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Trascriviamo il contenuto di una email pervenuta al nostro sito e la relativa risposta di Padre Angelo.

Rev. Padre Angelo Bellon O.P.,
nel ringraziarLa profondamente e sentitamente per l’opera di Evangelizzazione e Catechesi che insieme allo Staff di amicidomenicani.it sta offrendo alla Chiesa di Dio e al mondo intero desidero porle un’ulteriore domanda così che dopo aver letto la sua risposta possa vivere la celebrazione della Messa in maniera degna e partecipare ancora più intensamente e profondamente a i Misteri della nostra Salvezza.
Mi perdoni se non riesco ad esprimermi come si conviene quando si tratta un argomento così importante.
Le domande che mi ponevo e a cui non riuscivo dare risposta sono queste:
1- Quando avviene la consacrazione del pane e del vino contestualmente si rinnova la morte di Nostro Signore Gesù Cristo? Cosa avviene in quel momento? Gesù si riconsegna nuovamente alla Morte?
2- Il Corpo di Cristo con cui noi ci cibiamo a quale corpo di Cristo fa riferimento? A quello risorto? A quello morto in Croce?
Grazie nuovamente per la sua disponibilità e a insegnarci a vivere cristianamente e nella Verità.
Andrea

Ps. Mi chiedevo anche se, visto che sentivo il desiderio, al termine di questa lettera potevo benedire Lei e tutto lo Staff per il lavoro che sta facendo. In altre parole un laico può (umilmente) benedire un sacerdote?


Risposta del sacerdote.

Caro Andrea,
eccomi a rispondere alle tue domande sull’Eucaristia e sulla benedizione.

La prima domanda che mi presenti è la seguente:
Quando avviene la consacrazione del pane e del vino contestualmente si rinnova la morte di Nostro Signore Gesù Cristo?
Sì, le parole consacratorie pronunciate dal sacerdote che agisce in persona Christi perpetuano sui nostri altari la passione redentrice del Signore.

Cosa avviene in quel momento?
In quel momento il Signore è già presente.
In vari modi Egli si rende presente nella celebrazione dell’Eucaristia. È presente nell’’assemblea santa riunita nel suo nome.
È presente nella proclamazione della sua parola.
È presente nella persona del ministro.
Ma adesso si rende presente in un modo ancora più alto, e cioè si rende presente anche corporalmente.

Gesù si riconsegna nuovamente alla Morte?
Non sarebbe corretto dire che “si riconsegna nuovamente alla morte” perchè Cristo è morto una volta per tutte, come più volte ricorda la lettera agli Ebrei: “egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso” (Eb 7,26); “così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti” (Eb 9,28).
Allora in che modo Cristo perpetua il suo sacrificio?
Va ricordato che i nostri incontri con Cristo sono sempre incontri col Cristo glorioso, risorto dai morti e che siede alla destra del Padre.
Nell’Eucaristia non facciamo finta che il Signore muoia di nuovo e poi risorga. No. Ma ci incontriamo col Cristo glorioso nel quale sono presenti tutte le azione della sua vita, dal concepimento all’Ascensione. Nell’Eucaristia Egli ci rende contemporanee tutte le sue azioni salvifiche. Sotto questo aspetto non siamo meno fortunati dei pastori, dei magi, delle persone che hanno ascoltato la sua parola e sono state oggetto dei suoi miracoli.
Ma in modo tutto particolare nell’Eucaristia Egli rende contemporaneo a noi l’evento della sua passione e della sua morte.
E questo lo fa attraverso le parole consacratorie (questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi… questo è il mio sangue versato per voi… in remissione dei peccati) e il rito della consacrazione (per san Tommaso la consacrazione separata del corpo e del sangue del Signore rimanda alla reale separazione avvenuta sulla croce tra il corpo e il sangue del Signore a motivo della sua morte).
Quando si partecipa alla Messa, dunque, si è chiamati a vivere come protagonisti l’evento della passione e della morte del Signore. Egli ha voluto rendere contemporaneo questo evento ad ogni uomo.

Mi pare opportuno a questo punto riportare le belle espressioni di Giovanni Paolo II in Ecclesia de Eucharistia:

“Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito (1 Cor 11,23), istituì il Sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue. Le parole dell’apostolo Paolo ci riportano alla circostanza drammatica in cui nacque l’Eucaristia. Essa porta indelebilmente inscritto l’evento della passione e della morte del Signore. Non ne è solo l’evocazione, ma la ri presentazione sacramentale. È il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli. Bene esprimono questa verità le parole con cui il popolo, nel rito latino, risponde alla proclamazione del «mistero della fede» fatta dal sacerdote: «Annunziamo la tua morte, Signore!».
La Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza. Questa non rimane confinata nel passato, giacché «tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1085).
Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di salvezza è reso realmente presente e «si effettua l’opera della nostra redenzione» (LG 3). Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti. Ogni fedele può così prendervi parte e attingerne i frutti inesauribilmente. Questa è la fede, di cui le generazioni cristiane hanno vissuto lungo i secoli” (n. 11).

La seconda domanda:
“Il Corpo di Cristo con cui noi ci cibiamo a quale corpo di Cristo fa riferimento? A quello risorto? A quello morto in Croce?”
Torno a ripetere che i nostri incontri con Cristo nell’Eucaristia sono gli incontri con il Risorto.
Ma nel Cristo risorto è sempre attuale la sua passione.
San Giovanni nell’Apocalisse vede Gesù come un agnello immolato, che sta in piedi: “Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come sgozzato (immolato)” (Ap 5,6).
Lo stare in piedi simboleggia la sua risurrezione e la sua vittoria. L’essere sgozzato simboleggia il suo stato sacrificale.
Commenta il Wikenhauser: “È chiaro che questo agnello è Cristo crocifisso e glorificato; le spoglie sotto cui è presentato sono una reminiscenza della profezia del servo di Dio sofferente (Is 53,7), ‘‘condotto al macello come un agnello’. Le sette corna e i sette occhi sono simbolo della pienezza di potenza e di conoscenza del Cristo celeste” (L’Apocalisse di Giovanni, p. 84).
Nell’Apocalisse si legge ancora: “Poi udii una voce dal cielo che diceva: «Scrivi: Beati d’ora in poi, i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14,13). Ebbene, se degli eletti viene detto che le loro opere li accompagnano, quanto più si dovrà dire tutto questo del Signore!
Possiamo dire che la passione di Cristo non è stata sepolta nella storia, ma è entrata con lui nell’eternità.
Giovanni Paolo II, nella citata enciclica dice: “È in quanto vivente e risorto che Cristo può farsi nell’Eucaristia «pane della vita» (Gv 6,35.48), «pane vivo» (Gv 6,51)” (n. 14).

Per venire alla tua domanda: si deve dire che nell’eucaristia ci nutriamo col Cristo risorto che perpetua e attualizza per noi il suo sacrificio.
Lo perpetua e lo attualizza sull’altare e nel nostro cuore per la vita del mondo.
San Tommaso dice che “l’eucaristia è il sacramento perfetto della passione del Signore, in quanto contiene Cristo stesso che ha sofferto” (Somma teologica, III, 73, 5, ad 2).
E afferma anche che “l’effetto che la passione di Cristo produsse nel mondo, questo sacramento lo produce nel singolo uomo” (Somma teologica, III, 79, 1).
A questo punto, sapendo che l’effetto della passione del Signore è infinito, si comprende il valore enorme della Messa. Dischiudere questa infinita potenzialità e introdurla nel mondo e nella nostra vita dipende in gran parte dalle nostre disposizioni.
Qui il discorso si sposta sulla preparazione e sul ringraziamento.
Mi piace ricordare che Giovanni Paolo II, fin quando ha potuto, si è preparato alla celebrazione della Messa stando mezz’ora prostrato per terra. Sant’Alfonso dei Liguori scrive che “il venerabile padre Maestro d’Avila diceva che il sacerdote deve premettere alla Messa almeno un’ora e mezza d’orazione mentale. Io mi contenterei di mezz’ora, e per alcuni più tiepidi anche d’un quarto; ma non posso lasciar di dire che un quarto è troppo poco” (Cfr. Sacerdote ascoltami, p. 167).

Prima di concludere, mi piace trascriverti quanto Luigi Peroni ha scritto sulla Messa di Padre Pio:

“Egli prende lentamente l’ostia in mano, pronuncia la formula della consacrazione e poi eleva all’adorazione profonda dei presenti il Corpo «dato» e il Sangue «effuso» per tutti, dal Signore. I suoi occhi profondi sono fissi su quell’Ostia e su quel Calice, che a lui discoprono realtà ad altri vietate.

I fedeli, in trepida adorazione, hanno udito, ora e su questo altare, il Cristo pronunciare per bocca del suo ministro le parole consacratorie: «Questo è il mio corpo» … «Questo è il mio sangue». Sangue di valore infinito che, sebbene non più fisicamente separato dal corpo, si versa ora sacramentalmente perché in virtù delle parole della consacrazione, sotto le specie del pane e del vino, è presente il corpo e il sangue del Salvatore.

Si ha intensa la sensazione che Altare e Calvario si immedesimino. Il sangue versato allora rinnova qui la sua mistica effusione a memoriale e applicazione, nei secoli, dei meriti acquisiti da Cristo sulla Croce.

«Consummatum est». Senza versamento di sangue il sacrificio è stato veramente compiuto, l’agnello immacolato è stato veramente immolato, la vittima divina è stata realmente offerta. Si intuisce il tremendo mistero che si sta svolgendo sull’altare. Ora Gesù è lì, come in stato di morte, perché il sangue, contenuto sotto le apparenze del vino è separato dal corpo contenuto sotto le apparenze del pane. Padre Pio, sfinito di forze, irrorato di sudore e con il volto irradiato «di luce quasi divina e indescrivibile», vittima associata alla Vittima divina, è abbandonato con il peso del corpo sulle braccia che lo puntellano all’altare. Con il volto rigato di lacrime a stento contenute, prosegue, in altissima umiltà, l’azione liturgica, suscitando la certezza che un divino baratto si sta compiendo tra creatura e Creatore, tra ministro e Cristo Sacerdote, tra mistico e Vittima divina.

Come per forza d’attrazione, i fedeli costituiscono con il celebrante un cuor solo e un’anima sola nell’adorare, supplicare, riparare e ringraziare il Signore, le cui sembianze traspaiono da quelle del suo ministro. Il grande silenzio che domina l’assemblea esprime ciò che voce umana non può dire. Sembra di assistere a quel silenzio che, secondo l’Apocalisse, si produsse in cielo allorché l’Agnello ebbe aperto il settimo sigillo dei divini decreti.

Nella vita di alcuni santi si legge che essi «hanno visto, al momento dell’elevazione del calice, il sangue prezioso traboccare e scorrere sulle braccia del sacerdote e gli angeli venire a raccoglierlo in coppe d’oro per portarlo lontano a coloro che avevano più bisogno di partecipare al mistero della redenzione». Il sangue che stilla dalle rosse ferite delle mani di padre Pio fa plasticamente rivivere a tutti coloro che sono raccolti attorno all’altare quella sublime visione di pochi privilegiati. Molti devoti di padre Pio, in varie parti del mondo, affermano che, mentre qui si compie il grande mistero e l’alba stenta ancora a comparire, si sono sentiti liberati improvvisamente dai mali fisici e spirituali, oppure da lacci che li tenevano avvinti come in soffocanti forme di incubo. «Lo spirito del male non teme nulla quanto la Messa, soprattutto quando è celebrata con fervore e molti vi si uniscono con spirito di fede. Quando il nemico del bene urta contro qualche ostacolo insormontabile, è perché, in una chiesa, un sacerdote, cosciente della propria debolezza e povertà, offre con fede la potentissima ostia ed il sangue redentore». Chi mai potrà comprendere il significato abissale della Messa? Chi mai saprà dire con quale trepida venerazione e sofferta concentrazione vi si deve assistere? «Nell’assistere alla Santa Messa – scrive padre Pio – accentra tutto te stesso nel tremendo mistero che si sta svolgendo sotto i tuoi occhi: la redenzione della tua anima e la riconciliazione con Dio»” (Padre Pio da Pietrelcina, pp. 422-423).

Mi chiedi infine se puoi benedire me e gli altri collaboratori dello staff di Amicidomenicani. Senz’altro lo puoi e, se lo fai, fai una gran bella cosa.
Sebbene la benedizione dei laici non sia imperativa ma solo invocativa, come insegna san Tommaso, tuttavia è sempre una preghiera, e, dipendentemente dal fervore con cui viene fatta, ha potere di intercessione davanti a Dio.
Questa benedizione, però, non viene fatta tracciando il segno della croce, cosa che propria di chi è nell’ordine sacro.

Io invece ti benedico, e te la dò come la può dare un sacerdote.
E mentre la dono a te, la dono anche a tutti quelli che leggeranno questa risposta, perché possa fare loro del bene.
Padre Angelo