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Quesito
Caro padre Angelo,
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(è un evangelico che scrive, n.d.r.)
Nella Bibbia io non trovo, per esempio, la tradizione ecclesiastica che fa di Pietro il primo papa, essa nacque in seguito e il primato "politico" sulle chiese e sui governanti, esercitato ancora in Italia sino al 1960…proprio non esiste.
Secondo questa tradizione, l’apostolo avrebbe dovuto essere a Roma quando Paolo scrisse la sua Epistola ma egli nemmeno lo saluta (Romani 16).
Secondo la vs tradizione egli avrebbe dovuto esservi ma, con tutta evidenza, non c’era.
Il martirio e la sepoltura di Pietro a Roma è una leggenda, la tomba dell’apostolo è stata trovata a Gerusalemme e questo esclude il presunto "primato" di Pietro.
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Un fraterno saluto in Cristo Gesù ns Signore,
Gianni.
Risposta del sacerdote
Caro Gianni,
rispondo solo alla parte centrale della tua mail nella quale affermi che la presenza e il martirio di Pietro a Roma sono una leggenda e che per questo è del tutto fuori posto parlare di un primato della Chiesa di Roma.
Ti rispondo in due puntate, perché cerco di essere più esauriente possibile.
1. Certamente nelle Sacre Scritture non è scritto che san Pietro sia stato a Roma e che sia morto a Roma.
Per riconoscere il primato della Chiesa di Roma di per sé non sarebbe neanche necessaria la presenza e la morte di Pietro in quella città.
Sarebbe stata sufficiente la sua volontà.
Scrive C. Journet: “Sappiamo che se anche Pietro non fosse mai venuto a Roma, poteva, dovunque si trovasse, attribuire alla Chiesa di Roma il pontificato transapostolico della Chiesa universale” (C. Journet, Teologia della Chiesa, p. 136).
Journet scrive anche: “Osserviamo che una cosa è la residenza, un’altra cosa è la sede. La residenza può essere trasportata altrove, come lo fu in Avignone.
Il Papa resterebbe di diritto vescovo di Roma, anche se Roma fosse distrutta” (Ib., pp. 155-156).
2. Ma sul primato della Chiesa di Roma nei primi due secoli abbiamo un’abbondante documentazione.
Si tratta di testimonianze dei primi successori degli apostoli. Essi confermano l’autorevolezza della Chiesa di Roma, alla quale riconoscono una presidenza.
Ti presento alcuni documenti che dimostrano che nel primo e secondo secolo il vescovo di Roma fungeva da capo ed era riconosciuto come tale.
3. Degli apostoli quello che certamente sopravisse per molto tempo a Pietro è Giovanni.
Nel suo Vangelo riporta il testo di conferma del primato (Gv 21,15: pasci le mie pecore, pasci i miei agnelli), e la profezia sul martirio di Pietro (Gv 21,18).
Certamente Giovanni venne a sapere dell’avverarsi di questa profezia e non poté disinteressarsi della questione della successione.
Per noi è molto interessante sapere che cosa ne pensasse lui, antico ed intimo amico di Cristo.
Il suo pensiero ci è trasmesso dai testimoni.
Uno di questi è Policarpo, contemporaneo, discepolo e successore di Giovanni ad Efeso. Di lui sappiamo che al tempo della prima controversia pasquale, pur essendo molto avanti negli anni (quasi centenario), se ne venne faticosamente dell’Asia a Roma per impetrare dal vescovo di Roma, come da suo superiore e superiore di tutti i vescovi in causa, una maggiore larghezza.
Questa visita per l’autorità della persona e per il grande riconoscimento che importava fece impressione. Ireneo ne parla ancora quarant’anni più tardi scrivendo a Papa Vittore (Eusebio, Storia ecclesiastica, V,24,16).
4. Il secondo testimone autorevole è lo stesso Ireneo, che per quanto vescovo di Lione nelle Gallie, è asiatico e discepolo di Policarpo.
Conosce quindi il pensiero vivo nella scuola dell’apostolo, oltre che la prassi dell’Oriente e dell’Occidente.
Ireneo neIl’Adversus haereses tratta del modo sicuro di conoscere la vera tradizione apostolica. Indica il criterio nell’ininterrotta serie dei vescovi successori degli apostoli.
Afferma di poter dimostrare questa successione citando i cataloghi episcopali delle diverse Chiese, ma si limita ad uno, al catalogo della Chiesa romana. Questo perchè sa che basta la sola Chiesa romana a dimostrare e garantire la verità della Chiesa cattolica.
Diverse sono le ragioni.
5. Anzitutto la Chiesa romana è “la più grande e la più antica” e ha una “principalità” o primato tale che tutte le altre comunità da ogni parte debbono accordarsi e sottostare ad essa.
In secondo luogo perchè la successione dei suoi vescovi rimonta a Pietro (Adversus haereses III,3,2).
6. Va riconosciuto che l’atteggiamento umile e leale di Policarpo vale ben più di una dichiarazione teorica nel mostrare che cosa lui, uomo apostolico, sapeva del vescovo di Roma.
Da lui e da Ireneo apprendiamo il pensiero della scuola di Giovanni, vale a dire dell’ambiente apostolico: là si sapeva benissimo e lealmente si insegnava a chi mai Pietro avesse lasciata la sua successione.
7. Si tenga presente anche che tutti i documenti della letteratura cristiana primitiva indicano un rapporto strettissimo tra le varie Chiese, sicché non si potrebbe mai ammettere che una questione di carattere universale e fondamentale riscuotesse attenzione solo in una parte, ottenendo dall’altra indifferenza ed avversione.
Per questo l’atteggiamento della scuola di Giovanni ha da sola una forza dirimente.
8. Ma c’è un’altra testimonianza. Viene da Antiochia, la prima città dove Pietro ha esercitato il suo ministero.
Antiochia è stata un centro di irradiazione di tutta la attività apostolica.
Qui ad Antiochia troviamo il vescovo Ignazio, quasi contemporaneo del Cristo e compagno nonché successore di Pietro.
Mentre è trascinato prigioniero alla volta di Roma, egli scrive, tra le altre, una lettera commovente alla Chiesa di questa città allo scopo di dissuadere i cristiani dal tentativo di salvarlo, di risparmiargli il martirio.
Ignazio aveva avuto occasione di scrivere anche ad altre Chiese. Ma mai si esprime con termini di deferenza come nei confronti della Chiesa di Roma.
Ecco per esempio come inizia la lettera che scrive ai cristiani di Magnesia: “Ignazio, o anche Teoforo, alla Chiesa di Magnesia presso il Meandro, benedetta nella grazia di Dio Padre in Cristo Gesù salvatore nostro, nel quale saluto la (stessa) Chiesa, augurando in Dio Padre e Gesù Cristo sovrabbondante salvezza”.
Ecco invece come si indirizza ai Romani: “Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa che ha conseguito misericordia nella magnificenza del Padre altissimo e del suo unigenito Gesù Cristo; alla chiesa prediletta ed illuminata dalla sua volontà che elegge tutte le cose che sono, secondo la carità di Gesù Cristo Dio nostro; la quale (chiesa) inoltre tiene la presidenza nel luogo della regione dei Romani, degna di Dio, degna di onore, degna d’esser predicata beata, degna di lode, degna di esaurimento, degnamente casta e posta a presiedere l’universale accolta della carità (la Chiesa), che porta la legge del Cristo, che è insignita del nome paterno, che io saluto nel nome di Gesù Cristo, figlio del Padre; a coloro che secondo la carne e lo spirito sono adunati ad ogni suo comando inseparabilmente ripieni della grazia di Dio e purificati da ogni eterogeneo colore, (a questi) auguro sovrabbondante ed incontaminata salvezza in Gesù Cristo, Dio nostro”.
9. Non c’è dubbio: la Chiesa romana è per Ignazio, successore di Pietro ad Antiochia, superiore alle altre Chiese.
Il motivo di questa superiorità non è l’essere capitale dell’impero, che neppure nomina. Né è costituito dalle particolari virtù dei Romani, delle quali ugualmente non parla, ma una “magnificenza” divina che in essa si riflette più che nelle altre, un “nome divino” di cui è insignita.
Si tratta di un dono, di una dotazione speciale, di una prerogativa di cui il vecchio vescovo è consapevole provenire da Dio.
Ignazio, che dopo Evodio era successore di Pietro nella Chiesa di Antiochia, rende così testimonianza del primato posseduto dalla Chiesa di Roma.
10. L’animo dimostrato nel testo intero della lettera è perfettamente coerente con l’atteggiamento di riverenza ad una superiorità gerarchica.
A differenza delle altre lettere, ove dà suggerimenti e consigli, che talvolta paiono comandi, dove svolge insegnamenti sia pur con unzione e carità, qui semplicemente supplica.
Sa che la Chiesa di Roma esercita un magistero, anzi un magistero espresso con autorità perchè essa “insegnando impone” (Ai Tralliani, I, 3).
11. Ci possiamo domandare anche che cosa pensassero i vescovi di Roma su questo loro specifico ministero.
Essi erano consapevoli di averlo e lo esercitarono senza che alcuno protestasse o credesse strano ed esagerato un loro intervento.
La lettera del vescovo Clemente romano ai Corinti si può definire una finestra aperta sull’organizzazione giuridica cristiana al primo secolo.
Ricostruiamo il fatto che la provoca e qualcosa del suo contenuto.
La lettera va posta verso il 90 o poco dopo, cioè negli ultimi anni di Domiziano o al principio di Nerva. Precede quindi di qualche lustro la lettera del vecchio Ignazio.
12. Vivente ancora Giovanni l’Evangelista, un’angustiosa questione agita e divide la Chiesa di Corinto.
Di essa non viene investito San Giovanni, l’apostolo prediletto, per quanto topograficamente molto più vicino (dall’altra sponda del Mar Egeo), ma il vescovo di Roma.
Il quale interviene con un’epistola di 65 capitoli, solenne e piena di un senso d’autorità.
La chiesa di Corinto non solo accettò con disciplina gli ordini di Clemente, ma conservò o lesse devotamente per molto tempo quel venerabile documento nelle proprie assemblee liturgiche. Questo ce lo attesta settant’anni dopo il vescovo Dionigi di Corinto in una lettera indirizzata al Papa Sotero e riportata da Eusebio nella sua Storia ecclesiastica.
13. La conclusione è evidente da voci che sorgono in Oriente e in Occidente: i primi due secoli riconobbero nel vescovo di Roma un primato, un’autorità.
Si rimane stupiti come fosse possibile in un secolo di quasi continua persecuzione, con le difficoltà di contatto tra le Chiese, una simile coesione disciplinare.
Il vecchio Policarpo viene a Roma per trattarvi gli affari ecclesiastici dell’Oriente.
Per un motivo analogo viene Ireneo, l’uomo più rappresentativo delle Gallie.
Vi accorre e vi rimane lungamente il più illustre apologeta e filosofo cristiano del tempo, Giustino, seguito dal discepolo suo Taziano.
Con animo ammirativo di pellegrino si spinge a Roma il vescovo della Frigia, Abercio.
14. Come vedi, queste testimonianze sono inoppugnabili.
Non sono leggende. Sono documenti.
Documenti che mostrano che la nostra fede è la stessa fede dei cristiani del primo e del secondo secolo, soprattutto di quelli formati alla scuola dell’apostolo Giovanni.
A presto per la seconda parte della risposta.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo