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Quesito

Caro Padre Angelo,
Vorrei sapere cosa significa il termine “Ecclesiologia della comunione” e cosa ha a che vedere con il Concilio Vaticano II°.
Mi sembra che l’istituto della parrocchia sia in crisi non pensa che si dovrebbe modificare? Forse bisognerebbe creare un nuovo tipo di struttura parrocchiale più a misura di uomo. Ho la sensazione che la comunità parrocchiale sia quasi sempre un qualcosa di impalpabile. Non sarebbe meglio creare comunità più piccole oppure parrocchie formate da tante piccole comunità?
Grazie
Pasquale T.


Risposta del sacerdote

Caro Pasquale,
1. per ecclesiologia s’intende il modo con cui si pensa la Chiesa e la sua vita.

2. Il Concilio Vaticano II ha voluto riflettere in modo particolare sulla Chiesa, sulla coscienza che ha di se stessa.
Giovanni Paolo II amava ricordare che durante i lavori del Concilio risuonava la domanda: Ecclesia, quae dicis de te ipsa? Chiesa, che cosa dici di te stessa?

3. Quest’autocoscienza della Chiesa si trova in tutti i documenti del Concilio, ma in modo particolare nella Lumen gentium, che è una costituzione dogmatica.
Se precedentemente la Chiesa era pensata come societas perfecta (società perfetta) ed emergeva di più l’aspetto giuridico-istituzionale, ora si privilegia maggiormente l’aspetto di comunione.
Lo Spirito Santo guida ispirando sia la gerarchia sia tutti gli altri fedeli.

4. Quest’aspetto è stato messo in rilievo proprio dal Concilio Vaticano II e uno dei suoi effetti è la costituzione di vari organismi ecclesiali, come ad esempio il consiglio pastorale, il consiglio presbiterale, il collegio dei consultori…
Inoltre vediamo emergere nella Chiesa molti movimenti di spiritualità e di apostolato partiti dalla buona volontà dei fedeli.

5. Questa natura della Chiesa è stata messa in risalto soprattutto nel n. 4. della Lumen gentium, ove si legge: “Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1 Cor 3,16; 6,19) e in essi prega e rende testimonianza della loro condizione di figli di Dio per adozione (cfr. Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità (cfr. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti (cfr. Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22)” (LG 4).
Come avrai notato, ho sottolineato l’espressione: la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici. Ciò significa che lo Spirito santo dirige la Chiesa non solo attraverso la gerarchia ma anche attraverso doni carismatici. E i carismi Dio li dà a tutti. Li da certamente ai vescovi, ma anche ai laici.
Per questo il vescovo e i presbiteri devono essere consapevoli che la Chiesa è diretta principalmente dallo Spirito Santo e devono rimanere in ascolto di ciò che lo Spirito dice alla sua Chiesa.

6. Il Concilio Vaticano II esprime questa dottrina anche in un altro punto molto importante della Lumen gentium: “Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma “distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui” (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: “A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio” (1 Cor 12,7).
E questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione
Il giudizio sulla loro genuinità e sul loro uso ordinato appartiene a coloro che detengono l’autorità nella Chiesa; ad essi spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cfr. 1 Ts 5,12 e 19-21).
Proprio per questi vescovi e presbiteri nella guida della Chiesa e delle parrocchie sono chiamati a istituire vari strumenti di comunione e a servirsene” (LG 12).

6. Tocchi poi il problema della parrocchia.
È un problema molto grosso.
I pastori stessi sono coscienti che la comunità non si può misurare solo dal territorio.
L’Evangelii nuntiandi di Paolo VI parla di comunità cristiane. E molte di queste non sono affatto legate al territorio, ma al movimento o a varie istituzioni.
Tuttavia la parrocchia continua ad avere un suo significato, anche perché la stragrande maggioranza dei fedeli non appartiene a movimenti e a forme particolari di aggregazione.
La proposta che tu fai (piccole comunità all’interno della più ampia comunità parrocchiale) è già attuata da qualche parte. Quelle che tu chiami piccole comunità sono chiamate “comunità di base”.
Ma per questo è necessario che i laici sia più attivi e più consapevoli della loro missione nella vita della Chiesa.

Ti ringrazio per la domanda, ti promette una preghiera e ti benedico.
Padre Angelo