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Quesito

Rev. mo Padre Angelo,
mi scuso per il nuovo disturbo che le arreco.
La Chiesa è sotto attacco mediatico da molto tempo.
Ma in queste ore, lo strumento di attacco sta assumendo contorni sempre più specifici. Ed è riassumibile con un’espressione: “crimen sollicitationis”. Ossia, l’atto con il qual l’attuale Pontefice, ai tempi Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, avrebbe – a dire degli “accusatori” – “coperto” gli atti di pedofilia perpetrati da alcuni sacerdoti, “ordinando” il silenzio a costoro nonché alle vittime a pena di scomunica.
Il carattere attuale di questo nuovo attacco è facilmente rilevabile. Basta navigare in internet sfruttando un comune motore di ricerca per percepirne la portata e per coglierne – il che non guasta – i mandanti. Che sono i soliti.
Sul carattere pateticamente falso di questa accusa non ho dubbio alcuno. Essa, d’altronde, muove da premesse “in fatto” imprecise o del tutto prive di fondamento. Si parla ad esempio di tale “crimen sollicitationis” come di un documento segreto: e tale non era di certo, perchè è lo stesso Cardinale Ratzinger a menzionarlo in una missiva del 2001. Si afferma che l’atto fu ideato dall’attuale Pontefice, e ciò è un falso storico, poichè la redazione avvenne a cura dal Card. Ottaviani e la promulgazione ad opera di Papa Giovanni XXIII.
Insomma, ce n’è già quanto basterebbe per qualificare come “temeraria” una tesi del genere dinanzi a qualsiasi tribunale civile.

Tuttavia, posso chiederle sull’argomento ulteriori delucidazioni, “sfruttando” per l’ennesima volta la sua puntualità nelle risposte? In che cosa consiste di preciso questo “crimen sollicitationis”? Perchè è stato emanato? E conclusivamente, quali sono i punti centrali sui quali – da cristiani innamorati della Chiesa e della Sua guida – possiamo incentrare le nostre argomentazioni tese a “rompere” il castello di congetture montato dai soliti soloni del nulla?

La ringrazio sempre, e le assicuro la mia povera preghiera quale costante compagna della sua opera.
Antonio C.

Caro Padre Angelo,
recentemente mi è capitato di vedere un servizio sulla Chiesa e la pedofilia. Se ne dicono di cotte e di crude: non si fa niente per tutelare i bambini, i preti vengono solamente spostati in un’altra parrocchia senza in realtà eliminare il pericolo di una reiterazione dell’abuso, il Vaticano pratica ostruzionismo e omertà, si arriva a paragonare addirittura la Chiesa a Cosa Nostra! Particolarmente presi di mira sono Ratzinger, sia da Cardinale che da Pontefice, e il documento “Crimen sollicitationis”, allora segreto, con cui il Cardinale dava direttive riguardanti i casi di pedofilia da parte di sacerdoti, e nel quale (si afferma almeno nel filmato) viene sentenziato che chi si rivolgeva a un tribunale civile per difendersi era soggetto a scomunica (?!?).
Può chiarirmi quale è stata la strategia della Chiesa nei confronti di questi casi? Secondo lei ci sono stati degli errori? La segretezza, a volte necessaria per evitare scandali, non è stata forse eccessiva? E dove posso reperire una copia del “Crimen Sollicitationis”, in modo da constatare le effettive direttive ecclesiastiche?
La ringrazio e come sa la ricordo nella preghiera, e prego anche per le difficoltà e i travagli che la Chiesa sta vivendo oggi, in particolare lo scandalo della pedofilia
Lorenzo


Risposta del sacerdote

Carissimi,
i problemi che voi mi ponete sono due. Primo che cosa sia il crimen sollicitationis; secondo, quello relativo alla pedofilia.
1. L’istruzione Crimen sollicitationis non è del card. Ratzinger o della Congregazione per la dottrina della fede, ma un documento del Sant’Ufficio pubblicato il 16.3.1962.
Non è un documento segreto perché la Tipografia poliglotta vaticana l’ha pubblicato con questo titolo “Procedimento nelle cause di sollecitazione” (1962).
Questa Istruzione dava delle direttive nei casi di “sollicitatio ad turpia”, vale a dire di incitamento a commettere atti impuri.
Di questo crimine parla già un decreto del S. Ufficio dell’11.2.1661.
C’è “sollicitatio ad turpia” quando il sacerdote in riferimento al ministero della Confessione istiga un fedele a compiere atti contro il sesto comandamento da solo, con altri o addirittura col sacerdote stesso.
Ebbene, il vecchio Codice di Diritto canonico prevedeva l’obbligo per il fedele di denunciare il sacerdote sollecitante.
La denuncia andava fatta entro un mese al S. Ufficio oppure al proprio Ordinario. Se entro il mese dalla conoscenza di tale obbligo il fedele non provvedeva alla denuncia, incorreva nella scomunica e non poteva essere assolto finché non provvedeva a soddisfare il suo obbligo.
Con questa disciplina severa la Chiesa intendeva impedire ai sacerdoti di sbagliare su questa delicata dottrina e nello stesso tempo che si ripetessero abusi nei confronti dei fedeli.
Il sacerdote accusato aveva il diritto di difendersi e le pene canoniche ricadevano su di lui solo al momento della sentenza emanata dal tribunale ecclesiastico. Queste erano varie a seconda della gravità. Potevano essere la sospensione perpetua o temporanea dalla celebrazione della Messa, dall’ascoltare le confessioni, la privazione degli uffici e dei benefici e anche la degradazione allo stato laicale.
Evidentemente vi poteva essere anche la falsa denuncia contro un sacerdote accusato come sollecitante. Il fedele che agiva in questo modo incorreva anche lui in una scomunica riservata alla Santa Sede e non poteva essere assolto neanche sul letto di morte se non ritrattava la falsa accusa.

2. Nell’attuale Codice di diritto canonico (1983) non si parla più dell’obbligo di denunciare il sacerdote sollecitante.
Tuttavia il Codice prevede ancora delle pene a proposito di questo crimine.
Il can. 1387 recita: “Il sacerdote che, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione sacramentale, sollecita il penitente al peccato contro il sesto precetto del Decalogo, a seconda della gravità del delitto, sia punito con la sospensione, con divieti, privazioni e, nei casi più gravi, sia dimesso dallo stato clericale.
Il can. 982 prevede le pene da comminare anche a chi falsamente denuncia un sacerdote: “ Colui che confessa d’aver falsamente denunciato un confessore innocente presso l’autorità ecclesiastica per il delitto di sollecitazione al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, non sia assolto se non avrà prima ritrattata formalmente la falsa denuncia e non sia disposto a riparare i danni, se ve ne siano”.
Il can. 1390 ricorda che “chi falsamente denuncia al Superiore ecclesiastico un confessore per il delitto di cui al can 1387, incorre nell’interdetto latae sententiae, e se, sia chierico, anche nella sospensione”.
Da come emerge, il crimen sollicitationis è più ampio del caso di pedofilia, ma vi include anche quello.

3. Nella lettera ad exequendam (18.3.2001) la Congregazione per la dottrina della fede ricorda che tra le competenze della Congregazione vi è anche l’esame del delitto contro la morale, cioè: il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età.
La lettera è firmata dal perfetto della Congregazione che a quei tempi era, com’è noto, il Card. Ratzinger.
Non conosco il documento in cui il Card. Ratzinger chiede segretezza nello svolgimento del processo. Ma le cose mi sembrano abbastanza plausibili: va evitato in ogni modo il clamore mediatico che inevitabilmente si accende per casi del genere. Il prete in questione, per quanto innocente, potrebbe esserne segnato per sempre. E, come la cronaca anche recente insegna, è facile distruggere un prete e gettare discredito su tutto il suo ministero, attraverso false accuse.
Rimane per sempre un prete “chiacchierato” e inaffidabile.
D’altra parte, se l’offeso è un credente, perché non dovrebbe fidarsi del tribunale ecclesiastico?
Inoltre un processo civile non ha la competenza di stabilire quali debbano essere le pene canoniche cui va soggetto un chierico in questione. Non può essere il giudice di un tribunale civile a sospendere a divinis, a degradare dallo stato clericale, ecc…
In ogni caso, andrà sempre fatto un processo anche davanti al tribunale ecclesiastico.

4. Mi viene chiesto se alcuni Vescovi abbiano sbagliato nei casi di pedofilia, limitandosi a spostare un prete da una parrocchia all’altra, con la conseguenza di aumentare solo i disastri.
Indubbiamente qualche caso c’è stato, e questo è dipeso dall’imprudenza dei vescovi, che talvolta si sono fidati dei consigli di psicologi o delle dichiarazioni di pentimento dei preti in questione.
Ora va detto senza mezzi termini che quello della pedofilia è un crimine orrendo. Ma lo è ancora di più, ed è del tutto intollerabile, se il soggetto in questione è un sacerdote, che per vocazione è chiamato a portare i fedeli alla santità.
Qui ci troviamo di fronte ad una perversione che non può conoscere tolleranza, sia per il male che si fa ai ragazzi, sia per il discredito che ne viene alla Chiesa.
Come sapete, Giovanni Paolo II ha detto che “non c’è posto nel sacerdozio e nella vita religiosa per coloro che fanno del male ai giovani”.
Questo significa in altri termini che si macchia di questi peccati deve lasciare l’esercizio del sacerdozio e la vita consacrata.
I Vescovi Usa hanno adottato questo criterio: “Quando anche un singolo atto di violenza sessuale da parte di un sacerdote o di un diacono sia ammesso o venga accertato dopo un processo opportuno in conformità con il diritto canonico, il sacerdote o diacono colpevole sarà rimosso permanentemente dal ministero ecclesiastico, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti” (Norme essenziali, 8).
Queste Norme essenziali sono state approvate dalla Congregazione per i vescovi l’8.12.2002.

Vi ringrazio per il quesito, vi accompagno con la preghiera e vi benedico.
Padre Angelo