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Quesito

Caro Padre Angelo,
Vorrei intanto ringraziare per il servizio che svolge attraverso questo sito. Sono un giovane, e mi è stata fatta una domanda alla quale non ho saputo rispondere: un ragazzo sosteneva che, in una Confessione, il sacerdote l’aveva assolto anche dei peccati “che non ricordi o che ti vergogni a confessare”. La domanda che mi è stata fatta è: ma il sacerdote poteva farlo? Mentre sono abbastanza sicuro che la prima parte sia legittima (anche se credo che se uno non ricorda un peccato (specialmente grave) venendo assolto, ma se ne ricorda in un momento successivo, sia sempre bene confessarlo alla prima occasione), sulla seconda sono rimasto un po’ spiazzato: di per sé, il penitente è tenuto a confessare ogni peccato (di nuovo, soprattutto grave) che ricordi!
A supporto di entrambe queste affermazioni si trova il Catechismo della Chiesa Cattolica: “1456 La confessione al sacerdote costituisce una parte essenziale del sacramento della Penitenza: «È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo, perché spesso feriscono più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi»: «I cristiani [che] si sforzano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio li mettono tutti davanti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono consapevolmente qualche peccato, è come se non sottoponessero nulla alla divina bontà perché sia perdonato per mezzo del sacerdote. "Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non può curare quello che non conosce"».

Dunque, in sostanza, ha il sacerdote questa facoltà? Può, di sua iniziativa (nello specifico il ragazzo non stava nascondendo niente: è stata, appunto, un’iniziativa del sacerdote), assolvere anche da ogni peccato non detto per vergogna (o per altri motivi)? 
La ringrazio per l’attenzione, e auguro una felice giornata.
Un saluto,
Federico


Risposta del sacerdote

Caro Federico,
1. anzitutto ti ringrazio di aver riportato il n. 1456 del Catechismo della Chiesa Cattolica, che riprende l’insegnamento di sempre della Chiesa.
Vengo adesso alla domanda specifica che mi hai fatto.
Il sacerdote ha fatto bene a dire: “Ti assolvo anche dai peccati che non ricordi”.
Sì, perché se uno ha la volontà di confessare tutti i peccati gravi e poi ne dimentica qualcuno l’assoluzione data dal ministro di Cristo copre tutto a motivo della buona volontà di accusare tutte le colpe.

2. Se poi gli capita di ricordare un peccato grave non confessato tu dici che è sempre bene confessarlo in una successiva confessione.
Le parole che tu hai usato sembrano indicare una cosa facoltativa: “è sempre bene”. Invece si tratta di un dovere.
Il motivo per cui si devono confessare i peccati gravi dimenticati è che l’accusa dei peccati è di diritto divino e nessuno può dispensarne, neanche la Chiesa.
Giovanni Paolo II in un messaggio alla Penitenzieria Apostolica (22.3.1996) ha ribadito che “la confessione deve essere integra, nel senso che deve enunciare tutti i peccati mortali” (cfr. Trento, sess. XIV, cap. 5) e che questa necessità non è “semplice prescrizione disciplinare della Chiesa”, ma “di diritto divino, perché nella stessa istituzione del sacramento così il Signore ha stabilito”.
Pertanto, senza allarmismi, nella successiva confessione confesserà i peccati gravi dimenticati. E se nel frattempo non ha commesso altri peccati gravi può serenamente fare la Santa Comunione.

3. Tu potresti domandarmi da dove si evince che è di diritto divino l’accusa dei peccati.
Io ti rispondo: dalle parole stesse con le quale Gesù ha istituito il Sacramento: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23)”.
Dal momento che Gesù non ha detto semplicemente “Rimettete i peccati”, ma “a chi li rimetterete… e a chi non li rimettere” si evince che il Signore ha istituito questo sacramento a modo di giudizio (ad modum iudicii) e che “i sacerdoti non potrebbero né esercitare questo potere giudiziale senza conoscere la causa né osservare l’equità nell’imporre le pene se i fedeli stessi non dichiarassero prima i loro peccati non solo in genere ma anche in specie e singolarmente” (DS 1706).
Giustamente il Concilio di Trento ha detto che l’accusa integra dei peccati  è di diritto divino implicito.

4. Nella confessione di cui mi parli il sacerdote ha aggiunto: “Ti assolvo anche da quelli che ti vergogni a confessare”.
Di per sé, il sacerdote non potrebbe dire una cosa del genere. Non può dispensare dall’accusa, come ho detto.
Giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica riporta l’affermazione del  Concilio di Trento: “"Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non può curare quello che non conosce"» (CCC 1456).
E, potrei aggiungere: neanche assolve ciò di cui non la più pallida idea di dover assolvere.

5. Tuttavia forse nell’espressione del sacerdote si può cogliere qualcosa d’altro.
Dall’esperienza che si è fatta, il sacerdote sa che molti ragazzi hanno vergogna di confessare un determinato peccato. Questo peccato è facile intuirlo.
Allora non escludo che il sacerdote abbia voluto dare un messaggio a quel ragazzo come per dirgli: “Non aver timore. Il confessore sa quali sono i peccati che i ragazzi inizialmente tendono a nascondere perché se ne vergognano. La prossima volta dillo apertamente. Sono qui per assolvere, per aiutare, non per condannare”.
Può darsi che quel ragazzo abbia capito. Oppure che sul momento ritenesse veniale ciò che oggettivamente è mortale.

Contraccambio il felice augurio di “buona giornata”, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo