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Quesito
Buongiorno padre Angelo!
1. Questa è la mia domanda. Come si fa a prendere qualche rischio nella vita pur restando cristiani? E questo per qualsivoglia ragione (migliorare le proprie condizioni di vita, cercare una posizione sicura, rispondere a una vocazione, ecc.). Intorno a me vedo altri cristiani che a volte temono di vivere la loro vita per paura di fare una scelta sbagliata, o di commettere un peccato, non riuscendo così a testimoniare il Vangelo. Lei cosa ne pensa, padre?
2. Il Vangelo parla di perdonare il prossimo, perdonare coloro che ci fanno del male. La mia domanda è: cosa si potrebbe dire riguardo al perdonare sé stessi? Come possiamo perdonare noi stessi alla luce del vangelo, alla luce di Cristo? Quale è, nella vita cristiana, il momento di perdonare sé stessi.
Mille grazie, padre Angelo, figlio di San Domenico!!!
Afm
Risposta del sacerdote
Carissimo visitatore di lingua inglese,
1. innanzitutto ti ringrazio per il saluto: “padre Angelo, figlio di San Domenico”.
Leggendolo, ho sentito da una parte l’altezza della vocazione e della grazia che il Signore mi ha dato: mi ha chiamato a seguirlo donandomi un padre, un fratello, un angelo come San Domenico.
E dall’altra ho avvertito la sproporzione enorme perché i figli assomigliano ai genitori.
Consola sapere che questo Padre, “nell’ampio seno della sua carità accoglieva tutti”. Confido che accoglierà anche me.
2. Adesso vengo ai tuoi quesiti.
Mi chiedi se, comportandosi da cristiani, si possano scegliere soluzioni rischiose.
Di per sé, indipendentemente dall’essere cristiani, bisogna agire senza dubbi nella coscienza circa la bontà o la malizia delle nostre azioni.
Non ci si può mai esporre a fare il male, così come non ci si può mai esporre offendere Dio.
Per cui è regola comune che si deve agire con coscienza retta (si è lasciata illuminare) e certa (senza dubbi).
3. Talvolta però si danno situazioni così urgenti e di così grande gravità, che si richiede un intervento immediato perché può essere questione di vita o di morte.
In tali frangenti la Chiesa ha sempre insegnato che “in extremis, extrema sunt tentanda”.
Per cui è lecito intervenire anche con poche probabilità che l’intervento riesca se l’alternativa è la morte sicura.
Ebbene, mentre in una situazione normale non si può accettare un rischio così grosso, in extremis lo si può fare perché tra la morte e alcune possibilità di vita è sempre meglio optare per la vita.
4. Un certo margine di rischio si trova in molte nostre decisioni. Se ad esempio si decide di andare per strada, può succedere che una macchina ci venga addosso.
Ugualmente, se ci si sposa con una determinata persona si spera che rimanga sempre come la si è conosciuta. Può succedere però che cammin facendo venga fuori qualche intoppo.
Similmente se si tratta di valutare la tenuta di una vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata di un eventuale candidato, non si può mai avere la certezza assoluta, potremmo dire matematica, della sua perseveranza.
Allora in teologia morale si dice che per agire in maniera corretta è sufficiente avere la certezza morale.
Per certezza morale si intende che nel comune genere dei casi dovrebbe andare bene. Ma non si esclude che in qualche caso particolare non sia così.
Come si vede, la certezza morale è inferiore a quella matematica, ma è sufficiente per dire che in coscienza ci si è comportati bene.
5. Anche quando si tratta di scelte concrete di evangelizzazione si corrono ugualmente rischi di insuccesso.
Ma non ci si deve lasciare prendere dal panico perché Gesù ci ha messo in guardia quando ha detto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra” (Gv 15,20).
Questo però non significa che si debba rinunciare all’evangelizzazione perché si corre il rischio di essere rifiutati. Ciò che San Paolo ha detto a Timoteo, vale anche per noi: “Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento” (2 Tm 4,2).
6. Va ricordato che i cristiani hanno anche un’altra risorsa per eliminare rischi o incertezze: si tratta di un particolare dono dello Spirito Santo che in maniera infallibile fa agire prontamente, santamente anche nei casi più intricati. Questo dono porta il nome di consiglio.
Questo dono viene dato a tutti con il battesimo. Viene rinforzato con la cresima e trova il suo modo di esprimersi in maniera adeguata quando si conduce una vita santa.
Alla luce di questo dono il nostro Santo Padre Domenico quando da poco aveva raccolto 16 frati, decise di disperderli nei centri principali dell’Europa. Tutti gli dicevano che questa sarebbe stata la fine dell’Ordine. Ma San Domenico rispose: “Non opponetevi, ho pregato. So quello che faccio: il grano ammucchiato marcisce, disperso fruttifica”.
E, proprio per la dispersione, è fruttificato in tutti i modi.
7. Vengo adesso all’ultima domanda: sul perdonare se stessi.
Di per sé il perdono è un atto di clemenza compiuto nei confronti di chi compie un’ingiuria.
Soltanto in maniera metaforica si può perdonare se stessi.
Pertanto nessuno può perdonare a se stesso i propri peccati. Questo perdono ci viene da Dio solo attraverso la mediazione della Chiesa.
Si perdonare a se stessi invece quando, dopo aver ricevuto il perdono di Dio, si supera il senso di colpa, che è ben diverso dal senso del peccato.
Il senso di colpa è uno stato psicologico ed emotivo per cui si ha la consapevolezza di aver compiuto del male e che è necessario ripararlo.
Di per sé il senso di colpa è una cosa buona.
Ma talvolta può giungere a un vero dramma interiore per cui si rimane paralizzati e come impietriti per quello che si è fatto. Ci si reputa degni solo di non esistere più.
In questo senso è necessario perdonarsi sostituendo il senso di colpa con il senso del peccato.
Il senso del peccato non azzera la gravità del male compiuto. Anzi, sotto un certo aspetto l’accresce perché si ha la consapevolezza di aver offeso Dio e di aver danneggiato tutta la Chiesa, tutto il mondo.
Tuttavia si è certi, proprio per mezzo del sacramento della penitenza o riconciliazione, che se è abbondato il peccato per colpa nostra, Dio l’ha permesso solo perché sovrabbondi la sua grazia.
La sua grazia sovrabbonda innanzitutto attraverso la conversione e l’immettersi in una via di santificazione.
Sicché perdonare a se stessi non significa semplicemente metterci una pietra sopra e dimenticare, ma ricominciare di nuovo riscattandosi dal peccato e vivendo per Dio.
Proprio come ha detto San Paolo quando ha scritto: “Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia, ma offrite voi stessi a Dio come viventi, ritornati dai morti, e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia” (Rm 6,13).
Con l’augurio che anche tu possa essere figlio di San Domenico (ci sono tanti modi di esserlo!), ti benedico in questa bella festa della Madonna assunta in cielo e ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo