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Quesito

Salve Padre Angelo,
innanzitutto la ringrazio per l’opera che svolge con questa rubrica che mi ha aiutato molto nei miei approfondimenti e dubbi sulla fede fin dalla mia conversione avvenuta molti anni fa. Il Signore vi benedica!
Io, sono un ragazzo di 23 anni e ho conosciuto Dio circa 7 anni fa, ho avuto intense esperienze di fede in questi anni che mi hanno rafforzato molto.
Ultimamente ho deciso di iscrivermi all’istituto di scienze religiose della zona per approfondire la materia e rafforzare ulteriormente la fede e in particolare per insegnare religione, cosa che vedo come una vocazione per me. Purtroppo però mi è sembrato di sbattere con un visione della fede e della teologia dalle sfumature razionalistiche e forse moderniste. Forse sono io troppo fondamentalista ma in diverse situazioni mi sono sentito a disagio… vorrei quindi chiederle se può chiarirmi riguardo ad alcuni punti che mi hanno lasciato perplesso per capire se sono solo una delle tante scuole teologiche o l’opinione prevalente nella Chiesa.
Prima di tutto vorrei sapere cosa ne pensa riguardo alla storicità dell’antico testamento.
Secondo alcuni professori il racconto dell’esodo sarebbe una retroproiezione in forma di epopea ad un periodo più antico dell’esperienza dell’esilio babilonese e del successivo ritorno. Poiché i dati archeologici non confermano il racconto biblico rimane il significato teologico ma crolla tutta la storicità in quanto almeno fino a poco dopo la divisione dei due regni nel periodo della monarchia (tra l’altro anche il regno unificato antico sarebbe una retroproiezione dell’unità post esilio). Personaggi come Mosè e Abramo sarebbero quindi solo figure esemplari ma mai esistite.
Dio la benedica e conservi sempre.

 


 

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. innanzitutto mi compiaccio per l’opera che il Signore ha fatto in te riconducendoti alla fede e alla sequela di Cristo.
L’entusiasmo per la verità ritrovata ti ha spinto ad approfondire la conoscenza di Cristo e della Rivelazione divina.
Ma ecco che lo studio della teologia così come viene impartito nello studio teologico che frequenti anziché consolidare l’entusiasmo semina dubbi e disincanto al punto che ti domandi che cosa ci sia di vero.

2. Purtroppo non posso negare che qua e là sembra che l’aggiornamento biblico e teologico non consista tanto nell’approfondire la fede, ma nel riferire le ultime “trovate” senza vagliare sufficientemente quello che di sicuro e di solido finora è stato insegnato.

3. Pertanto desidero rispondere alle tue domande con quanto dice un testo la cui autorevolezza è indiscussa e probabilmente è superiore a qualsiasi altra scuola biblica.
È il testo della cosiddetta Bibbia di Gerusalemme, le cui introduzioni e note sono dei domenicani (francesi) dell’École biblique di Gerusalemme.
Forse anche tu avrai con te la cosiddetta Bibbia di Gerusalemme, ma come accade a molti si tralascia la lettura delle introduzioni perché giustamente interessa più la parola di Dio più che quella degli uomini.
Senonché i problemi poi sorgono e si va nello smarrimento.

4. Rispondo alle varie questioni che mi hai posto riportando per te e per i nostri visitatori ciò che vi si legge.
Dico subito che questa scuola colpisce per la serietà delle motivazioni, per l’equilibrio nel non disprezzare alcun dubbio e per la serenità che lascia in colui che accede a questi testi.

5. Vengo alla vicenda di Abramo e degli altri Patriarchi che sarebbero personaggi mai esistiti.
Bisognerebbe anzitutto che coloro che fanno tali asserzioni ne portassero la documentazione.
Il solo fatto che non vi siano corrispondenze extrabibliche in materia non  è ancora sufficiente per smentire le asserzioni fatte dalla Sacra Scrittura perché allora dovrebbero essere smentite anche tutte le asserzioni storiche degli antichi che non hanno riscontro in altre narrazioni.

6. Ma ecco che cosa dice l’introduzione della Bibbia di Gerusalemme al Pentateuco, che contiene 5 libri tra cui la Genesi e l’Esodo
“Queste tradizioni erano il patrimonio vivente di un popolo dal passato lontano;
gli davano il sentimento della sua unità perché tutti si riferivano ad antenati comuni;
ma, soprattutto, esse erano il sostegno della sua fede; erano come uno specchio dove il popolo si contemplava nelle situazioni più diverse.
Si può già pensare che le stesse situazioni, a partire dalle quali, si rifletteva sul passato, hanno condizionato in parte il modo di raccontare le cose”.

7. In parallelo a questo va aggiunto che Dio si è servito di queste tradizioni, le ha custodite e le ha alimentate per rivelare se stesso e il suo disegno d’amore, per comunicare se stesso agli uomini e riempire il loro cuore.
Se non si tiene presente questo, si guarda alla Genesi semplicemente come ad una narrazione storica fatta da uomini. E dopo che si è conosciuto in qualche modo come sia stato formato il testo si pensa di aver capito tutto.
Con la luce della fede dobbiamo tenere per certo invece che mentre si formavano quelle tradizioni Dio era all’opera perché si trasmettesse tutto quello e solo quello che era necessario per la Rivelazione e per il suo progetto salvifico.
Se San Pietro per l’annuncio di Gesù Cristo e del suo Vangelo dice di non essere andato dietro a favole artificiosamente inventate, ma di essere stato testimone oculare della sua grandezza (cf. 2 Pt 1,16), possiamo dire la stessa cosa delle tradizioni che per divina ispirazione si formavano e si custodivano.
È impensabile che Dio abbia costruito la storia della salvezza su favole artificiosamente inventate.
La fede degli apostoli era del tutto aliena dal pensare una cosa simile.

8. Prosegue l’introduzione della Bibbia di Gerusalemme: “Non si può chiedere a questi testi il rigore che userebbe lo storico moderno (…) perché i racconti e le leggi del Pentateuco non costituiscono essenzialmente un libro di storia (…).
Essi testimoniano la fede di un popolo nel succedersi di numerose generazioni, soprattutto nel periodo movimentato che va dalle conquiste assire alla perdita dell’indipendenza nazionale sotto l’intervento dell’impero persiano.
Per noi, in quanto credenti, è importante questa testimonianza religiosa indipendentemente dal valore che i testi possono avere per scrivere una storia del popolo della Bibbia nei termini della storia moderna. (…).
D’altra parte è evidente che si parla del passato così come lo si conosce, spesso a secoli di distanza, e per trarne una lezione per il presente.
Attribuire agli autori biblici delle prospettive di biografi o di storici moderni non è la posizione corretta per meglio cogliere ciò che essi hanno da dirci”.

9. Se questo vale per tutti i 5 libri del Pentateuco, tuttavia “i primi undici capitoli della Genesi vanno considerati a parte. Oggi si parla spesso di «mito».
Bisogna prendere la parola come indicazione del genere letterario e non nel senso di «storia favolosa o leggendaria».
Un «mito» è semplicemente un’antica tradizione popolare che racconta le origini del mondo e uomo o avvenimenti, per esempio il diluvio universale, che sarebbero accaduti all’origine dell’umanità.
Un «mito» è un racconto fatto in modo immaginifico e simbolico; l’autore del racconto biblico ha ripreso l’una o l’altra tradizione dal proprio ambiente, perché era funzionale al suo disegno didattico.
D’altronde i «miti» o racconti delle origini hanno normalmente un carattere eziologico (e cioè intendono spiegarne la causa, n.d.r.): questi racconti danno una risposta ai grandi interrogativi dell’esistenza umana nel mondo, attraverso questi racconti si dà una risposta a problemi come quelli dell’origine del peccato o della sofferenza umana.
Ciò che si dice di quel passato lontano spiega la nostra situazione attuale. In certo senso si procede per eliminazione: tutto ciò che nella nostra situazione è percepito come un limite si spiega con un avvenimento delle origini. In sintesi, il «mito» spiega come sono venuti all’esistenza il mondo e tutte le sue creature e perché noi, gli uomini, siamo così come siamo”.

10. Tuttavia la parola mito, proprio perché nel linguaggio comune rimanda proprio ad racconto fantasioso che non ha alcun riscontro nella realtà ed è una favola che vuole spiegare qualche cosa (come ad esempio il mito di Prometeo), i racconti dei primi undici capitoli della genesi hanno fondamento nella realtà, in eventi realmente e storicamente accaduti.
Per cui sebbene l’introduzione al Pentateuco della Bibbia di Gerusalemme distingua tra mito come comunemente inteso e il mito biblico, è meglio non usare la parola mito, per eliminare in partenza ogni equivoco.
Basterebbe parlare di racconto biblico fatto con immagine e allegorie.

11. Circa quanto mi riporti e cioè che “il racconto dell’esodo sarebbe una retroproiezione in forma di epopea ad un periodo più antico dell’esperienza dell’esilio babilonese e del successivo ritorno” mi pare che qualche cosa non quadri anche sotto il profilo cronologico.
L’esilio babilonese e soprattutto il suo ritorno patria è del sesto secolo avanti Cristo, mentre i testi del Pentateuco sarebbero stati messi per scritto almeno a partire dall’ottavo secolo.
Scrive la Bibbia di Gerusalemme: “Se tradizioni orali potevano esistere fin dalle origini del popolo d’Israele (ma oggi si tende perfino a minimizzare il ruolo della tradizione orale), probabilmente si comincia a fissarle per iscritto soltanto verso l’ottavo secolo avanti Cristo. La predicazione di Osea manifesta che almeno verso la metà di questo secolo c’erano delle tradizioni abbastanza ben fissate a proposito di Giacobbe, dell’uscita dall’Egitto sotto la guida di Mosè, della stipulazione di un’alleanza tra Dio e Israele e del dono della Legge, di alcuni episodi di marcia nel deserto”.
Non si può negare che nel testo siano state fatte alcune aggiunte in redazioni posteriori per sottolineare alcuni aspetti della rivelazione biblica.
Ma l’affermazione che hai sentito a scuola è troppo grossa perché viene a negare il fondo storico e realmente accaduto del racconto.

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo