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Quesito
Caro Padre Angelo,
ho sentito la discussione di alcuni parenti in merito alla confessione natalizia che qualcuno di loro ha fatto.
Hanno attaccato direttamente il confessore che ha chiesto ad una moglie se usa metodi contraccettivi con il marito…
Si sono poi lamentati che ha fatto dire i numeri dei peccati mortali…
Mi pare una cosa meschina attaccare un confessore che a mio parere ha fatto il proprio dovere.
Nel pomeriggio sono tornati sull’argomento e dicevano che così si allontana la gente dalla confessione.
Lei che ne pensa?
Giuseppe
Risposta del sacerdote
Caro Giuseppe,
1. attaccare il confessore sapendo che tanto lui non può difendersi perché è tenuto al segreto certamente è cosa meschina.
2. Di per sé il sacerdote ha il diritto di interrogare i penitenti se ha l’impressione che l’accusa non sia integra.
È vero che il sacerdote dovrebbe presumere che tutti sappiano confessarsi, ma purtroppo è vero il contrario.
Proprio per questo deve essere cauto nel fare domande che vanno a toccare l’intimità coniugale. Potrebbe lasciare i fedeli amareggiati per questioni di cui non ne capiscono il significato.
Mi pare che il caso al quale tu ti riferisci rispecchi questa situazione.
3. Il Pontificio Consiglio per la famiglia, con il contributo della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Penitenzieria Apostolica, in data 12 febbraio 1997 ha pubblicato un Vademecum per i confessori per aiutarli in questa materia.
Ti indico i punti che fanno per il nostro caso e che aiutano a capire che il sacerdote in questione è stato forse poco prudente.
4. Il Vademecum dice che “il sacerdote confessore, tenendo presente che il sacramento è stato istituito per uomini peccatori, accogliendo i penitenti deve presupporre, salvo manifesta prova in contrario, la buona volontà di riconciliarsi con Dio. Egli sa che il loro pentimento si esprime in gradi diversi (n. 2)”.
Deve presupporre che abbia la buona volontà di riconciliarsi significa che non ha alcuna volontà di tacere qualche peccato grave di cui abbia consapevolezza.
5. Dice poi che “nei confronti di un penitente occasionale, che si confessa dopo lungo tempo e mostra una situazione generale grave, prima di fare domande dirette e concrete in tema di castità, occorrerà illuminarlo affinché comprenda questi doveri in una visione di fede e ricordargli l’invito alla santità e i suoi doveri circa la procreazione e l’educazione dei figli” (n. 3).
Per penitente occasionale s’intende colui che si trova nell’occasione prossima di peccato, vale a dire in una situazione che rende facile quel peccato.
“Che si confessa dopo lungo tempo e mostra una situazione generale grave” e cioè che dalle prime battute della confessione si capisce che di vita cristiana ce n’è poca a motivo ad esempio dell’assenza permanente dalla Messa domenicale, dell’assenza di preghiera, della presenza della bestemmia, del tradimento nel matrimonio… E che viene a confessare perché c’è una festa di famiglia e che intuisce che sarebbe bello poter fare la Comunione oltre che partecipare alla Messa…
Allora in una situazione così compromessa di vita cristiana, mettersi a domandare se nell’intimità coniugale viene fatta contraccezione è come fargli una domanda di cui non ne capisce affatto il significato.
In casi del genere – che sono meno rari di quanto si pensi – è necessario cercare di costruire qualche cosa lasciando una buona parola, un’esortazione ad andare a Messa perché il Signore benedica la famiglia e protegga i figli, un’esortazione a rivolgere più spesso il pensiero al Signore, alla fedeltà matrimoniale…
6. Infatti il Vademecum ricorda che “certamente è da ritenere sempre valido il principio, anche in merito alla castità coniugale, secondo il quale è preferibile lasciare i penitenti in buona fede in caso di errore dovuto ad ignoranza soggettivamente invincibile, quando si preveda che il penitente, pur orientato a vivere nell’ambito della vita di fede, non modificherebbe la propria condotta, anzi passerebbe a peccare formalmente; tuttavia, anche in questi casi, il confessore deve tendere ad avvicinare sempre più tali penitenti, attraverso la preghiera, il richiamo e l’esortazione alla formazione della coscienza e l’insegnamento della Chiesa, ad accogliere nella propria vita il piano di Dio, anche in quelle esigenze” (n. 8).
Peccare formalmente in gergo teologico significa compiere anche soggettivamente un peccato grave, mentre prima il peccato era tale solo dal punto di vista della materia, mancando nel soggetto la piena avvertenza della mente e il deliberato consenso della volontà di commettere un peccato.
Nel nostro caso, la domanda del confessore tende a rendere grave anche soggettivamente il male compiuto, compromettendo la situazione già abbastanza grave del fedele. E nello stesso tempo può rendere più fastidioso e meno accessibile (in gergo teologico si dice “odioso”) il sacramento.
7. Ciò non significa che il sacerdote debba lasciare i penitenti nella loro situazione. Perché il male, anche se di esso non se ne ha consapevolezza, fa male.
Ma in alcuni casi bisogna partire dalla larga, esortandoli alla vita cristiana, alla pratica dei sacramenti, alla partecipazione alla catechesi e all’ascolto della sacra predicazione.
Allora, fatto un certo cammino, con più facilità comprenderanno che alcune esperienze sono incomponibili con il progresso della vita spirituale e non sono secondo il sentire evangelico.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo