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Quesito

Caro Padre Angelo,
spero che questa mia e-mail la trovi in buona salute.
In un sito on-line cattolico ho trovato a proposito degli atti del penitente della Santa Confessione quanto segue:
“soddisfazione o penitenza sacramentale: È la preghiera e l’opera buona imposta dal confessore a castigo e a correzione del peccato, e a sconto della pena temporanea meritata peccando. Deve essere fatta al più presto possibile dopo la confessione. Dio nella Sua bontà illimitata perdona, ma nella Sua giustizia e santità infinita esige una soddisfazione. Chi non fa penitenza e soddisfazione in questa vita, deve farla nel Purgatorio. Gesù per placare questa giustizia divina per i peccati commessi dagli uomini, ha pianto, digiunato, sudato sangue ed è morto sul legno della croce tra due malfattori”.
Ma un sacerdote mi scrisse che “nel concetto di soddisfazione sacramentale è incluso il dovere di riparazione oggettiva dei peccati che si possono riparare. Così i peccati contro il settimo comandamento oppure contro l’ottavo (calunnia e diffamazione). Se un penitente rifiutasse (potendo oggettivamente farlo) di riparare, l’assoluzione non può essere concessa.
Allora mi chiedo se queste due affermazioni possano essere conciliabili perché nella prima si dice che si possono riparare i debiti nel Purgatorio, nella seconda invece si parla d’obblighi….
ma poi cosa vuol dire riparazione oggettiva?….
La ringrazio per la risposta che mi darà…
Saluti da Domenico


Risposta del sacerdote

Caro Domenico,

1. quanto hai letto in un sito cattolico è una visione troppo angusta della soddisfazione o penitenza sacramentale vista per lo più come una pena da pagare di qua o di là per soddisfare la giustizia divina.
Giovanni Paolo II in Reconciliatio et paenitentia invece la presenta scrive:
“(La penitenza imposta dal confessore) non è certo il prezzo che si paga per il peccato assolto e per il perdono acquistato; nessun prezzo umano può equivalere a ciò che si è ottenuto, frutto del preziosissimo sangue di Cristo. Le opere della soddisfazione – che, pur conservando un carattere di semplicità e umiltà, dovrebbero essere rese più espressive di tutto ciò che significano – vogliono dire alcune cose preziose:
1- esse sono il segno dell’impegno personale che il cristiano ha assunto con Dio, nel sacramento, di cominciare un’esistenza nuova (e perciò non dovrebbero ridursi soltanto ad alcune formule da recitare, ma consistere in opere di culto, di carità, di misericordia, di riparazione);
2- includono l’idea che il peccatore perdonato è capace di unire la sua propria mortificazione fisica e spirituale, ricercata o almeno accettata, alla passione di Gesù che gli ha ottenuto il perdono;
3- ricordano anche che dopo l’assoluzione rimane nel cristiano una zona d’ombra, dovuta alle ferite del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali, in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la mortificazione e la penitenza. Tale è il significato dell’umile, ma sincera soddisfazione” (RP 31,III).

Tre dunque sono le motivazioni che la postulano:

  1. è segno concreto che si vuole iniziare una vita nuova, degna del pentimento dei peccati che ci ha portato al sacramento;
  2. è volontà di unirsi con un sacrificio personale al sacrificio redentore di Gesù Cristo;
  3. vuole sanare il focolaio infettivo di peccato che rimane, sebbene più attutito, anche dopo al confessione.

3. Il Catechismo della Chiesa Cattolica scrive: “La vera contrizione non si limita alle parole, ma si traduce in soddisfazione, ossia in opere concrete e soprattutto nella penitenza quotidiana per l’emendamento della vita e per la riparazione dei danni arrecati dal peccato. La soddisfazione, perciò rientra nella dinamica del sacramento della Penitenza come prolungamento e conseguenza pratica della contrizione”.
“Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o «espiare» i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza»” (CCC 1460).

4. Quanto ti scrisse un sacerdote non riguarda propriamente la soddisfazione o penitenza sacramentale ma la necessità di restituire ciò che è stato ingiustamente sottratto al prossimo.
In parole povere non si viene perdonati dal furto se nello stesso tempo non c’è la volontà di restituire il mal tolto. Diversamnete non si tratterebbe di vero pentimento o di autentica conversione.
Pertanto la necessità di restituire “non è certo il prezzo che si paga per il peccato assolto e per il perdono” ma è intrinseca al pentimento stesso.
La penitenza data dal confessore serve al vero rinnovamento e manifesta il desiderio che venga eliminato dalla nostra anima il focolaio infettivo che ha precedentemente ha indotto al peccato.

Ti benedico e ti ricordo al Signore.
Padre Angelo