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Quesito

Caro Padre Angelo,
la ringrazio anticipatamente per l’attenzione che vorrà dare a queste mie domande: una sulla storia ecclesiastica e l’infallibilità papale, l’altra sulla natura dell’Ultima Cena in relazione alla Pasqua. Ma procediamo con ordine.
1. Negli ultimi giorni ho iniziato ad informarmi sui periodi più contorti della storia del papato, soprattutto i periodi tra papa Giovanni XII e papa Giovanni XIII (955-972) e quello ancor più complesso dei tre pontificati di Papa Benedetto IX. So che ahimé taluni teologi dissidenti, e a mio avviso chiaramente faziosi, tentano di utilizzare questi periodi per dimostrare che i sinodi possono deporre legittimamente un Papa, o che comunque un Papa può essere dichiarato eretico.
Se da un lato so che ciò non è vero ("La Prima Sede non può essere giudicata da nessuno"), dall’altro trovo che vi siano delle anomalie proprio nei periodi indicati.
Ad esempio, com’è possibile che nella lista dei papi sul sito della Santa Sede, Leone VIII sia considerato legittimo pontefice anche in sovrapposizione con Giovanni XII (il cui pontificato è indicato come cessante giustamente alla morte del papa, e non alla sua deposizione da parte dell’imperatore e del suo sinodo)? E similmente, come può dirsi papa Benedetto V, che fu scelto dai Romani proprio in opposizione al (legittimo?) Leone VIII, finché lo stesso Benedetto non si sottomise a Leone?
La situazione è messa anche peggio con il triplice pontificato di Benedetto IX. Ammettendo che sia stato eletto validamente la prima volta (nessuno gli si era opposto nei primi 12 anni di pontificato, per cui lo presumo legittimo), com’è possibile che la sua cacciata da Roma sia stata sufficiente per deporlo e sostituirlo con Silvestro III, che è pure considerato legittimo nel suo pur breve pontificato? E com’è possibile che a Benedetto sia bastato cacciarlo per riprendersi il soglio pontificio la seconda volta? Capisco bene invece la situazione successiva: Benedetto IX si è dimesso validamente, pur in modo simoniaco, passando la tiara a Gregorio VI, e il Concilio di Sutri ha semplicemente dichiarato chiusi i pontificati di Benedetto e Silvestro, accettando nel contesto le dimissioni spontanee di Gregorio. Tutto ok, ma poi la situazione si complica di nuovo: Benedetto torna a Roma alla morte di Clemente II, per un terzo pontificato indicato come legittimo (ma senza elezione!) salvo poi essere deposto di nuovo e definitivamente a vantaggio di Damaso II.
Se nel mix si aggiunge anche il ruolo dell’imperatore, che in virtù del Privilegio Ottoniano decideva chi dovesse essere papa o meno, la situazione diventa un disastro… In sostanza, mi aiuti a capire… Come possono esserci dei pontificati contemporanei, e dei papi deposti o che si impongono da sé, e sono ritenuti tuttavia legittimi? La domanda ha ancora più senso se ci si chiede chi, in questi periodi di sovrapposizione, godesse del vero primato petrino e dell’infallibilità papale.
2. Ho letto da qualche parte che la maggior parte delle Chiese Orientali sostiene da sempre – Padri della Chiesa alla mano – che l’Ultima Cena non fu un Pesach Seder, giustificando così l’uso del pane fermentato per l’Eucaristia. Credo tuttavia di aver letto anni fa (senza poter verificare oggi la fonte) che un qualche Concilio (forse Trento?) aveva dogmatizzato che l’Ultima Cena era collocata nella notte pasquale, nonostante le prove contrarie che si possono addurre dal Vangelo di Giovanni, dove si collocherebbe la Cena il 13 anziché il 14 Nisan. La domanda è questa: c’è davvero un dogma che ci impone di credere che la Cena fu un Pesach Seder, con tanto di pane azzimo? Oppure i fedeli sono liberi di studiare l’argomento e farsi un’idea personale ma ben documentata? O dobbiamo credere che il Cristo anticipò, per motivi forse ignoti, il Pesach Seder al 13 anziché al 14 Nisan?

La ringrazio per la tanta pazienza e l’amore che dedica ai lettori di questa rubrica.
Con riconoscenza,
Alessandro

 


 

Risposta del sacerdote

Caro Alessandro,
1. non conosco i tutti i suoi dettagli la parte di storia della Chiesa di cui mi hai parlato.
Ma quanto ho appreso è sufficiente per essere ancor più convinti che il Signore è sempre presente sulla sua barca, anche se si riempie di onde e talvolta sembra sul punto di affondare.
Nessuno dei Papi di cui mi hai parlato ha dovuto intervenire sancendo verità (dogmi) di fede.
Nessuno di essi ha insegnato verità contrarie alla fede.
E questo è quanto basta per ripetere sempre con fiducia: “Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica”.

2. A proposito del giorno in cui avvenne la cena pasquale avevo già riportato sul nostro sito la risposta puntuale del padre M.J. Lagrange, fondatore dell’Ècole biblique.
Adesso la ripropongo in maniera più estesa:
“La Pasqua era una festa solennissima e il riposo vi era strettamente obbligatorio. Tutto l’agitarsi che si danno i capi dei sacerdoti e farisei, la comparsa di Gesù davanti al Sinedrio, le pratiche compiute dinnanzi a Pilato, tutto ciò che raccontano di comune accordo i quattro evangelisti come avvenuto durante il venerdì, non avrebbe potuto compiersi nel giorno più solenne dell’anno. Specialmente i sinottici affermano che gli Ebrei volevano venirne a capo prima della festa. Bisogna dunque ritenere come certo che in quell’anno la festa di Pasqua non sia caduta in venerdì ma in sabato, e resta pertanto a spiegare perché Gesù abbia celebrato la cena pasquale un giorno prima dei capi della nazione.
Si potrebbe appellarsi al suo diritto sovrano; ma i discepoli non lasciano trasparire le minima sorpresa per il giorno scelto e i primi evangelisti insinuano esser stato quello il giorno legale. Rendendosi necessario uno schiarimento, diremo quello che, secondo le usanze degli Ebrei di quel tempo, ci pare più verosimile.
Secondo la legge, il banchetto pasquale doveva celebrarsi la sera del 14 Nisan. Gli Ebrei non cominciavano la loro giornata come noi a mezzanotte, ma al tramonto del sole del giorno precedente: il che non li impediva di contare i giorni come li contiamo noi. La sera del 14 Nisan faceva già parte del giorno 15, eppure la si designava come la sera del 14 Nisan. Volendosi esprimere in questo modo, il banchetto pasquale aveva luogo il 14 Nisan. Fin dal mattino si facevano le pulizie alla casa, si eliminava ogni traccia di pane fermentato, giacché i pani azzimi erano rigorosamente prescritti durante il banchetto di Pasqua e negli otto giorni successivi alla festa. Il 15 Nisan era più specialmente il giorno degli azzimi e si diceva indifferentemente la festa di Pasqua e la festa degli azzimi. L’agnello pasquale era una vittima sacra, ed era prevalsa l’usanza di immolarlo nel tempio e di aspergerne col sangue l’altare. Dopo di ciò l’offerente l’andava a far arrostire in casa. Il pasto cominciava a notte fatta, e non doveva prolungarsi oltre le due ore del mattino.
Quando doveva farsi la immolazione? La questione è controversa; secondo la legge doveva aver luogo tra le due sere, volendosi con ciò indicare il crepuscolo; e perciò i Sadducei, ben convinti di ciò, asserivano che essa dovesse aver luogo tra le sei e le sette e mezza di sera. Fin dai tempi di Giuseppe, però, i Farisei permettevano di cominciare la immolazione alle tre e mezza, anzi, qualora la Pasqua cadesse in giorno di sabato, un’ora prima.
Infatti accadeva di tanto in tanto che il 15 di Nisan cadesse in sabato. Essendo in tal giorno interdetto qualsiasi lavoro, e cominciando il giorno la sera del giorno antecedente, come era possibile immolare un agnello verso il tramonto del sole? Tale fu la opinione di Hillel, verso l’anno 25 av. Gesù Cristo, opinione  che prevalse tra i Farisei e che troviamo autenticata dalla Mishna. Di più, se fosse stato permesso di immolare l’agnello giacché si trattava di culto pubblico, non sarebbe poi stato permesso di cuocerlo. Fu quindi per ciò che venne considerato come legittimo anticipare l’ora della immolazione. Per tal modo si veniva ad avere tutto il tempo necessario anche per arrostire l’agnello prima del tramonto del sole; ma poi il principio di Hillel poteva ben essere esteso anche più in là che nella Mishna, avendo dopo tutto la Pasqua il sopravvento sopra il sabato.
Non è però evidente che un tale principio sia stato dapprima riconosciuto da tutti i sadducei e neppure dalla unanimità dei farisei. Dopo la distruzione del Tempio i farisei della scuola di Hillel ebbero il sopravvento, mentre quarant’anni primi erano ancora i sadducei quelli che regolavano tutto ciò che si faceva nel Tempio. “Se non volevano rinunciare ad alcuno dei lo due principi di far l’immolazione al crepuscolo e di non violare il sabato, non rimaneva che il partito di immolare gli agnelli un giorno prima.
Con ciò non si anticipava di un giorno la festa ma solamente si veniva a mettersi in regola col sabato, salvo a mangiare l’agnello al momento voluto, la sera dell’indomani.
Tuttavia alcuni continuavano a credersi in obbligo di mangiare nello stesso giorno l’agnello immolato; e i Galilei, quali provinciali e però più ligi alle antiche usanze, avevano conservato forse questa pratica, di maniera che Gesù non li avrebbe in alcun modo meravigliati col proporre di fare la Pasqua al tredici, dal momento che il sabato cadeva in quell’anno ai 15 di Nisan.
Ma se si mangiava l’agnello pasquale la sera del 13 ci sembra evidente che ciò dovesse farsi con pani azzimi, non fosse altro per non snaturare il rito pasquale (Es 12,8).
Si era dunque avanzata di un giorno la festa ma da alcuni gruppi solamente, né la tale diversità aveva l’importanza che noi ci immaginiamo. (…).
D’altra parte i sacerdoti, che non potevano bastare a tanti sacrifici non si sarebbero rifiutati di immolare gli agnelli dei Galilei, sopratutto quando questi avessero visto la luna nuova un giorno prima e quando anticipassero, a giudizio di quei di Gerusalemme, solo per non lavorare in giorno di sabato.
Quanto agli abitanti di Gerusalemme che si attenevano alle norme dettate dai loro capi religiosi, per quell’anno la festa non cominciò se non il venerdì sera, mentre Gesù con i suoi discepoli si assise alla cena pasquale la sera del giovedì.
D’altronde i discepoli erano così persuasi di quel loro diritto che fin dal mattino di quel giorno, detto da s. Marco il primo giorno degli azzimi in cui si immolava la Pasqua, cioè l’agnello pasquale, prendono da se stessi l’iniziativa: “Dove vuoi, gli dicono, che andiamo a fare i preparativi per mangiare la Pasqua?”. Non si poteva andare a Betania giacché il rito lo si doveva compiere a Gerusalemme. Occorreva quindi procurarsi una sala abbastanza capace, volendo Gesù avere con sé i dodici durante quella sera” (L’Evangelo di Gesù Cristo, pp. 486-489).

Mi pare che la spiegazione sia più che plausibile e convincente.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo