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Quesito

Caro Padre Angelo,
è da un po’ di tempo che sono venuto a conoscenza di questo servizio che i fratelli predicatori offrono, e spero che lei padre non me ne vorrà se ne approfitto per sottoporle alcune mie perplessità sulla dottrina della Chiesa.
Le mie domande riguardano il rapporto con la tradizione della Chiesa cattolica.
Cosa ci dice l’ermeneutica della continuità di S.S. Benedetto XVI?
Gli insegnamenti dei teologi e dei dottori del passato possono essere presi ad esempio anche da noi oggi oppure possono essere accettati solo nella misura in cui combaciano con gli orientamenti odierni?


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. per rispondere adeguatamente alle tue domande vanno chiariti innanzitutto i termini.
Per dottrina della Chiesa s’intendono quei principi di fede e di morale (dogmi) che sono stati sanciti in maniera irreformabile.
Irreformabile significa che non può essere mutata nella sua sostanza.

2. Ma poiché l’oggetto della Divina Rivelazione è Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3), la Chiesa sotto l’azione dello Spirito Santo non cessa mai di appropriarsi di questi tesori che, nel senso più autentico della parola, sono senza fondo, inesauribili.
Si tratta di una comprensione sempre più profonda del medesimo soggetto.
Ed è per questo che il progresso dottrinale della Chiesa avviene secondo uno sviluppo omogeneo e non dialettico o discontinuo.
Proprio come ricordava Giovanni XXIII in apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962): “Occorre che questa dottrina (= la dottrina cristiana nella sua integralità) certa e immutabile, che dev’essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo. Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra venerabile dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata (eodem sensu eademque sententia)”.

3. È questo il motivo per cui il Magistero della Chiesa non può contraddirsi.
Per cui il nuovo deve concordarsi con l’antico e l’antico deve svilupparsi nel nuovo.
Pertanto la fedeltà alla Tradizione è garante dell’autenticità della fede e permette di dire che la nostra fede è la stessa fede che avevano gli apostoli.

4. Benedetto XVI ha detto che “la Tradizione non è una collezione di cose, di parole, come una scatola di cose morte; la Tradizione è il fiume della vita nuova che viene dalle origini, da Cristo fino a noi, e ci coinvolge nella storia di Dio con l’umanità. Questo tema della Tradizione è così importante che vorrei ancora oggi soffermarmi su di esso: è infatti di grande rilievo per la vita della Chiesa…
La Chiesa trasmette tutto ciò che è e che crede, lo trasmette nel culto, nella vita, nella dottrina.
La Tradizione è dunque il Vangelo vivo, annunciato dagli Apostoli nella sua integrità, in base alla pienezza della loro esperienza unica e irripetibile: per opera loro la fede viene comunicata agli altri, fino a noi, fino alla fine del mondo.
La Tradizione, pertanto, è la storia dello Spirito che agisce nella storia della Chiesa attraverso la mediazione degli Apostoli e dei loro successori, in fedele continuità con l’esperienza delle origini” (3.5.2006).

5. Benedetto XVI ha parlato dell’ermeneutica (parola che significa interpretazione) della continuità a proposito del Concilio Vaticano II, là dove alcuni hanno voluto vedere una rottura del Magistero della Chiesa odierna con quello del passato.
Nel discorso al Collegio cardinalizio per gli auguri di Natale (22 dicembre 2005) ricordando il quarantennale della fine del Concilio il Papa ha detto: “ (Il Concilio) è stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che cosa resta ancora da fare? …
Emerge la domanda: Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione.
I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro.
L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti.
Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna.
Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino.
L’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. …
Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale”.

6. Ed ecco il motivo: “In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova.
Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire.
I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso.
I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (cfr Lc 12,41-48).
Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all’amministratore: “Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto” (cfr Mt 25,14-30; Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola”.

7. Mi domandi infine “se gli insegnamenti dei teologi e dei dottori del passato possono essere presi ad esempio anche da noi oggi oppure possono essere accettati solo nella misura in cui combaciano con gli orientamenti odierni?”
Ebbene l’insegnamento dei santi teologi e dottori della Chiesa è normativo per noi, perché esprimono la correttezza (l’ortodossia) della fede.
I tre criteri della Tradizione compendiati da Vincenzo di Lerins nei seguenti termini: “Quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est” (cfr. Canone Leriniano) sono le guide direttrici della nostra fede e del suo sviluppo.
Ciò non significa che la dottrina della fede sia qualcosa di statico.
Per sua natura essa è dinamica, ma nella linea del progresso, dello sviluppo e non nella linea del prendere un’altra strada.
Se il nostro dire di oggi contraddicesse quei tre criteri significherebbe a che non si tratta più della medesima fede.
Il criterio veritativo non è l’oggi, ma la fede degli Apostoli, la fede di sempre.

Ti ringrazio per il quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo