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Quesito
Caro Padre Angelo,
le scrivo per chiederle una domanda di apologetica: cosa è la tentazione? Come combatterla?
Quando si pecca e si accetta la tentazione e quando non si pecca?
Nel mio caso mi è capitato di fare qualcosa di cattivo contro Dio, ma poi ho combattuto tale desiderio, dicendo: no, è peccato. Ho pregato e non ho fatto quella cosa. Qui: sono stato tentato, ho commesso peccato?
Le voglio bene.
Un saluto
Massimo dall’ Inghilterra
Risposta del sacerdote
Caro Massimo,
1. vediamo anzitutto che cosa sia la tentazione.
Per San Tommaso “tentare propriamente vuol dire sottoporre una cosa a esperimento. E tale esperimento ha lo scopo di meglio conoscere la cosa stessa: perciò, scopo immediato di ogni tentazione è la conoscenza.
Talvolta però, dopo l’acquisto della conoscenza, si mira a un altro scopo ancora, che può essere buono o cattivo: buono, nel caso che uno intenda scoprire le qualità di una persona, sia nel campo del sapere che nel campo della virtù, per aiutarla ad avanzare ulteriormente; cattivo invece, quando uno vuole scoprire tutto questo per poterla ingannare e rovinare” (Somma teologica I, 114,2).
Nel nostro caso parliamo di tentazione come di una provocazione al male.
2. Dice ancora San Tommaso: “La tentazione, come provocazione al male, è sempre una colpa per chi tenta.
Ma per chi viene tentato propriamente non lo è, a meno che non ne resti in qualche modo turbato: infatti in questo caso l’azione di colui che tenta viene a trovarsi nel soggetto che la subisce.
Quindi per il fatto che il tentato si lascia trascinare al male dal tentatore cade nella colpa” (Somma teologica I, 48, 5, ad 3).
Pertanto se alla tentazione, per quanto violenta, si resiste, non vi è peccato.
Vi è invece peccato nella misura in cui ci si lascia adescare.
3. La violenza della tentazione può accrescere o diminuire la colpa a seconda che la tentazione venga cercata (come ad esempio nella ricerca della pornografia) oppure che da essa si venga assaliti.
Dice ancora San Tommaso: “Se nel termine concupiscenza s’include anche il moto della volontà (e cioè la volontarietà, n.d.r.), allora quando c’è una maggiore concupiscenza, c’è anche un più grave peccato.
Se invece per concupiscenza s’intende la passione, cioè il moto del concupiscibile, allora una maggiore concupiscenza che precedesse il giudizio della ragione e il moto della volontà diminuirebbe il peccato: poiché chi pecca sotto lo stimolo di una maggiore concupiscenza cade per una tentazione più grave; e quindi è meno colpevole.
Se invece questa concupiscenza è conseguente al giudizio della ragione e al moto della volontà, allora una maggiore concupiscenza è anche un peccato più grave: poiché talora il moto della concupiscenza insorge più forte, per il fatto che la volontà tende senza freno verso il proprio oggetto” (Somma teologica I-II, 73, 6, ad 2).
4. Qualcuno si è chiesto se sia utile cercare la tentazione per migliorare nell’esercizio delle virtù.
Ecco anche qui ciò che dice san Tommaso: “Le occasioni di tentazione sono di due specie.
La prima dipende dall’uomo: p. es., quando ci si espone al peccato non evitando l’occasione. Tale specie di occasione va evitata, conforme a quanto fu detto a Lot: "Non fermarti in nessun luogo della pianura di Sodoma" (Gn 19,17).
La seconda dipende dal diavolo, il quale "sempre insidia coloro che aspirano a essere migliori", come dice S. Ambrogio. E tale tentazione non si deve evitare.
Ecco perché il Crisostomo dice che "fu condotto nel deserto dallo Spirito non soltanto Cristo, ma tutti i figli di Dio che hanno lo Spirito Santo. Questi infatti non sono contenti di starsene oziosi, e lo Spirito Santo li stimola a intraprendere opere grandi: questo per il diavolo è come essere nel deserto, poiché non vi è l’ingiustizia nella quale egli si compiace. Ogni opera buona è deserto anche per la carne e per il mondo, perché non è conforme alla volontà della carne e del mondo".
Dare poi al diavolo simile occasione di tentare non è pericoloso, poiché l’aiuto dello Spirito Santo, autore di ogni opera perfetta, è superiore all’impugnazione del diavolo insidioso” (Somma teologica III, 41, 2, ad 2).
5. Le tentazioni possono provenire dalla nostra concupiscenza, come ricorda la Sacra Scrittura: “Nessuno, quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono” (Gc 1,13-14).
Oppure possono provenire dal demonio come ricorda San Paolo quando dice: “Per il resto, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove” (Ef 6,10-13).
E come anche ricorda san Pietro: “Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1 Pt 5,8).
6. Che fare per decifrare la loro provenienza?
È difficile riconoscerlo.
Tuttavia secondo il parere degli autori spirituali tentazione “quando la tentazione è repentina, violenta e tenace, quando non si è posta nessuna causa prossima o remota capace di suscitarla, quando turba profondamente l’anima, quando suggerisce il desiderio di cose straordinarie e appariscenti, o spinge a diffidare dei superiori, a tacere con il direttore spirituale la si può ritenere come un intervento più o meno diretto del demonio” (A. Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, 162).
7. Indipendentemente dalla loro derivazione, Dio dà sempre la forza di superarla.
Su questo la sacra Scrittura è chiara: “Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere” ( 1Cor 10,13).
8. Tuttavia questo aiuto richiede che noi lo accogliamo.
E lo accogliamo mettendo in pratica quanto ci ha detto il Signore: “Vegliate e pregate per non entrare in tentazione” (Mt 26,41).
La vigilanza deve portare a fuggire le occasioni pericolose, al controllo di se stessi, dei propri sensi e della propria immaginazione.
Assieme a quest’attenzione o vigilanza ci deve essere la preghiera che fa irrompere nella nostra vita un’energia soprannaturale superiore alla forza di qualsiasi tentazione.
9. Commentando Mt 26,41 San Girolamo dice: “È impossibile che l’anima umana non sia tentata.
Quindi non dice Vegliate e pregate perché non siate tentati, ma per non entrare nella tentazione, cioè in modo che la tentazione non vi superi”.
10. Infine va ricordato che c’è un premio che si riceve nel superamento delle tentazioni.
Lo ricorda la Sacra Scrittura: “Beato l’uomo che resiste alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a quelli che lo amano” (Gc 1,12).
San Tommaso afferma che “chi supera le tentazioni merita di essere servito dagli Angeli” (Commento al Vangelo di Matteo 4,11).
Gli autori spirituali enumerano i grandi vantaggi che provengono dalla vittoria contro le tentazioni.
Questa vittoria “umilia Satana, fa risplendere la gloria di Dio, purifica la nostra anima, ci riempie di umiltà, di pentimento e di fiducia nell’aiuto divino, ci obbliga a star sempre vigili, a diffidare di noi stessi, sperando tutto da Dio, a mortificare i nostri gusti e capricci, stimola all’orazione, aumenta la nostra espe-rienza e ci rende più circospetti e cauti nella lotta” (A. Royo Marin, Ib.).
Ecco quanto ti ho potuto dire su questo tema che costituisce una porzione notevole nella vita di tutti coloro che vivono nella Chiesa militante.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo