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Caro Padre Angelo,
mi chiamo … e sono un seminarista di V teologia della diocesi di …. La sua opera rende sicuramente onore al glorioso ordine domenicano!
Rimango sempre edificato dai limpidi ed eleganti ragionamenti della teologia di san Tommaso, da cui attinge per rispondere alle domande dei visitatori. Purtroppo il mio studio non poggia sul solido edificio tomista, e quello che so di san Tommaso è frutto più di un difficile lavoro da autodidatta, certamente non privo di difetti. Mi accorgo con dolore di studiare in seminario una teologia malata, che disprezza continuamente la scolastica, si perde in ragionamenti minuziosi senza favorire una visione di sintesi, non ama citare troppo il sovrannaturale, descrive la manualistica come un’epoca oscura, finalmente superata da un metodo teologico che riporta in auge la Patristica (soprattutto greca) e il discorso biblico. Pare che il suo scopo primario sia quello di demolire tutto ciò che il medioevo ha sapientemente perfezionato, compresa la metafisica aristotelica. Con la contraddizione che questa teologia si trova obbligata a pescare dalla filosofia moderna, soprattutto dall’esistenzialismo e il personalismo. Questo studio mi risulta freddo, difficile e dispendioso, non riesce ad accrescere il mio amore a Dio e – mi permetto di dire – anziché sostenere e illuminare l’intelletto aiutandolo a trovare motivi per fortificare la volontà, la mia vita spirituale progredisce lentamente nonostante la teologia e non in virtù anche di essa, come invece dovrebbe essere. Quella che vivo è una sorta di schizofrenia, una sorta di doppia vita: nella vita sacramentale e nella preghiera sono sorretto dalla fede e dall’insegnamento del Magistero, ma quando mi trovo a lezione o a sostenere gli esami (senza i quali il mio cammino non può proseguire), mi vedo costretto a selezionare prudentemente i termini ed esprimere a parole un pensiero che non mi appartiene, al prezzo di uno sforzo sovrumano e inconcludente.
Mi piacerebbe sentire un suo parere al riguardo e magari un incoraggiamento.
Mi permetto, già che le scrivo, di porle alcuni quesiti di dogmatica.
1) Dal momento che nell’ostia santa la presenza sostanziale del Cristo Risorto comporta la sua presenza con tutta la sua vita (compresa la sua passione e morte, di cui l’Eucaristia è memoriale), terminata la santa Messa, o ad esempio durante un’adorazione, l’Eucaristia conserva il carattere di Sacrificio in senso stretto, oppure il carattere sacrificale è transitorio e limitato all’offerta della Messa?
2) Qualora fosse corretta questa seconda affermazione, nell’ipotesi che si potessero conservare entrambe le specie sacramentali, il carattere sacrificale risulterebbe permanente quanto il carattere sacramentale?
La ringrazio in anticipo per la risposta che saprà darmi, caro Padre Angelo. Sono felice per il suo amore alla Verità e per il bene che procura alle anime.
La saluto in Gesù e Maria,
Carissimo,
1. mi dispiace molto per la situazione in cui ti trovi e che hai descritto bene.
L’ho sentita ripetere diverse volte da seminaristi e da laici, non della tua diocesi. Si trovano costretti a dire agli esami cose di cui non sono convinti e ad usare un linguaggio imparato a memoria solo per non contraddire il professore e così portarsi a casa un trenta e magari anche un trenta lode, che fa sempre piacere e dà soddisfazione ai propri genitori.
2. Ma ciò che dispiace di più non è tanto per la finta cui siete costretti, ma per lo studio della teologia così mal condotto.
Per san Tommaso, che senza dubbio è il principe dei teologi, la teologia è una certa anticipazione di quella conoscenza che avrà il suo compimento nella visione beatifica: “Il fine ultimo di questa dottrina (ai suoi tempi la teologia era chiamata ancora sacra doctrina) è la contemplazione della verità prima che godremo in patria” (Commento alle Sentenze I, Prologo, art. 3, sol. 1e ad 1).
3. Si tratta di “contemplazione”, vale a dire di mente fissa su Dio, su Gesù Cristo, ed è inebriata della sua sapienza e della sua dolcezza.
La contemplazione per San Tommaso è un assaggio o un certa prelibazione della beatitudine.
La beatitudine secondo sant’Alberto Magno è quello stato di vita cui nulla manca.
4. Evidentemente la beatitudine di qua può essere solo imperfetta perché ci mancano ancora tante cose.
Tuttavia è già molto grande e, al dire di san Tommaso, è superiore a tutte le soddisfazioni di ordine temporale.
Se uno ha una certa dimestichezza col suo pensiero si accorge subito del gaudio che aveva dentro il suo cuore e anche della sua perenne e straordinaria unione con il Signore.
Per questo poteva dire che “la fede è un habitus (un’inclinazione permanente) della mente che dà inizio in noi alla vita eterna” (Somma teologica, II-II, 4, 1) e cioè al possesso di Dio e alla beatitudine del Paradiso.
San Tommaso sperimentava quanto siano vere le parole della sacra Scrittura là dove si dice della sapienza divina che “la sua compagnia non dà amarezza, né dolore il vivere con lei, ma contentezza e gioia” (Sap 8,16).
5. Per chi studia teologia dovrebbe essere una prassi continua passare dallo studio alla contemplazione e dalla contemplazione allo studio.
San Tommaso nel medio evo non era l’unico a pensare così.
Ad esempio Alessandro di Hales († 1245) affermava che “la sacra dottrina viene detta divina o teologia perché viene da Dio, parla di Dio, e conduce a Dio (Doctrina sacra dicitur divina seu theologia, quia a Deo et de Deo et ductiva ad Deum)” (alessandro di hales, Summa theologica, t. I, n.2, ad obiecta).
Se non conduce a Dio alla teologia manca qualcosa di essenziale.
Si direbbe che sia stata ridotta ad erudizione, a cultura. E non sia più quella sacra doctrina che a Dio conduce (ductiva ad Deum).
6. Adesso vengo alla tua precisa domanda: se il carattere sacrificale sia transitorio e limitato all’offerta della Messa.
La risposta è affermativa.
Sebbene il Cristo presente sia l’Agnello immolato, il Christum passum, la celebrazione del sacrificio termina con il concludersi della celebrazione eucaristica.
7. A questo proposito abbiamo la parola autorevole di Pio XII pronunciata al Congresso di Liturgia Pastorale il 22 settembre 1956.
Ecco che cosa ha detto:
“A queste condizioni, Noi dobbiamo aggiungere alcuni rilievi concernenti il tabernacolo. Come noi dicevamo or ora: “Il Signore è in qualche modo più grande che l’altare e il sacrificio”, così potremmo chiederci adesso: “Il tabernacolo, in cui abita il Signore disceso in mezzo al suo popolo, è forse superiore all’altare e al sacrificio?”. L’altare ha importanza maggiore del tabernacolo, perché vi si offre il sacrificio del Signore. Il tabernacolo possiede senza dubbio il Sacramentum permanens; ma esso non è un altare permanens, poiché il Signore non si offre in sacrificio se non sull’altare durante la celebrazione della S. Messa, ma non dopo né fuori della Messa.
Nel tabernacolo, invece, egli è presente per tutto il tempo che durano le specie eucaristiche, senza tuttavia offrire se stesso permanentemente. (…).
È un solo e medesimo Signore, che è immolato sull’altare e che è onorato nel tabernacolo, donde spande le sue benedizioni”.
8. Se la celebrazione del sacrificio continuasse anche nel tabernacolo uno potrebbe dire di aver partecipato al sacrificio della Messa andando a fare una visita al SS. Sacramento.
È necessario pertanto tenere presente la distinzione tra sacrificio e sacramento dell’Eucaristia.
9. A proposito dell’adorazione a Gesù nel sacramento al di fuori della celebrazione della Messa mi piace riportare le parole che Pio XII pronunciò nel medesimo discorso:
“Si potrebbe altresì sottolineare l’atteggiamento della Chiesa in riguardo a certe pratiche di pietà: le visite al SS. Sacramento, che essa raccomanda vivamente, la preghiera delle Quarantore o “adorazione perpetua”, l’Ora santa, il trasporto solenne della Comunione agli infermi, le processioni del SS. Sacramento.
Il liturgista più entusiasta e più convinto deve poter comprendere e intuire ciò che rappresenta il Signore per i fedeli profondamente pii, siano essi gente semplice o persone colte.
Egli è il loro consigliere, il loro consolatore, la loro forza, il loro rifugio, la loro speranza tanto in vita che in morte.
Non pago di lasciar venire i fedeli verso il Signore nel tabernacolo, il movimento liturgico si sforzerà allora di attirarveli sempre di più”.
Mentre ti auguro di poter attuare anche queste ultime parole già fin d’ora, ti assicuro il mio ricordo al Signore, ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo