Ora, per perfezionarla, la presuppone.
Ebbene la carità, proprio in quanto è conformità con il cuore e il volere di Dio, non può sopportare che qualcuno non abbia o non possa fruire di quei beni che Dio gli ha dato perché possa realizzare la propria perfezione.
3. Per questo Pio XI, nella Divini Redemptoris, in termini molto forti disse: “Ma la carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia… Una carità che privi l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non è carità, ma un vano nome e una vuota speranza di carità.
Né l’operaio ha bisogno di ricercare come elemosina ciò che a lui tocca per giustizia; né si può tentare di esimersi dai grandi doveri imposti dalla giustizia con piccoli doni di misericordia” (DR 49).
E Pio XII: “Per essere autentica e vera, la carità deve sempre tener conto della giustizia da instaurare e non accontentarsi di mascherare disordini e insufficienze d’una ingiusta condizione” (Lettera al Presidente della Settimana sociale in Francia, 1952).
Pertanto la carità sollecita a realizzare la giustizia.
Ma non è solo questo il suo compito.
4. Per quanto concerne la giustizia va ricordato che essa da sola non riesce a fare il di più che è richiesto per una buona e pacifica convivenza tra gli uomini.
Gli altri non vanno trattati semplicemente come altri o addirittura come nemici. Ma vanno amati con un amore che va al di là dei loro difetti e anche dei loro meriti o demeriti.
Diversamente la convivenza diventa insopportabile.
A questo pone rimedio la carità.
5. Scriveva in proposito un grande maestro di dottrina sociale della Chiesa, il cardinale Giuseppe Siri, che fu presidente delle settimane sociale per quasi un trentennio: “Il motivo dell’amore di Dio vale per tutti più di tutti e si sostituisce vittoriosamente a tutte le ragioni in contrario.
Infatti se motivo della fraternità fosse la vicinanza, la consuetudine, la simpatia, la convenienza, l’interesse, la bontà dei simili, la loro levatura morale, la bellezza,… potrebbe in qualche momento mancare il motivo e mancare la fraternità.
È difficile amare sempre gli uomini, se il motivo per amarli non è superiore ai loro difetti e alle loro inefficienze. Dio è sempre amabile, è sopra ogni cosa infinitamente amabile, ed allora per amore di Dio si possono amare tutti i suoi figli, qualunque presentazione abbiano.
Come riuscire ad amare gli assassini, i ladri, gli impostori, se questo non lo si fa per amore di Dio? La fraternità non può vivere tra gli uomini senza l’amore di Dio. D’altra parte per fare pace tra gli uomini non basta una fraternità che discrimini i buoni dai cattivi, i seri dagli sciocchi e così via…, perché tale fraternità servirebbe più a dividere che ad unire.
Così la fraternità, appoggiata all’amore di Dio, è libera da ogni complesso di inferiorità dinanzi ai peccati e alle deformità degli uomini. Diciamo libera, perché la presenza del peccato o della deformità morale e fisica non la obbliga a retrocedere, o ridursi a farsi turbata e rabbiosa” (g. siri, La strada passa per Cristo, Lettera pastorale del 1956, pubblicata in “La strada passa per Cristo”, I, pp. 7-8).
6. Soltanto una motivazione teologale (“Egli ci ha amati per primo quando ancora gli eravamo nemici”) è in grado di far cadere tutte le possibili riserve che impedirebbero la nostra benevolenza verso gli altri e (specialmente) verso i nemici.
“L’incolmabile debito che abbiamo verso Dio annulla tutte le possibili pretese di giustizia punitiva nei confronti dei nostri nemici; il pensiero che i conti verso i nostri debitori dobbiamo saldarli con Dio capovolge la nostra prospettiva di giustizia e da creditori passiamo al ruolo di debitori verso tutti. E così che la carità anche verso i peggiori nemici diventa possibile e doverosa” (Ib., 8).
7. Non è solo questo il compito della carità.
Ma nella convivenza sociale questo è il primo e indispensabile.
Diversamente viene coltivata l’inimicizia e l’avversione contro quelli che non la pensano come noi.
E in alcuni casi si genera anche l’odio e la lotta di classe.
Così vedi la carità non si riduce semplicemente a “regolare le azioni spontanee e volontarie dei fedeli”, ma ha il compito di animare e perfezionare la giustizia.
Come vedi è ben di più.
8. Circa il secondo quesito.
Va ricordato che l’uguaglianza fra tutti è nella dignità della persona e nell’altissima vocazione di diventare figli di Dio.
Ma i ruoli tra i singoli sono diversi.
Per intenderci: una persona di sesso maschile non ha il diritto di essere madre, ma quello di essere padre.
Così una donna non ha il diritto di essere padre, ma madre.
Questi ruoli sono dati dalla natura.
Ugualmente all’interno della società: tutti sono uguali per la dignità della persona e per la vocazione da parte di Dio a diventare suoi figli adottivi.
Ma i ruoli sono diversi. Uno che non ha le debite competenze non può dire: io ho diritto di essere presidente della repubblica. Gli si può rispondere: tu potrai reclamare questo diritto solo quando ti sarà conferito da chi di dovere e cioè dal popolo o dai suoi rappresentanti.
La stessa cosa vale anche all’interno di un’azienda, di una scuola e anche di una famiglia, dove i diritti e i doveri sono diversi a seconda del ruolo che vi si occupa.
9. Alcune esemplificazioni portate dal Magistero della Chiesa (come quelle da te riportate) sono indicazioni comprensibili all’interno di una determinata epoca e di una determinata cultura.
Ma non hanno il medesimo peso dei principi ordinatori della società (solidarietà, bene comune, sussidiarietà) o dei principi dottrinali secondo i quali si regola il rapporto tra l’uomo e la società, che sono i principi basilari della convivenza sociale.
10. Voglio dire infine una parola su un’affermazione non corretta che hai fatto: “nella Summa Teologia San Tommaso d’Aquino sostiene che a volte alcune azioni vietate dalla legge di Dio non costituiscono peccato se a disporle è un giudice (es. pena di morte)”.
Ciò che è proibito da Dio rimane tale anche se lo stato lo giudica possibile (ad esempio l’aborto volontario).
Per questo San Pietro dice che bisogna obbedire prima a Dio che agli uomini (At 5,29).
In riferimento alla pena di morte invece i teologi medievali pensavano che si trattasse di una delega da parte di Dio all’autorità umana per difendere l’innocente dal sopruso dei violenti.
Ti ringrazio per i quesiti che mi hai posto, ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo