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Quesito
Dio la benedica Padre Angelo,
innanzitutto la ringrazio per il lavoro che fa tramite la rubrica “un sacerdote risponde”. Sono sicuro che tante persone ne abbiano trovato aiuto, così come è stato per me più e più volte.
Mi presento, mi chiamo … (se vuole pubblicare le chiedo solo di censurare il nome) e ho 26 anni, e sono indeciso se sposarmi o se entrare in seminario.
Mi perdoni la domanda terribilmente generica, ma non so quale potrebbe essere l’elemento che mi dia la certezza di questa scelta.
Infatti, delle volte sento una forte passione per l’altare ed un desiderio di approfondire gli studi di teologia e “combattere” per la Chiesa. Tuttavia, altre volte sento pesante e noiosa l’idea di “lavorare” come parroco ed invece desidero continuare con la carriera che sto intraprendendo (che mi riempie di soddisfazioni lavorative). Altre volte desidero restare celibe per dedicarmi alla comunità, mentre altre desidero ardentemente l’abbraccio e la compagnia di una donna…
Insomma, mi sento come una nave alla deriva, portata in giro dal vento, che non sa dove orientarsi. Ovviamente ho un direttore spirituale che mi sta aiutando in questa scelta, ma comunque desideravo un suo consiglio vista la stima che ho per lei.
Inoltre, desidero condividere, in allegato, una riflessione che ho scritto proprio su questo tema; inizialmente ero titubante perché mi sentivo un superbo che vuole vantarsene, però mi sono deciso in quanto sono seriamente interessato ad un controllo serio, al fine di verificare se ho scritto bene o solo eresie.
La ringrazio in anticipo e le chiedo una preghiera. Ovviamente ricambierò.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. la tua mail mi permette di ribadire ciò che ho scritto diverse volte e cioè che in noi vi è una pluralità di vocazioni.
Intanto va subito chiarito che cosa si intende per vocazione.
La vocazione o chiamata è ciò che ognuno è nelle sue attitudini, nelle sue aspirazioni, nelle sue capacità.
La vocazione è scritta anzitutto nella nostra stessa natura per cui ci si sente fatti per quella determinata strada.
2. Talvolta la chiamata si manifesta dall’esterno, come è capitato per San Paolo sulla strada di Damasco, quando venne chiamato da Gesù Cristo ormai asceso al cielo.
Ma non è stata una chiamata estranea alla sua natura.
San Paolo era fatto per essere un apostolo.
A suo modo, lo era prima che Gesù lo chiamasse.
Purtroppo esprimeva questa sua vocazione in una direzione sbagliata e con un certo fanatismo.
Con la chiamata di Cristo divenne apostolo nella maniera più compiuta, tanto da diventare l’Apostolo per antonomasia.
Ma l’attitudine ad essere apostolo c’era da sempre.
Perché smettesse di essere ostinato in quella strada sbagliata Gesù gli disse: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? È duro per te rivoltarti contro il pungolo” (At 26,14).
3. Se San Paolo non fosse diventato cristiano, molto probabilmente avrebbe seguito l’inclinazione naturale che lo portava al matrimonio. E sarebbe stato come uno dei tanti maestri in Israele.
Quando Cristo lo chiamò era ancora molto giovane. Gli Atti degli Apostoli riferiscono che era presente alla lapidazione di Stefano e l’approvava (cfr At 8,1). Qualcuno dice che non partecipò attivamente alla lapidazione perché non aveva ancora 18 anni, l’età minima per tale atto.
Con la conversione, che avvenne poco tempo dopo, San Paolo non seguì più l’inclinazione naturale perché fu preso da un nuovo duplice desiderio: quello di “stare unito al Signore senza preoccupazioni” (1 Cor 7,32) e quello di farsi “tutto a tutti” (1 Cor 9,22) e “servo di tutti per guadagnarne il maggior numero” (1 Cor 9,19).
4. Il forte amore per Gesù Cristo che si era acceso in lui generò l’anelito di portarlo a tutti e sfociò come nel suo esito naturale in una scelta di castità, che in lui fu palesemente la scelta di un amore e dedizione più grande.
Si trattava di un amore che lo portava a vivere una paternità e una maternità più alta e più vasta per cui dirà: “Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo” (1 Cor 4,15) e “figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!” (Gal 4,19).
5. Venendo più vicino a te. C’è una passione ardente per il Cristo, ma non ti ritrovi nell’essere parroco.
Vorresti essere libero per combattere dovunque a favore di Cristo, della Chiesa e degli uomini.
Non c’è dubbio che sia stato il Signore a farti sentire una “forte passione per l’altare”, come dici con bella espressione.
Ugualmente il Signore ha introdotto in te “un desiderio di approfondire gli studi di teologia e combattere per la Chiesa”.
Il Signore “che suscita in noi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni” (Fil 2,13) ti è passato accanto, come ha fatto con Sant’Agostino, ha alitato il suo profumo sopra di te, l’hai respirato ed ecco che tu adesso aneli a lui (cfr. Confessioni, X, 27,38).
Se le parole che hai usato sono vere, e non ne ho il minimo dubbio, e se questa “forte passione per l’altare, per la teologia e di combattere per la Chiesa” l’hai sentita ripetutamente e continui a sentirla – oso pensare – a ondate talvolta travolgenti, come dubitare che non sia il Signore a ripetere la chiamata?
6. Ma a fronte di questa chiamata che ti entusiasma, ti senti come paralizzato pensandoti nelle vesti di un parroco.
Non certo perché tu stimi poca cosa questo preziosissimo e insostituibile ministero, ma perché avverti che questa non è la tua specifica vocazione. Ti sentiresti con le ali tarpate.
Di qui allora il tuo ritornare alla soddisfazione che ti stanno donando i tuoi studi e la tua incipiente attività.
Ugualmente di qui il pensiero di tornare agli affetti umani, certamente con la volontà di viverli nella maniera più bella e più santa.
7. E tuttavia nel seguire la chiamata più alta, quella del servizio all’altare, dello studio della teologia e dell’andare alla conquista delle anime, non c’è solo il prezioso ministero del parroco.
C’è anche quello di chi, come San Paolo, non si è fermato in un posto solo ed è corso dappertutto.
Perché allora non pensare all’Ordine di San Domenico che mi pare proprio fatto per le tre aspirazioni da te menzionate, particolarmente rispondenti alla tua vocazione?
L’Eterno Padre parlando con Santa Caterina da Siena dei primi domenicani, usando il linguaggio trecentesco proprio dell’epoca, disse: “Anco c’erano uomini di grande perfezione: parevano uno Santo Pavolo (Paolo), con tanto lume che all’occhio loro non si parava tenebre d’errore che non si dissolvesse” (Dialogo della divina provvidenza, n. 158).
8. Che fare dunque in questo momento in cui senti le varie chiamate, tutte belle, tutte preziose, tutte confacenti perfettamente con il tuo essere e la tua personalità?
Al giovane che chiedeva che cosa dovesse fare per ereditare la vita eterna Gesù rispose: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!” (Mt 19,21).
Quel giovane non ha osato di staccarsi. Ma se ne andò via triste. Probabilmente quella tristezza l’avrà accompagnato per tutta la vita perché nessuna cosa e nessuna persona può riempire perfettamente il cuore all’infuori di Dio, all’infuori di Gesù Cristo.
9. Secondo me è arrivato il momento in cui il Signore ti chiama a compiere il gesto più alto della tua esistenza: quello di prendere il tuo cuore, la tua vita, il tuo presente e il tuo futuro e di donarlo a Lui.
Dinanzi alle anime che si perdono perché non c’è chi vada alla loro conquista, come non sentirsi chiamati a compiere un gesto così grande e, senza aspettare che altri si muovano, dire a Gesù Cristo: vengo io?
Non si tratta di temerarietà perché anche il tuo direttore spirituale ha ravvisato in te i segni della vocazione soprannaturale.
10. Ti posso confidare che questa è la storia della mia vocazione. Trovandomi dinanzi alla disamina delle varie vocazioni cui mi sentivo attratto, considerando che il desiderio dell’altare e di guadagnare le anime a Cristo era corrispondente alle mie aspirazioni, ad un certo momento in una circostanza di grande sofferenza per il bene della Chiesa ho detto: “Signore, vengo io”.
Ho vissuto quell’atto come un’immolazione.
A posteriori ho capito che il Signore mi aveva condotto a decidere della mia vita compiendo un grande atto di carità.
Se non il più alto, senza dubbio è stato il più decisivo.
E all’istante, subito, dopo quell’atto di carità ho provato una sensazione soavissima di pace e che non potrò mai dimenticare.
Molto volentieri ti accompagno con la mia preghiera. Ho già cominciato a farlo.
Sono certo che il Signore ti darà la forza per dire il tuo grande sì per la vocazione più alta tra tutte quelle che sono fatte per te
In seguito, indipendentemente da questa risposta, ti invierò alcune considerazioni sull’allegato, in cui manifesti il tuo pensiero su come vada vissuto il sacerdozio e il matrimonio.
Fatte alcune precisazioni, lo trovo molto interessante e meritevole di essere messo a disposizione dei nostri visitatori. Può fare del bene!
Ti benedico e ti auguro ogni bene in Domino et in Dominico!
Padre Angelo