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Quesito
Caro padre Angelo,
le scrivo per una questione un po’ delicata: da qualche anno fa parte della nostra comunità cattolica una signora divorziata e convivente con un uomo anch’egli divorziato, una nostra amica l’ha fatta riavvicinare alla chiesa, che lei aveva lasciato. La signora è una persona molto dolce, timida ed estremamente sensibile, mi ha detto che ha vissuto volto traumaticamente la separazione (credo che il marito l’abbia abbandonata dopo pochi mesi di matrimonio) ed ha fatto crescere da sola il figlio nato da questa relazione, in seguito ha incontrato il suo attuale compagno. Come credo che abbia già compreso il problema riguarda il suo rapporto con il sacramento dell’Eucaristia, infatti il parroco che avevamo fino a due anni fa “aveva compreso la situazione” e le dava sempre l’assoluzione permettendole di comunicarsi, ora desidererebbe parlare con il nuovo parroco, ma teme che questo le neghi l’assoluzione (come credo farà), mi ha detto comunque che non intende rinunciare a comunicarsi. Fermo restando che è competenza del parroco dirle i motivi per cui non può fare la comunione le chiedo se mi può spiegare meglio la questione in modo, qualora mi facesse delle domande, di risponderle nel modo più corretto e delicato possibile in modo da non offenderla, ma nemmeno da proporre dei compromessi come ha fatto il precedente parroco. Il punto è farla sentire comunque amata dalla comunità senza però sminuire l’importanza del sacramento. Volevo inoltre sapere se in alcuni casi è possibile dare una dispensa per comunicarsi in occasioni particolari (come ad esempio il matrimonio di un figlio) e se comunque partecipare alla santa messa rappresenta comunque una sorta di comunione spirituale che va al di la dello “status” del fedele.
La ringrazio di cuore
Giovanni
Risposta del sacerdote
Caro Giovanni,
ti presento in sintesi la dottrina della Chiesa sull’ammissione dei divorziati risposati alla santa Comunione.
1. La Chiesa ribadisce “la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati” (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio 84).
Questa norma non è un regolamento puramente disciplinare, che potrebbe essere cambiato dalla Chiesa, ma deriva da una situazione obiettiva che rende impossibile in sé l’accesso alla S. Comunione.
A dire il vero, non è la Chiesa che esclude tali fedeli, ma “sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia” (FC 84). L’Eucaristia infatti è il cibo che aiuta i coniugi ad amarsi e ad immolarsi vicendevolmente come Cristo ha amato la Chiesa e si è immolato per lei. Nel caso dei divorziati risposati l’immolazione per il vero coniuge viene palesemente contraddetta.
A questo motivo primario se ne aggiunge un secondo, di natura più pastorale: “se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio” (FC 84).
Una Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede (14 settembre 1994) afferma: “Il fedele che convive abitualmente more uxorio con una persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, non può accedere alla Comunione eucaristica. Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa. Devono anche ricordare questa dottrina nell’insegnamento a tutti i fedeli loro affidati” (n. 6).
2. Se i fedeli divorziati risposati si separano o vivono come fratello e sorella, possono essere ammessi ai Sacramenti.
Perché i divorziati risposati possano ricevere validamente il sacramento della riconciliazione (confessione), che apre l’accesso alla S. Comunione, devono essere seriamente disposti a cambiare la loro situazione di vita, in modo che non sia più in contrasto con l’indissolubilità del matrimonio.
Questo significa concretamente che essi si devono pentire di aver infranto il vincolo sacramentale matrimoniale, che è immagine dell’unione sponsale fra Cristo e la sua Chiesa, e che si separino da chi non è il loro legittimo coniuge.
Se questo per motivi seri, ad esempio l’educazione dei figli, non è possibile, essi si devono proporre di vivere in piena continenza (Familiaris Consortio 84). Con l’aiuto della grazia che tutto supera e col loro deciso impegno, la loro relazione deve trasformarsi sempre più in un legame di amicizia, di stima e di aiuto reciproco.
La Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede aggiunge “fermo restando tuttavia l’obbligo di evitare lo scandalo” (n. 4).
3. Nel caso da te proposto se i due divorziati risposati non possono tornare indietro dalla loro situazione e sono pentiti di quanto hanno fatto mettendosi insieme, se vivono come fratello e sorella, possono essere assolti in confessione e poi fare la Santa Comunione.
Tuttavia, siccome non hanno scritto sulla fronte: noi ci comportiamo come fratello e sorella, si richiede che evitino lo scandalo tra i fedeli.
Ciò significa che il Parroco darà loro la Santa Comunione in privato e non in pubblico, oppure andranno a partecipare all’Eucaristia in una Chiesa dove non sono conosciuti.
4. Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede ricorda che la partecipazione alla vita ecclesiale non può essere ridotta alla questione della ricezione della comunione, come spesso avviene.
I divorziati risposati di cui ho parlato al n. 2 vanno esortati a fare comunione spirituale (n. 6).
Come tu stesso giustamente osservi, la partecipazione alla Messa è già una comunione spirituale, al di là dello stato in cui si trova il fedele.
5. Infine mi chiedi se in casi eccezionali (come il matrimonio del Figlio) possono fare la Santa Comunione.
La risposta è semplice: se vivono more uxorio, no.
E se vivono da fratello e sorella la risposta è ugualmente negativa, perché la loro comunione fatta in pubblico susciterebbe scandalo (ostacolo) per la fede della gente, che può essere indotta a pensare che ormai tutto è lecito.
Ti ringrazio per la fiducia, ti assicuro il mio ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo