Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Gentile Padre Angelo
da molto tempo, da non credente, seguo la Sua rubrica "un sacerdote risponde" sul sito amicidomenicani.it, che ritengo estremamente interessante, anche per chi, come me, non ha il dono o la condanna (mi conceda un tocco di umorismo) della fede, ma è appassionato al fenomeno religioso.
Vorrei porLe una domanda, probabilmente un po’ tecnica ed eterodossa, ma che con la mia partner e tra amici non credenti o non cristiani ci poniamo con una certa insistenza.
Vivendo in un ambiente a maggioranza cattolica, è inevitabile che si partecipi di tanto in tanto alla celebrazione della messa in occasione di funerali o sacramenti di persone a noi vicine, cosa che vorrei fare nel massimo rispetto della mia etica, ma soprattutto della altrui fede.
La domanda che Le chiedo è la seguente. Come deve comportarsi una persona non credente o non cattolica che debba prendere parte, rispettando i fedeli ed il culto, ad una messa?
Chiaramente non c’è partecipazione all’eucaristia, o la pronuncia della professione di fede del "Credo" ma per il resto, quali sono le regole di buon comportamento? Ci sono norme da seguire o la materia è lasciata alla coscienza e sensibilità del singolo?
Le cito qualche esempio per intenderci: ritengo che farmi il segno della croce, per quanto un gesto di pace, sia anche fortemente irrispettoso del valore sacrale di quella gestualità e di ciò che essa rappresenta per i fedeli credenti.
Al momento della consacrazione del pane e del vino, ritengo altrettanto irrispettoso e finto inginocchiarmi.
Viceversa partecipo allo scambio del segno di pace perché, non avendo, almeno linguisticamente, una formulazione religiosa, non comporta da parte mi una irriguardosa e finta recita.
La ringrazio sentitamente per la disponibilità che vorrà concedermi e colgo l’occasione per porgerLe i più cordiali saluti
Diego
Risposta del sacerdote
Caro Diego,
1. intanto mi compiaccio per il fatto che, pur non essendo credente, segui il nostro sito. Ciò significa che le argomentazioni della fede ti interessano.
Penso che le troverai ragionevoli.
D’altronde molte persone che ti sono vicine a diverso titolo sono credenti e praticanti.
Vedi che “vivono nel mondo” pur “non essendo del mondo” per usare il linguaggio evangelico.
Percepisci bene che hanno varcato una soglia che li ha fatti entrare fin d’ora in un altro orizzonte e stanno gustando “la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro” (Eb 6,5).
Mi pare logico che una persona pur non credente si faccia delle domande nei confronti di coloro che credono, soprattutto se li vede con qualcosa o con un timbro che altri non hanno.
2. Ma adesso veniamo alla tua domanda.
Anzitutto mi pare ragionevole che chi si professa non credente stia vicino anche materialmente ad un evento che tocca la vita di un amico credente.
Non comprendo ad esempio come alcuni durante un funerale stiano fuori della porta della Chiesa a parlare, magari a fare delle battute e anche a ridere, mentre i loro amici in lutto sono in Chiesa, rivivono tanti momenti toccanti della loro vita passata insieme, sono pieni di commozione e piangono.
3. Ugualmente non comprendo il medesimo comportamento in occasione di un matrimonio che, indipendentemente dalla forma religiosa, trova il suo culmine nel sì degli sposi.
È un momento importantissimo per la vita di una persona. È un impegno pubblico a vivere l’uno per l’altro, anzi per l’altro. E in maniera così radicale che dal quel momento in qualche modo uno si espropria e diventa dell’altro, anzi appartiene all’altro.
Che cosa c’è di più bello e di più alto nella vita di un uomo o di una donna?
Per questo san Tommaso definiva il matrimonio come la più grande amicizia (maxima amicitia).
Ora essere invitati alle nozze è la stessa cosa che essere invitati a questo momento altissimo per la vita degli sposi.
Il pranzo o il rinfresco è importante, ma è solo conseguente a questo evento.
4. La stessa cosa si può dire per altri eventi come la celebrazione dei Battesimi, delle prime Comunione e delle Cresime.
Si è invitati all’evento, alla celebrazione. E conseguentemente si è invitati anche al resto.
5. Pertanto esprimo di nuovo la mia compiacenza per il tuo comportamento: se sei invitato alla celebrazione di un Sacramento oppure senti la necessità di partecipare ad un evento importante per la vita di qualcuno che ti è caro, vi partecipi nella misura umanamente più ampia possibile.
6. Venendo adesso alla domanda specifica.
Il tuo comportamento deve essere consono al rispetto che devi avere per le persone per le quali sei in Chiesa.
È chiaro allora, come tu stesso avverti, che sarebbe offensivo per i credenti che un non credente vada a fare la Comunione, banalizzando un evento così sacro per il quale si prerichiede di essere purificati con la Confessione sacramentale.
Non si tratta semplicemente di una prescrizione rituale. Ne va di mezzo la sostanza, perché i credenti sono persuasi che “Dio non entra in un’anima inquinata dal peccato” (Sap 1,4).
Qualora tu andassi a fare la Comunione, i parenti o i vicini credenti rimarrebbero offesi per la banalizzazione di quel gesto, che per loro è sacro per eccellenza.
Questo lo si comprende.
7. Ugualmente è giusto per il rispetto delle persone per le quali sei in Chiesa che tutti i momenti della celebrazione siano vissuti secondo le prescrizioni liturgiche.
Sicché se è prescritto di stare seduti in alcuni momenti o di stare in piedi in altri (come ad esempio per la proclamazione del Vangelo) ci si adegua cortesemente.
La celebrazione deve risultare bella in tutte le sue espressioni, anche nella partecipazione degli astanti.
8. Al momento della consacrazione non è chiesto di stare in ginocchio. I riti stessi prevedono di mettersi in ginocchio o anche di stare in piedi.
Un non credente starà in piedi rispettando il momento sacro che sta vivendo il congiunto o il vicino credente.
Quest’atteggiamento non urta il credente e rende onore al non credente.
9. Uno dei problemi più grossi è quello della risposta alle invocazioni.
Certo sarebbe bello che anche il non credente all’invocazione del sacerdote “In alto i nostri cuori” rispondesse “Sono rivolti al Signore”.
Ma per lui questo sarebbe come una bugia.
Tuttavia se non può rispondere a tutte le invocazioni potrebbe non far scena muta in alcune, almeno per motivi di cortesia e di urbanità, come ad esempio quando il sacerdote dice: “La pace del Signore sia sempre con voi”. Può rispondere benissimo insieme con gli altri: “e con il tuo spirito”.
Penso che come d’istinto per alcune acclamazioni gli venga da rispondere e per altre gli venga da tacere.
Quando però non risponde è giusto che tenga un contegno serio, rispettoso di quanto i credenti in quel momento non solo stanno dicendo, ma vivono e sperimentano nel loro cuore.
10. Rimane un ultimo problema: quello del segno della croce.
A questo proposito io distinguerei tra non credenti e non battezzati e non credenti ma battezzati.
Mentre è da escludere per i primi, perché è segno visibile di appartenenza a Cristo e alla Chiesa, non lo escluderei per i secondi.
Rimane per costoro il segno di un’appartenenza che c’è stata, che si è persa, ma non ripudiata.
Se è così, si tratta di un segno di condivisione che può solo rallegrare il cuore dei credenti. Ed è ben per loro che in quel momento ci si trova in Chiesa.
11. Ma potrebbe essere anche una tacita invocazione su se stessi di tutti quei beni che Cristo è venuto a portare all’umanità e che i credenti in quel momento invocano su di sé e sui presenti: liberazione dal male, protezione dagli spiriti cattivi (e cioè dai demoni e dai malefici), benedizione di Dio.
Sicché a farsi il segno della croce non si ha nulla da perdere, si fanno contenti gli altri (i credenti, a motivo dei quali si è in Chiesa) e si invoca su di sé una liberazione e una benedizione.
12. Inizialmente mi hai detto che non hai il dono o, per meglio dire con battuta umoristica, la condanna della fede.
Permettimi di dirti che in realtà i credenti sono convinti del contrario.
Sentono di essere entrati nel mondo vero, quello che dura eternamente.
E avvertono che ai non credenti è negata un’esperienza, la più bella e la più alta della vita: quella dell’unione con Dio.
Un’esperienza che già nella vita presente conferisce “gioia piena e dolcezza senza fine” (Sal 16,11) perché non solo proietta la vita presente nell’eternità, ma già vi introduce.
Certo che gradirai la promessa della mia preghiera, te la assicuro cordialmente e la accompagno con quella benedizione che data da Dio e dai suoi ministri non è solo invocativa, ma al dire di san Tommaso è anche imperativa.
Padre Angelo