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Quesito
Caro Padre,
sono un ragazzo di 19 anni e in questo momento mi trovo nella disperazione più totale. Non sono mai stato bravo con le parole, quindi mi è particolarmente difficile comunicarle il mio stato d’animo, in particolare il mio pentimento per tutti i peccati che ho commesso e al contempo per tutte le opere buone che non ho fatto. L’ottobre scorso ho cominciato l’università (studio fisica) e la mia fede, che già prima vacillava, è andata in frantumi.
Sebbene non avessi alcuna difficoltà a seguire le lezioni, dentro di me è iniziata a crescere un’enorme ansia da prestazione, che mi ha divorato dall’interno. (…).
A ciò si aggiunse anche un “amore” non corrisposto per una mia compagna di corso.
Ero molto debole sia fisicamente che mentalmente, tutti i miei pensieri erano confusi e facevo fatica a ricordare le cose. Il mondo perse ogni attrattiva ai miei occhi e sviluppai una filosofia di vita molto pessimistica. Non smisi di credere, ma provai una rabbia profonda verso Dio per la situazione in cui mi trovavo. Anche se in realtà era solo colpa mia. Avevo completamente perso di vista le cose veramente importanti in questa vita. (…).
Iniziai a bestemmiare Dio, non come fanno tanti giovani d’oggi in quanto non ci credono ma, molto peggio, certo della sua esistenza. Non riesco a descrivere con le parole come mi sento adesso se ripenso a ciò, la cosa che ci si avvicina maggiormente è un senso di marciume interiore che penso niente possa cancellare.
Ero molto sicuro di me e delle mie convinzioni ma una notte feci un sogno: ero sul balcone di casa mia e ad un tratto vidi delle onde alte centinaia di metri all’orizzonte. Certo della mia morte imminente e con un’ipocrisia che sfiorò l’inverosimile in quel momento pregai Dio affinché mi perdonasse per tutti i miei peccati. Mi vergognai molto di ciò, è fin troppo facile rinnegare Dio quando si crede di essere forti e affidarsi completamente a Lui quando si ritiene di essere spacciati. Interpretai questo sogno come un messaggio della mia coscienza: “stai percorrendo una strada sbagliata, ritorna sulla retta via finché sei in tempo”.
Fino a poco tempo fa ritenevo che ogni azione fosse dominata esclusivamente dall’interesse personale. Anche quando compiamo del bene, pensavo, lo facciamo solo per quella sensazione di appagamento che ne segue.
Ora, sono dilaniato dal dubbio in quanto sento di essere molto pentito per ciò che ho fatto, ma ho paura che ancora una volta il “tornare sulla retta via” possa essere solo un modo per soddisfare un mio interesse. (…). L’interesse potrebbe essere quindi quello di sperimentare in futuro un’autentica forma di felicità, che trascenda i limiti dello spazio e del tempo. Un interesse che potrebbe essere nascosto sotto il velo del pentimento.
Avevo letto una frase del Vangelo di Luca: chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà.
Io forse sto cercando solo di avere salva la mia vita e la sola possibilità che ciò possa essere vero mi fa vergognare molto.
Sapendo di essere una persona meschina, ho paura che il mio pentimento non sia autentico. Nonostante questa possibilità ogni sera mi vengono le lacrime agli occhi pensando a quanti errori ho commesso e vorrei pensare che queste non siano lacrime di coccodrillo. Cosa posso fare per ritornare sulla retta via e riconciliare il mio rapporto con Dio?
grazie in anticipo per la Sua attenzione,
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. amare significa voler bene.
Quando uno ama una persona o una cosa per il proprio bene si dice che questo amore è un amore interessato.
Non è un amore sbagliato perché noi abbiamo bisogno di tante cose e di tante persone.
2. Quando invece si ama volendo il bene della persona che si ama allora ci troviamo di fronte ad un amore disinteressato.
3. L’amore interessato non è da confondersi con l’amore egoistico.
Infatti diciamo che è egoistico quell’amore che usa delle persone e delle cose solo ed esclusivamente per il proprio tornaconto.
L’amore interessato invece, pur volendo il proprio bene personale, lo vuole in definitiva per stare bene e per poter essere utile anche agli altri.
L’amore interessato dunque è aperto all’amore disinteressato. In ogni caso non lo esclude.
4. È Dio stesso che ha messo nella nostra natura questo desiderio di amare in questa doppia maniera.
San Tommaso afferma: “L’amore si suddivide in amore di amicizia (disinteressato, n.d.r.) e di concupiscenza (interessato, n.d.r.).
Infatti si chiama amico in senso proprio colui al quale vogliamo il bene: si ha invece soltanto interessato quando si vuole il bene per noi” (Somma teologica, I-II, 26,4, ad 1).
5. Anche nell’ordine soprannaturale della grazia Dio rispetta questa duplice esigenza di amare dell’uomo.
Infonde in noi un amore soprannaturale che si fa gravitare verso di lui per il nostro bene e questo è l’amore che corrisponde alla virtù teologale della speranza.
E infonde anche un amore soprannaturale che ci fa gravitare verso di lui perché merita di essere amato con la virtù teologale della carità.
6. La speranza teologale è un amore interessato che non esclude l’amore disinteressato. Vi rimane aperto.
E in questo sta la sua bontà.
8. Similmente Dio fa la stessa cosa quando infonde nell’uomo la grazia del pentimento.
Anche il pentimento è duplice. Vi può essere un pentimento interessato per cui si teme il male che ci può derivare dal peccato compiuto.
E vi può essere un pentimento disinteressato che prova dispiacere per il male commesso perché ha rifiutato Dio che è degno di essere amato sopra ogni e perché crocifigge di nuovo il Figlio di Dio e lo espone all’infamia (cfr. Eb 6,6).
7. Il primo tipo di pentimento è chiamato dai teologi contrizione imperfetta o attrizione.
Il secondo invece corrisponde alla contrizione perfetta.
La contrizione imperfetta o attrizione, pur corrispondendo ad un pentimento interessato, è un buon sentimento perché rimane aperto alla contrizione semplicemente detta o contrizione perfetta.
8. Pertanto non è sbagliato desiderare la propria felicità eterna, come non è sbagliato pentirsi per sfuggire la perdizione eterna.
Anche il pentimento interessato è un dono del Signore. È un pentimento infuso.
Ecco che cosa dice il concilio di Trento: “Quella contrizione imperfetta che si dice attrizione, che si concepisce comunemente o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dal timore dell’inferno e delle pene, se esclude la volontà di peccare con la speranza del perdono, non solo non rende l’uomo ipocrita e maggiormente peccatore, ma è un dono di Dio e un impulso dello Spirito Santo, che certamente non abita ancora nell’anima, ma soltanto muove; con l’aiuto di tale impulso il penitente si prepara la via della giustizia. E benché l’attrizione senza il sacramento della penitenza per sé non possa portare il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad impetrare la grazia di Dio nel sacramento della penitenza. Infatti i niniviti, scossi utilmente da questo timore per la predicazione terrorizzante di Giona, fecero penitenza e impetrarono misericordia dal Signore (Giona 3)” (DS 1678).
9. Il Catechismo della Chiesa Cattolica aggiunge: “Quando la coscienza viene così scossa, può aver inizio un’evoluzione interiore che sarà portata a compimento, sotto l’azione della grazia, dall’assoluzione sacramentale. Da sola, tuttavia, la contrizione imperfetta non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza” (CCC 1453).
10. Pertanto porta a compimento quanto il Signore ha cominciato a suscitare in te accostandoti al sacramento della Confessione.
Vai con fiducia. Il Signore ti attende da tempo.
Vuole dare anche a te tutto l’affetto con cui ha circondato il figliol prodigo quando è tornato alla casa paterna.
Quel giovane è tornato a casa mosso da un motivo interessato: aveva problemi di fame e di miseria.
Ma l’amore del Padre l’ha reso nuovo in tutti i sensi.
Accompagno il tuo cammino con la mia preghiera.
Ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo