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Quesito
Caro Padre,
Parlando con alcuni sacerdoti, ho potuto sentire da loro affermazioni del genere, o del tipo che celebravano lo stesso il matrimonio, anche se vedevano che non credevano ai principi fondamentali di un matrimonio cristiano perché rimanendo lì, quiescente, nel tempo, c’era sempre la speranza che lungo la strada si potessero convertire. Io allora mi chiedo: ma se un matrimonio per essere valido necessità di alcuni capisaldi immancabili, e se per poterlo dichiarare nullo si va proprio a vedere all’origine se c’erano i presupposti in regola, non è possibile che un sacramento così celebrato possa diventar valido strada facendo o in corso d’opera, e per di più a seconda della conversione delle parti in causa?
Lei può chiarire o confermare?
Buongiorno,
mi chiamo …, ho 29 anni. Il 20 maggio 2016, ho assistito alla conferenza del Cardinale Caffarra tenuta a Pavia. Io avrei voluto fare delle domande ma l’ora e le persone presenti molto importanti mi hanno fatto rinunciare. Soprattutto non avrei voluto far fare una figuraccia al mio povero Vescovo che era presente. Vorrei sottoporre le mie incertezze non su quello che è stato detto ma su come questo poi si declina nei fatti della vita ai miei occhi.
Io vorrei chiedere come sia possibile che la Chiesa celebri ancora tanti sacramenti e in particolare quello del matrimonio. Soprattutto a discapito dei credenti stessi. Io ho un caso di coscienza. A settembre sarò testimone del matrimonio di una mia cara amica. Speravo però che il parroco li fermasse! Loro convivono e non da fratello e sorella, non seguono la Messa, non si confessano. Perché sposarli?
Se anche si confessassero loro continuerebbero a vivere nell’attuale stato e a quanto ho capito non potrebbero essere assolti senza il buon proposito di abbandonare il proprio stato. Quindi anche l’accesso al sacramento del matrimonio dovrebbe essere loro negato. Io vorrei capire come sia possibile che i sacerdoti facciano questo. Soprattutto visto che il matrimonio è pubblico. Pubblicamente la Chiesa non sta forse screditando se stessa? So che ormai è una pratica normale sposare i conviventi e se io convivessi e fossi poco credente spererei io stessa di essere sposata in Chiesa. Io capisco che non sta al sacerdote giudicare la fede ma questo mi sembra un caso diverso.
La loro inconsapevolezza può giustificare l’omissione degli ordini non laici? Ho forse creduto a delle bugie? Se anche io fossi nel giusto la verità che io porterei alla mia amica sarebbe liquefatta dal sacerdote. Cosa rischiano, se rischiano qualcosa, sposandosi? Cosa rischio io da testimone? Cosa rischia il loro parroco? Sono in un loop di incertezze perché io non penso che nemmeno da credente cattolica osservante saprei rispettare un fidanzamento e un matrimonio. Io non ho nessun tipo di legame quindi mi sono anche fatta dei problemi chiedendomi se non sono invidiosa o ipocrita e la mia risposta personale è che può essere anche questo.
Io mi auguro il matrimonio sacramentale per loro in quanto dono e mezzo per la loro salvezza ma vorrei anche che la Chiesa si facesse altrettanto carico di chi, come me, sbaglia e vorrebbe una guida che non esiste più. Io vorrei mi si desse uno strumento per credere alla Chiesa.
Spero sia vagamente chiaro.
La ringrazio tanto se mi risponde perché l’unico sacerdote di cui mi fidavo ha preferito farmi scrivere a Lei.
Cordiali saluti.
Risposta del sacerdote
Carissimi,
1. La Chiesa chiede a due persone che domandano di unirsi nel matrimonio sacramento di essere consapevoli e consenzienti nei confronti di ciò che stanno per fare.
In termini canonici chiede che siano sciens (consapevole) et volens (consenziente).
Ma come misurare il grado di consapevolezza e di consenso?
2. La Chiesa oggi – soprattutto per i numerosi casi di fallimento matrimoniale – è particolarmente attenta alla preparazione dei futuri sposi.
Dappertutto sono obbligatori dei corsi prematrimoniali, programmati dalle singole diocesi.
Ad essi si aggiungono anche incontri personali col parroco sia per l’istruzione delle pratiche matrimoniali sia per colloqui personali giudicati opportuni o indispensabili dal parroco stesso.
3. La condizione ottimale sarebbe quella che tutti giungessero al matrimonio con le migliori disposizioni.
Per “migliori disposizioni” s’intendono non sono quelle di carattere conoscitivo, che tutto sommato non sono difficili da acquisire almeno per quanto concerne i fini, le proprietà e i doveri del matrimonio.
Per acquisire tali conoscenze i corsi di preparazione dovrebbero essere sufficienti.
Tutto questo viene garantito almeno nella misura minimale nel cosiddetto processicolo matrimoniale quando ognuno dei futuri sposi compare singolarmente davanti al parroco, mette la mano sul vangelo e giura di celebrare il matrimonio secondo gli obiettivi stabiliti da Dio.
4. Ma accanto a questa disposizione conoscitiva ve ne è un’altra, quella morale che riguarda la propria personale vita affettiva.
In questo ambito il parroco non può entrare a meno che gli sposi non si aprano e non abbiano la volontà di camminare secondo le vie di Dio ritmata dalla celebrazione dei sacramenti.
E tuttavia la solidità o il futuro del matrimonio si gioca soprattutto su queste disposizioni interiori.
Oggi non di rado ad un corso prematrimoniale ci si trova dinanzi a coppie che talvolta nella quasi totalità hanno già iniziato un rapporto di convivenza e vivono nel disordine morale.
Non di rado in queste convivenze ci si trascina avanti a male pena perché si è investito anche economicamente nell’acquisto e nell’arredo della casa, si ha paura di essere “mollati” e di tornare indietro perché i problemi da risolvere sarebbero troppi e complessi.
5. Che fare in simili situazioni?
Dire a tutti: o cambiate vita o niente matrimonio, con la conseguenza di allontanare ancora di più questi battezzati dalla comunione ecclesiale e di compromettere l’educazione cristiana dei loro figli?
Oppure accogliere nella speranza che gli eventi della vita e la grazia di Dio che accompagna il cammino di tutti possano aiutare a maturare, a convertirsi, ad aprirsi a Dio?
6. Di fatto i matrimoni celebrati in simili condizioni non di rado falliscono subito.
In altri casi invece si nota un ritorno alla fede, alla pratica religiosa e anche ad un cammino morale secondo le vie di Dio.
Proprio l’eventualità di questi due esiti suggerisce che la migliore strada sotto il profilo pastorale è la seconda perché meglio tutela l’obiettivo ultimo del matrimonio che è quello della salute delle anime (la salus animarum).
In questo modo rimane sempre aperta la porta alla confessione, alla Comunione, anche all’istante.
Gesù ce ne ha dato l’esempio.
Di Lui aveva profetato Isaia dicendo: “Ecco il mio servo, che io ho scelto… Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta, finché non abbia fatto trionfare la giustizia; nel suo nome spereranno le nazioni” (Mt 12,18.20-21).
7. Si pensi invece quanto difficile sarebbe il percorso di ritorno ai sacramenti qualora le due persone non fossero sposate sacramentalmente.
Tutto verrebbe in continuazione differito in attesa di una eventuale regolarizzazione.
8. Sotto il profilo teologico va ricordato che la grazia del sacramento, qualora non sia stata ricevuta nella celebrazione del sacramento per la mancanza delle dovute disposizioni morali, revivisce al momento della conversione.
9. Certo, a posteriori, dinanzi a determinati fallimenti è facile dire: il parroco avrebbe dovuto fermarli.
Ma a parte la difficoltà del parroco nel resistere alla volontà dei nubendi, va detto che se in determinati casi si corre un grave rischio nell’ammettere alla celebrazione del sacramento matrimonio è meglio sbagliare per misericordia che per rigore.
Con la misericordia la porta della salus animarum rimane sempre aperta.
Col rigore tutto potrebbe essere seriamente compromesso per sempre.
Vi ringrazio del quesito, vi ricordo al Signore e vi benedico.
Padre Angelo