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Quesito
Caro Padre Angelo
una curiosità riguardo al Concilio di Nicea del 325 voluto da Costantino.
E’ vero che Costantino intimorì un numero di vescovi contrari alle dottrine minacciandoli di esilio e li costrinse ad approvarle? Ciò allora dimostra che ciò che venne discusso al Concilio è sbagliato?
Grazie
Stefano
Risposta del sacerdote
Caro Stefano,
1. il concilio di Nicea fu indetto per dirimere la questione posta da Ario, il quale affermava che Gesù Cristo non è Dio, ma la prima creatura di Dio.
Poiché le discussioni erano molto accese e causavano divisioni e contrapposizioni all’interno dell’impero romano, l’imperatore Costantino promosse di sua iniziativa un tentativo di riconciliazione convocando i vescovi a discuterne e a mettersi d’accordo.
A questo punto lascio la parola agli storici Bihlmeyer e Tuechle, trascrivendo quanto hanno scritto nella loro apprezzata opera Storia della Chiesa.
Potrai notare come le espressioni che tu hai usato non sono corrette. Costantino non ha fatto pressioni per una parte o per l’altra. Del resto non era una questione di sua competenza. Ha però accettato le conclusioni della quasi totalità dei vescovi decidendo di conseguenza di allontanare Ario e i suoi adepti per la pacificazione dell’Impero che cominciava già ad avere problemi grossi con le pressioni dei barbari.
2. Devo però premettere che il testo che ti trascrivo, soprattutto nel primo paragrafo, ti potrà sembrare un po’ difficile. Ma vai avanti lo stesso nella lettura. Alla fine, in ogni caso, comprenderai quale è stata l’azione di Costantino.
Ecco dunque che cosa scrivono gli storici Bihlmeyer e Tuechle-
:
“Per Ario il Logos (il Verbo di cui parla san Giovanni in Gv 1,1, n.d.r.) è una creazione del Padre, è creato dal nulla come creatura prima e più eminente, destinata ad essere strumento per la creazione degli altri esseri, poiché infatti, secondo la concezione stoico-filoniana, la divinità, assolutamente trascendente, non può mettersi in contatto diretto col mondo della materia. Secondo Ario il Logos è mutevole e perfezionabile, per sua natura estraneo al Padre, unito a lui solo nel volere ed elevato alla condizione di Figlio di Dio con un atto speciale di grazia, in previsione dei suoi meriti. Per questa ragione lo si può anche chiamare Dio come lo chiama la Chiesa, ricordando tuttavia che egli non lo è in realtà, ma solo in senso improprio e morale.
Incominciando dal 315 Ario si diede a propagare con omelie, lettere, canzoni sacre e più tardi anche con uno scritto apposito intitolato Thalèia (banchetto) questa dottrina rivoluzionaria, che abbassava il Logos al livello dì un eroe o di un semidio e si riaccostava così al
paganesimo. La sua predicazione riscosse notevoli aderenze fra il clero e fra il popolo.
Il vescovo Alessandro di Alessandria si oppose a tale dottrina, in cui vedeva una specie di
monarchianismo ebionista. Riusciti vani tutti gli sforzi per distogliere Ario dal suo errore,
Alessandro, in un grande sinodo di circa 100 vescovi egiziani tenuto in Alessandria nel 318
lo espulse dalla comunione ecclesiastica insieme coi suoi seguaci del clero
(2 Vescovi, 6 presbiteri e 6 diaconi).
Alessandro comunicò per lettera la decisione agli altri vescovi, anche a papa Silvestro; Ario
dovette lasciare la città.
3. La controversia assunse presto proporzioni sempre più ampie, perchè Ario riuscì a guadagnare alla sua causa nuovi difensori. Li trovò non solo fra gli scismatici meleziani, per
i quali aveva simpatizzato in passato e che erano separati già da tempo dalla chiesa
alessandrina per la questione della penitenza, ma anche tra alcuni vescovi cattolici, specialmente tra i suoi amici di studio, i «sillucianisti».
Un appoggio particolare gli venne dall’abile e influente vescovo Eusebio di Nicomedia, presso il quale egli si era rifugiato. Perfino il popolo cristiano
dell’Oriente fu largamente interessato alla controversia e diviso in fazioni.
L’imperatore Costantino il Grande, che dopo la vittoria su Licinio nel 324 era diventato signore anche dell’Oriente, credette di dover intervenire per una sollecita restaurazione della unità ecclesiastica. Cominciò col mandare ad Alessandria il suo fiduciario, l’eccellente vescovo Osio (Ossio) di Cordova incaricandolo di fare da intermediario fra Alessandro e Ario. La missione fallì; tuttavia un sinodo celebrato con molti partecipanti ad Antiochia all’inizio del 325, sotto la presidenza di Osio, si pronunciò in favore di Alessandro e contro Ario, condannando anche tre vescovi, tra i quali Eusebio di Cesarea, lo storico della
Chiesa.
Ma siccome c’erano anche altre questioni importanti da risolvere, specialmente quella della festa pasquale, Costantino decise di far dirimere la contesa da un concilio di tutto l’Impero. II concilio, che era stato in un primo tempo convocato ad Ancira, fu celebrato fra il maggio e il luglio del 325 a Nicea in Bitinia, con la partecipazione di circa 300 vescovi (secondo la tradizione 318, con riferimento a Gn 14,14) convenuti da tutte le parti del mondo cristiano. Dei partecipanti solo sette provenivano dall’Occidente e tra essi due presbiteri romani (Vittore e Vincenzo), quali rappresentanti di papa Silvestro, di età già
avanzata.
I difensori più valenti della fede ecclesiastica al fianco di Osio e di Alessandro furono i
vescovi Eustazio di Antiochia, Marcello di Ancira, e il giovane diacono di
Alessandria Atanasio venuto come accompagnatore e segretario del suo vescovo. Era presente anche Ario. La presidenza fu tenuta probabilmente da Osio insieme coi delegati papali.
Data la diversità di opinioni, le discussioni sinodali furono talvolta molto lunghe e agitate, tanto che a quanto sembra Costantino intervenne nell’assemblea con la sua parola per raccomandare moderazione e concordia.
Respinta decisamente una formula di fede ariana, che era stata Presentata da Eusebio di
Nicomedia, i Padri inclinavano in un primo tempo a tutelare il dogma servendosi di espressioni bibliche, in particolare contrapponendo all’espressione «dal nulla» degli ariani, l’affermazione che il Logos è «da Dio».
Il vescovo Eusebio di Cesarea, capo della corrente intermedia di indirizzo origenistico, propose a questo fine e insieme a sua giustificazione il simbolo battesimale della sua chiesa; la sua proposta fu approvata dall’imperatore. Ma ben presto si vide che questo simbolo non era abbastanza chiaro e che gli ariani potevano interpretarlo a modo loro; poiché in ultima analisi, come si afferma in 1 Cor 8,6, tutte le cose sono ex Deo.
Così alla fine, in accordo con la teologia occidentale e col consenso dell’imperatore, venne fissato in redazione definitiva il simbolo di Nicea (19 giugno 325). In esso si decideva che il Figlio di Dio è della «natura del Padre», «Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio, generato, non creato, della identica natura del Padre (omousios tò patrì); per mezzo di lui furono fatte tutte le cose in cielo e in terra», ecc.
In un’appendice furono colpite con l’anatema della Chiesa cattolica le principali tesi di Ario: «che ci fu un tempo in cui il Figlio di Dio non era, che egli proveniva dal non essere, da una sostanza o essenza, diversa da quella del Padre, che egli è creatura, mutabile o variabile».
Il simbolo fu accettato da quasi tutti. Solo i vescovi libici Secondo di Tolemaide e Teona di Marmarica, che sin da principio erano stati dalla parte di Ario, si rifiutarono di firmare. Essi furono scomunicati e l’imperatore li mandò in esilio insieme con Ario. Poco dopo Costantino condannò all’esilio anche i vescovi Euzebio di Nicomedia e Teognide di Nicea, perchè non volevano rompere la comunione ecclesiastica con alcuni ariani alessandrini. Inoltre condannò al fuoco gli scritti di Ario e dei suoi amici e decretò la pena di morte per coloro che li conservavano di nascosto” (Storia della Chiesa, vol. I, pp. 298-300).
Ti saluto, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo