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Quesito
È il medesimo quesito di ieri, al quale padre Angelo risponde con una seconda puntata
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Un fraterno saluto in Cristo Gesù ns Signore,
Gianni.
Risposta del sacerdote
Caro Gianni,
1. come ti ho giù detto nella risposta di ieri, l’elemento costitutivo della successione di Pietro non è costituito dalla sua dimora fisica, ma dalla sua volontà.
E questa volontà, prima ancora di essere rivendicata da lui stesso, la si è vista manifesta nell’attestazione dei contemporanei.
Di per sé, dunque, non sarebbe è necessario dimostrare che Pietro sia venuto a Roma e vi sia morto.
I protestanti (tra i quali anche tu) hanno cercato di agganciare il primato romano a queste due asserzioni perché credevano che, negate le premesse (è venuto a Roma, è morto a Roma), fossero negate anche le conseguenze (la trasmissione del suo ministero).
Fosse anche leggenda la permanenza a Roma del primo Papa, resterebbe egualmente vero che la sua successione è passata a Lino, Clemente, ecc. e ciò perchè lo dicono quelli che furono testimoni dei fatti.
2. Sebbene, dunque, ai fini del primato non sia necessario documentare la presenza di Pietro a Roma, non è inutile esaminare come sia avvenuta la successione da Pietro ai vescovi di Roma.
Pietro ha personalmente fondato e governato per lungo tempo la Chiesa di Roma.
Della permanenza a Roma se ne parla chiaramente nell’ambiente apostolico.
Papia riferisce di aver sentito da Giovanni l’Evangelista che Marco “interprete di Pietro” aveva scritto nel Vangelo la predicazione di Pietro a Roma (Eusebio, Storia ecclesiastica, III, 39).
3. Sappiamo anche da Ireneo (Adversus haereses) e da Clemente Alessandrino (cf. Eusebio, Storia ecclesiastica, VI, 14), perfettamente concordi, che quella riferita da Marco fu la predicazione di Pietro a Roma.
4. Pietro stesso scrive la sua prima lettera da Roma, designata col velato termine “di Babilonia” secondo un uso abbastanza comune allora a giudei e cristiani: “Vi saluta la comunità che vive in Babilonia e anche Marco, figlio mio” (1 Pt 5,13).
La Bibbia di Gerusalemme, nell’introduzione alla prima lettera di Pietro scrive: “Benché siamo molto poco informati sulla fine della sua vita (di Pietro), una tradizione molto attestata lo fa effettivamente arrivare nella capitale dell’impero, dove morì martire sotto Nerone”.
A questa “Babilonia”, che s’identifica con Roma, fa allusione anche Giovanni nell’Apocalisse quando scrive: “E un altro angelo, il secondo, lo seguì dicendo: «È caduta, è caduta Babilonia la grande, quella che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino della sua sfrenata prostituzione»” (Ap 14,8).
Non si può trattare di Babilonia nella Mesopotamia, come affermavano i protestanti per negare la presenza di Pietro a Roma perché Babilonia nella Mesopotamia, ai tempi in cui Pietro scriveva, era un deserto, come attestano separatamente gli storici romani Strabone, Plinio e Pausania.
Né si poteva trattare della piccola stazione egiziana di tal nome, non solo perchè l’apostolato di Pietro fu tutto occidentale, ma perchè nella stessa lettera egli parla di Marco suo compagno, mentre sappiamo dalle lettere paoline che Marco a quel tempo (circa anno 60) si trovava precisamente a Roma.
5. La predicazione romana di Pietro è nota anche in Oriente.
Ignazio, scrivendo ai Romani, la ricorda chiaramente (Ai Romani, IV).
Clemente, nelle lettere di cui si è parlato, presenta l’esempio eroico del martirio di Pietro e Paolo in Roma come cosa che era avvenuta non molto tempo prima sotto gli occhi suoi e della sua comunità (Ai Corinzi, V)
Clemente, insieme con la morte di Pietro, parla anche della testimonianza resa a Cristo da parte di molti altri cristiani. Di questa persecuzione ne parla anche lo storico romano Tacito (Annali, XV,44).
Ireneo, dandoci informazione sulla data di composizione del Vangelo di Matteo, scrive che avvenne “mentre Pietro e Paolo stavano ad evangelizzare Roma ed a fondarvi la Chiesa” (Ad Haereses).
Si noti che Ireneo, pellegrino a Roma e corrispondente epistolare di Papa Vittore, oltre che discepolo della scuola di Giovanni, era molto ben informato sui casi della storia ecclesiastica di Roma.
Si può ben dire che in tutto l’ambiente sub-apostolico si parlava delle relazioni tra Pietro e Roma.
6. In Roma stessa l’ambiente pagano sapeva bene di ciò al punto che Flegone, scrittore anticristiano, verso il 140 arrivò a confondere Pietro con lo stesso Cristo (cf. Origene, Contra Celsum, II, 14).
Di Roma Pietro non fu semplicemente un ospite, ne fu il vescovo,
7. Nello stesso periodo sub-apostolico si parla da tutti del martirio romano di Pietro.
Il Vangelo di Giovanni tratta di questo martirio senza indicare dove sia avvenuto (v 21,19).
Ma vi alludono abbastanza chiaramente Clemente, scrivendo da Roma, come s’è visto, ed Ignazio scrivendo a Roma.
Quel martirio è richiamato da Dionigi di Corinto mentre scrive al Papa Sotero, verso il 170.
Gaio, antimontanista, che scrive poco dopo contro Proclo in Roma al tempo di Papa Zefirino, dice: “Io vi posso mostrare i documenti sepolcrali (trophaea) degli apostoli, poiché sia che vi piaccia andare al Vaticano, sia che piaccia volgere il passo all’Ostiense, vi si pareranno innanzi i monumenti di coloro che hanno fondata quella Chiesa (la romana)”.
8. È tale la persuasione universale del martirio romano di Pietro che se ne parlano gli stessi apocrifi.
Citiamo l’Ascensione di Isaia che qualcuno vorrebbe composta prima del 70 e che altri rimandano al secolo II e persino al III; gli Atti di Pietro, le cui fonti letterarie sono del secolo II.
E mentre nessuna chiesa in tutto il mondo rivendicò a sé d’esser decorata del sangue e del sepolcro del primo apostolo, questo indiscusso onore fin dal primo secolo se lo aggiudica Roma.
I calendari liturgici Liberiano e di Furio Dionisio Filocalo danno memoria delle commemorazioni romane riguardanti la cattedra, il natale (la morte), la deposizione «in Catacumbas» di Pietro.
Questi calendari ci mostrano la devozione liturgica della Chiesa romana per questi grandi ricordi: sono sì del secolo IV, ma sono condotti su elementi antichissimi ed originali, segni di una tradizione che l’età susseguente ha solo custodito e trasmesso.
Ne nasce una tradizione continua, indiscussa, romana, che, anche da sola, ha il diritto per la sua compattezza, di essere ascoltata in sede della critica più esigente.
9. Sul fatto che Paolo non menzioni Pietro nei suoi saluti quando scrive ai Romani e per i protestanti è preso come un elemento per dire che Pietro non fu mai a Roma possiamo dire questo: per testimonianza di Eusebio (Chronic. ad ann. 43), di S. Girolamo (De Viribus illustris. iii. 1), di Orosio (Hist. VII, 6), ecc. san Pietro sarebbe venuto a Roma nei primi anni di Claudio (verso il 42 d. C.), probabilmente dopo la miracolosa liberazione dal carcere di Gerusalemme (At 12,17).
E si può credere che vi sia rimasto fino alla pubblicazione dell’editto di Claudio contro i Giudei (anno 49).
Tornò in seguito a Gerusalemme, dove presiedette il Concilio, ma rivide Roma qualche anno dopo, e più tardi quando poi vi subì il martirio.
Non è da pensare perciò che San Pietro si sia stabilito a Roma cisì da essersene mai allontanato.
Anzi è molto probabile che abbia pure intrapreso parecchie altre missioni e che perciò quando San Paolo scrisse questa lettera e fu condotto prigioniero a Roma si trovasse assente.
10. Infine, sebbene questo non c’entri con la fondazione della Chiesa di Roma che presiede a tutte le Chiese, mi piace sottolineare che Gesù ha conferito il primato a Pietro nei pressi di una città romana, a Cesarea di Filippo.
Inoltre Gesù ha parlato per la prima volta della sostituzione dei Gentili (pagani) ad Israele davanti ad un centurione romano, come si legge in Mt 8,11-12: “Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti”.
Gesù ha voluto che l’ingresso ufficiale dei pagani nella Chiesa avvenisse con un altro centurione romano, Cornelio, come riferiscono gli Atti degli Apostoli 10,1ss: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (At 10,24-35).
Sorvolo sul dominio della Chiesa in Italia fino al 1960. Sarebbe sufficiente semplicemente dare uno sguardo alla storia: che cosa successe dalla rivoluzione francese fino alla fine della seconda guerra mondiale lo sanno tutti.
E prima, sì, c’era lo stato pontificio, ma lo stato pontificio non copriva tutta l’estensione della penisola. C’era molti altri stati e tutti indipendenti…
10. Ecco, caro Gianni, questi sono i fatti.
Come vedi, non ho parlato della tomba di san Pietro. Questo non fa parte dell’argomento su cui ti ho intrattenuto.
I resti di San Marco, possiamo dire la tomba di san Marco, si trova a Venezia. I resti di Giovanni Battista a Genova.
Ma né l’uno né l’altro sono morti in quelle città.
Se la tomba di san Pietro si trovasse a Parigi non cambierebbe nulla di quanto ti ho detto.
11. Ti ringrazio di avermi sollecitato ad approfondire questa questione e penso che i nostri visitatori ne saranno contenti.
Mi auguro anche che tanti evangelici o protestanti non liquidino come leggenda ciò che viene riferito da tante testimonianze della prima ora.
È vero che queste testimoniane non si trovano nella Scrittura e che i protestanti ed evangelici si appellano alla sola Scrittura.
Ma da nessuna parte della Scrittura vien detto di riferirsi alla sola Scrittura, tanto meno viene detto di abdicare alla ragione e di rifiutare a priori qualsiasi testimonianza coeva alla Scrittura o di poco posteriore.
D’altra parte nelle Scritture non vi è neanche l’elenco dei libri da ritenersi come ispirati e facenti parte della Bibbia. Questo lo si ricava dalla Tradizione, da quella medesima tradizione ben documentata che ti ho presentato a favore del ministero petrino.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo