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Quesito

Caro padre Angelo,
perché l’aborto indiretto è giustificato e non classificato come volontario in causa?
Cosa cambia tra l’aborto indiretto e gli altri peccati nei quali si è volontari in causa?
Grazie e buona serata
Un lettore


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. sono azioni pienamente e tipicamente umane quelle che procedono da intelletto e volontà.
Per questo a proposito del compimento di un peccato si dice che vi deve essere piena avvertenza della mente e deliberato consenso della volontà.

2. Dipendendo dalla volontà, le azioni umane vengono dette volontarie.
A questo proposito si introduce la distinzione tra volontario diretto e volontario indiretto.
Si parla di volontario diretto quando l’azione mira immediatamente come fine o come mezzo a conseguire un determinato obiettivo.
Ad esempio: ci si mette a pregare e si fa una novena per ottenere una determinata grazia, oppure ci si propone di compiere un’azione che abbia come effetto diretto la morte del nostro nemico.

3. Si parla di volontario indiretto quando si compie un’azione dalla quale sortiscono più effetti che le sono intimamente connessi, alcuni dei quali sono stati previsti e voluti (volontario diretto) e altri no, oppure sono stati tutti previsti ma non voluti.
L’esempio classico è quello dei farmaci che si prendono per rimediare ad un determinato male e tuttavia si è consapevoli che vi sono connessi effetti collaterali che possono essere nocivi.
Tali effetti non sono voluti in nessun modo, ma vengono tollerati perché non c’è altro rimedio.

4. Perché si possa parlare di volontario indiretto si richiedono quattro criteri.
Primo: che l’azione sia buona in se stessa, o almeno indifferente. Perciò non è mai lecito compiere azioni cattive in quanto tali, come ad es. dire o giurare il falso, anche se da esse si possono ricavare ottimi effetti. Il motivo è che il fine non giustifica i mezzi e non si può mai fare il male per ottenere un bene. 
Secondo: che l’effetto primo e immediato sia buono, e non sia ottenuto tramite quello cattivo. L’effetto cattivo, anche se previsto, deve essere solo tollerato. Ad esempio, la perdita di coscienza in seguito ad anestesia non è direttamente voluta, ma solo tollerata, come effetto di un’azione buona o per lo meno indifferente, qual è quella di rendere insensibile al dolore in vista di un intervento chirurgico serio.
Terzo: che vi sia proporzione tra l’effetto buono e quello cattivo, di modo che l’effetto cattivo non sia più grande dell’effetto buono. L’effetto cattivo, infatti, anche se non è voluto direttamente, è sempre un male, e non può essere tollerato se non per evitare un male più grande. 
Quarto: che sia l’unica via e cioè che l’azione sia necessaria in quel momento e non sia procrastinabile. In questa condizione è inclusa la volontà di perseguire unicamente l’effetto buono.

5. Si parla di aborto indiretto quando né l’intenzione né l’atto compiuto mirano all’aborto, ma ad altro scopo, ad esempio all’eliminazione di un tumore alla testa della madre. Si tratta di un intervento che si farebbe anche qualora la donna non fosse incinta.
Ma nel nostro caso è incinta e gli interventi chirurgici e le terapie possono avere come conseguenza la perdita involontaria del bambino.
Come si vede, l’azione non mira all’aborto ma ad un effetto buono ben preciso.
Purtroppo può essere collaterale la perdita del bambino, che non è assolutamente voluta.

6. Tale intervento è lecito sotto il profilo morale se l’azione viene fatta seguendo scrupolosamente i principi del “volontario indiretto” o “azione a duplice effetto”. 
In merito così si espresse Pio XII: “Di proposito abbiamo sempre usato l’espressione “attentato diretto” alla vita di una persona innocente, “uccisione diretta”, perché se, per esempio, la conservazione della vita della futura madre, indipendentemente dall’essere incinta, richiedesse con urgenza un’operazione chirurgica o un’altra terapia che avrebbe, come conseguenza secondaria, in nessun modo voluta o perseguita, ma inevitabile, la morte del feto, un tale atto non potrebbe più essere qualificato come un attentato diretto ad una vita innocente. In queste condizioni, l’operazione può essere lecita, come sarebbero leciti interventi medici similari, purché si tratti di un bene di elevato valore, quale la vita, e che non sia possibile rimandare l’operazione a dopo la nascita del bambino, né far ricorso ad altro rimedio efficace” (26.XI.1951).

7. Infine si parla anche una terza tipologia di volontario: è il cosiddetto volontario in causa. 
Secondo la teologia morale praticamente è la stessa cosa che il volontario indiretto.
Ma in genere si usa tale dizione per indicare la responsabilità di chi compie un’azione a duplice effetto, mettendosi nel rischio di un effetto cattivo superiore a quello buono. È il caso di una donna incinta che vuole permettersi ancora una volta di andare a sciare. Ma, cadendo, perde il bambino. 
Della perdita del bambino ne è responsabile in causa, perché l’azione non era necessaria e l’effetto, anche se è scongiurato, poteva essere in qualche modo previsto.

8. Venendo dunque alla conclusione: si potrebbe dire che l’aborto indiretto è la stessa cosa che un aborto in causa.
Ma è preferibile non usare la dizione aborto in causa perché nell’aborto indiretto non vi è alcuna colpevolezza morale.
Mentre vi può essere nel volontario in causa.

Ti ringrazio di avermi dato l’occasione di mettere a fuoco questi concetti.
Ti auguro ogni bene, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo