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Praeceptor Germaniae (Maestro della Germania)
Con questa bella, nobile e impegnativa espressione fu chiamato uno dei più grandi intellettuali dell’Alto Medioevo, il tedesco Rabano Mauro, un benedettino allievo del celebre Alcuino di York (735-804): questi è ancora oggi ricordato come fecondo scrittore, pensatore e organizzatore culturale, che illumina la cosiddetta “rinascita carolingia”, così denominata perché avviene durante il regno di Carlo, re dei Franchi e fondatore del Sacro Romano Impero.
Rabano Mauro, annoverato tra i santi, si attira l’ammirazione dei suoi contemporanei per la vita virtuosa e illumina i suoi connazionali, ancora rozzi e per lo più illetterati, con l’ampiezza e la qualità del proprio sapere, non circoscritto alla sfera religiosa e teologica.
Joseph Ratzinger, uomo umile e fin troppo conscio dei suoi limiti, non avrebbe mai accettato per sé la definizione di “educatore della Germania”.
Tuttavia l’espressione non è affatto arbitraria, in quanto egli per circa vent’anni ha esercitato con grande zelo il magistero di docente in diverse università del suo paese, lasciando una folta schiera di discepoli.
Nell’aprile 1959 inizia a insegnare, come professore ordinario, teologia fondamentale all’università di Bonn, la città patria di Beethoven. A Bonn, solcata dal Reno, un fiume europeo più che tedesco, avverte “un senso di apertura e di ampiezza d’orizzonti, di un dialogo tra le culture e le nazioni, che da secoli qui s’incontrano tra loro”. (Ratzinger, “La mia vita”, p. 110).
La Renania, confinante con i Paesi Bassi e il Belgio, non lontana dalla Francia, è una regione ricca di stimoli culturali, e assai diversa dalla sua natia Baviera, la quale “è una terra di contadini e riceve la sua particolare bellezza, la sua stabilità e la sua pace interiore proprio da questo suo carattere”. (ibid.)
Ratzinger ricorda di aver maturato “rapidamente un franco e sereno rapporto” con gli studenti. La città e l’università gli piacciono molto.
Egli stringe amicizie durevoli con diversi colleghi, sia all’interno della facoltà di teologia sia al di fuori di essa. Tra i primi ricordiamo, anche per la fama internazionale che lo ha accompagnato, Hubert Jedin, di origine israelita, convertitosi poi al Cristianesimo cattolico, storico della Chiesa, grande conoscitore del concilio di Trento.
Tra i secondi Ratzinger ricorda con vera ammirazione Paul Hacker, singolarmente competente nelle lingue classiche, slavista e soprattutto maestro di indologia. Ratzinger riconosce il suo debito di gratitudine per quanto ha appreso da lui in fatto di storia delle religioni, un capitolo delle scienze religiose che interessa anche il teologo dogmatico.
Il primo semestre d’insegnamento a Bonn “resta un ricordo grandioso come una festa di primo amore” (op.cit., p. 113).
Si capisce quindi perché egli è assai titubante a lasciare Bonn per Münster, un’antica città della Vestfalia, a est di Bonn, per occupare la cattedra di teologia dogmatica, lasciata libera dal docente Hermann Volk, nominato vescovo di Meinz (Magonza). Lo trattiene dal lasciare Bonn, dipendente dall’arcidiocesi di Köln (Colonia), l’affetto e la riconoscenza che lo legano al titolare di questa diocesi, il cardinale Josef Frings, che lo ha voluto accanto a sé, come consulente teologico, al concilio, il Vaticano II naturalmente, cominciato nell’ottobre 1962.
Nonostante le sollecitazioni che gli vengono da più parti, nonostante il forte interesse per la teologia dogmatica, egli si decide a lasciare “la città sul fiume” solo quando si accendono nel corpo docente di Bonn alcune tensioni. Dall’estate 1963 egli è professore a Münster. Ricordiamo per inciso, anche se Ratzinger non lo menziona, che la diocesi di Münster è famosa anche per aver avuto come titolare, un po’ di tempo prima, Clemence August von Galen (1878-1946), che proprio Benedetto XVI dichiarerà beato nel 2005. Questo vescovo si è distinto per la sua opposizione al nazismo, del quale denuncia la ferocia. Benché odiato dai seguaci di Hitler, non viene perseguitato, anche per la grande popolarità di cui gode anche tra i militari credenti e soprattutto cattolici. A guerra finita e perduta, il vescovo, la cui gigantesca statura fisica è proporzionale alla sua altezza morale, è creato cardinale da Pio XII. Di lì a poco si spegne, probabilmente spossato dalla lunga lotta.
2 – Qualche anno dopo Ratzinger lascia Münster per ritornare al Sud, non però nella sua Baviera, almeno in un primo tempo, bensì in una città dell’antica Svevia, compresa oggi nel Baden-Württemberg, precisamente a Tubingen (Tubinga), città che ha una lunga tradizione d’insegnamento accademico nel campo teologico. Egli è sollecitato da Hans Küng (1928-2021), un teologo svizzero, docente di teologia dogmatica, per occupare la seconda cattedra, appena istituita, di questa disciplina. Ratzinger riconosce le qualità del collega, gli piacciono “la simpatica apertura e la schiettezza”. Tuttavia abbastanza presto prevalgono le divergenze d’impostazione.
Küng è divenuto una delle figure culturali più note anche al di fuori del mondo accademico tedesco. I suoi libri, p. es. “Infallibile? Una domanda” e “Dio esiste? Risposta al problema di Dio nell’età moderna”,hanno riscosso una fama che va al di là dei cultori della teologia; d’altro canto le sue posizioni sono state più volte riprovate come non ortodosse. A pochi mesi dalla sua elezione al pontificato, Benedetto XVI lo invita e lo riceve a Castel Gandolfo. Küng tuttavia continua ad essere assai critico della Chiesa istituzionale e in particolare di Papa Benedetto.
A Tubinga Ratzinger comincia i suoi corsi nel semestre estivo del 1966. Non mancano anche in questa prestigiosa università indubbie soddisfazioni, ma anche i crucci degli anni della contestazione, che trova in Germania terreno fertile. Nella facoltà di teologia cattolica e ancor più in quella evangelica si diffonde l’ideologia marxista. Prima che questa divampi come un incendio, in campo teologico era forte l’influsso di Rudolph Bultmann, sostenuto dalla filosofia esistenzialista di Martin Heidegger (si tratta evidentemente del cosiddetto “Primo Heidegger”, quello di “Essere e Tempo”, pubblicato nel 1927). Nella seconda metà degli anni ‘60 irrompe il marxismo di Ernst Bloch (1885-1977), che denigra Heidegger come “piccolo borghese”. Si noti che Bloch, nato nella Germania renana da una famiglia israelita, emigrato negli Stati Uniti durante il regime nazista, torna in patria nel dopoguerra e sceglie la Germania orientale. Qui il suo marxismo utopico è giudicato eretico ed egli è privato dell’insegnamento dalle autorità comuniste; egli fugge allora nella Germania occidentale e può insegnare filosofia a Tubinga. Bloch è celebre soprattutto per un testo di ampio respiro, “Il principio speranza”, pubblicato negli anni ’50.
In campo teologico si distingue Jürgen Moltmann (1926-viv.), che comincia a insegnare nella facoltà teologica protestante quasi contemporaneamente all’arrivo di Ratzinger nella facoltà cattolica. La “teologia della speranza” di Moltmann s’ispira al marxismo utopico di Bloch.
“La recezione dell’esistenzialismo – osserva Ratzinger – così come era stata attuata da Bultmann, non era rimasta senza conseguenze per la teologia. Come ho già ricordato, nel mio corso di cristologia avevo cercato di reagire (…) e qua e là – soprattutto nel corso su Dio che tenni subito dopo – avevo persino cercato di porre a essa dei contrappesi desunti dal pensiero marxista, che, proprio per le sue origini giudaico-messianiche, conserva ancora degli elementi cristiani. Ma la distruzione della teologia (…) era incomparabilmente più radicale, proprio perché si basava sulla speranza biblica, ma la stravolgeva, così da conservare il fervore religioso, eliminando, però, Dio e sostituendolo con l’azione politica dell’uomo” (“La mia vita”, p.135). Più avanti osserva dolorosamente: “Ho visto senza veli il volto crudele di questa devozione ateistica, il terrore psicologico, la sfrenatezza con cui si arrivava a rinunciare a ogni riflessione morale, considerata come un residuo borghese, laddove era in questione il fine ideologico. Tutto ciò è di per sé sufficientemente allarmante, ma diventa una sfida inevitabile per i teologi, quando l’ideologia è portata avanti in nome della fede e la Chiesa è usata come suo strumento”. (op. cit., p. 135-136)
Questa lunga citazione non è stata fatta a caso. La costante, intransigente avversione di Ratzinger alla commistione di religione e politica, sostanzialmente o quasi sempre di fede cristiana e marxismo, sino alla condanna della “teologia della liberazione”, fiorita specialmente nell’America Latina fra gli anni ’60 e gli anni ’80, ha le sue radici non solo nelle convinzioni profonde di Ratzinger, ma anche nelle esperienze vissute come docente negli anni di Tubinga e anche dopo.
D’altra parte le tensioni di quegli anni inducono lui e suoi colleghi evangelici a considerare secondarie le controversie tra le confessioni cristiane, facendo causa comune in difesa della fede nel Dio vivente.
D’altro lato in ambienti ecclesiastici e laici, soprattutto fra gl’intellettuali e i comunicatori sociali, anche in Germania e forse soprattutto là, Ratzinger teologo, poi pastore di Monaco e Frisinga, in seguito prefetto della congregazione per la dottrina della fede e infine vescovo di Roma e papa sarà considerato e detestato come il campione del conservatorismo o addirittura della restaurazione nella Chiesa.
Riferendosi agli anni di Tubinga, Ratzinger non li rimpiange, ma neppure se ne allontana disgustato. L’onda del marxismo, per quanto impetuosa, non coinvolge la maggioranza dei docenti e neppure degli studenti. Con gli uni e con gli altri egli intrattiene buoni rapporti, che in qualche caso non finiscono con il suo trasferimento a Regensburg (Ratisbona).
Un tratto non secondario della biografia di Joseph Ratzinger è la sua grande capacità di adattarsi a luoghi e ad ambienti differenti, un tratto tanto più saliente perché raro in chi possiede il suo carattere, molto sensibile e affezionato ai ricordi del passato.
3 – A proposito di care memorie, non possiamo tralasciare quello che Joseph Ratzinger racconta, quasi in forma di confessione molto dignitosa, nel suo libro autobiografico, sulla dipartita dei genitori. Muore prima il padre Georg, nell’agosto 1959, per un colpo apoplettico. Joseph, che evidenzia l’armonia che regna in famiglia e l’accresciuta bontà del padre verso i figli, scrive: “Eravamo riconoscenti di poterci trovare tutti intorno al suo letto e di potergli mostrare ancora una volta il nostro amore, che egli accolse con gratitudine, anche se non era più in grado di parlare. Quando, dopo questo fatto, feci ritorno a Bonn, sentivo che per me il mondo era diventato un po’ più vuoto e che un pezzo di me, della mia casa, si era spostato nell’altro mondo”. (op.cit., p. 114).
Quattro anni dopo, durante il periodo dell’avvento del 1963, muore la madre Maria, sofferente da tempo per un cancro allo stomaco. “(…) la luce della sua bontà è rimasta e per me è divenuta sempre più una concreta dimostrazione della fede da cui lei si era lasciata plasmare” (op.cit., p. 128).
4 – L’esistenza di Ratzinger, almeno negli anni della maturità, è scandita dai diversi luoghi in cui egli svolge, con vera dedizione, il compito d’insegnante.
Dopo il periodo di Tubinga viene quello di Ratisbona, un’antica città situata sul Danubio, in Baviera. Siamo alla fine degli anni ’60. Joseph respira nell’antica città sul Danubio quasi l’aria di casa. Con lui vive la sorella Maria, che lo aiuta assai, e spesso fa loro visita il fratello Georg, il quale dirige il coro dei piccoli cantori del duomo di Ratisbona.
Ratzinger si sofferma poco sull’esperienza di insegnante in questa università. Ricorda invece alcune iniziative culminate o iniziate in quegli anni.
Già nel periodo di Tubinga egli è “finalmente libero di realizzare un progetto” che coltiva “silenziosamente ormai da dieci anni.” (op. cit., p. 137)
Scrive Ratzinger: “Osai quindi cimentarmi con un corso che si rivolgeva a studenti di tutte le facoltà, con il titolo di “Introduzione al cristianesimo”. Da queste lezioni è nato poi un libro, che è stato tradotto in 17 lingue, che è stato ristampato più volte, non solo in Germania, e che continua a essere letto.” (op. cit., p. 137)
Tra i teologi con cui dialoga volentieri ricordiamo il francese Henri de Lubac (1896-1991) e lo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Soprattutto l’incontro con quest’ultimo è “l’inizio di un’amicizia durata per tutta la vita, di cui posso solo essere riconoscente” (op. cit., p. 143). Dichiara ancora Ratzinger: “Non ho mai più incontrato uomini con una formazione teologica e culturale tanto ampia come Balthasar e de Lubac e non sono nemmeno in grado di dire quanto io debba all’incontro con loro” (op. cit., p. 143).
Nel 1972 insieme con questi amici e con altri teologi dà vita alla rivista, durata fino al 2016, “Communio”. “Era (…) nostra convinzione – osserva Ratzinger – che questo strumento non potesse e non dovesse essere esclusivamente teologico, ma, di fronte a una crisi della teologia che nasceva da una crisi della cultura, anzi da una vera rivoluzione culturale, dovesse abbracciare anche l’ambito più generale della cultura ed esser edito in collaborazione con laici di grande competenza culturale” (op. cit., p. 144).
Si va consolidando negli anni di Ratisbona una iniziativa già cominciata negli anni ’60. Si tratta dello “Schülerkreis”, ossia di un circolo di studenti dottorandi in teologia che si rivolgono a Ratzinger quale “professore-padre”. “Lo spettro ampio dei temi affrontati dalle tesi assegnate – da Nietzsche a Sant’Agostino, da Camus al Concilio di Trento, dai grandi teologi medievali ai filosofi personalisti – basta da solo a confermare che non si tratta di una conventicola teologica (…). Proprio per promuovere tale apertura critica, Ratzinger non impone a nessuno le sue idee. Guida le discussioni (…) attenendosi a un metodo maieutico-socratico, riducendo al minimo i suoi interventi, con un atteggiamento super partes anche davanti alle controversie che si accendono, stimolate dall’atmosfera democratico-collegiale e dalle diverse sensibilità teologiche che convivono nel gruppo” (Gianni Valente, La stampa, 23 dicembre 2011).