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Quesito
Caro Padre Angelo,
le scrivo per avere alcuni chiarimenti circa la Celebrazione Eucaristica.
Stamani al momento della professione di fede, il diacono insieme al sacerdote e ai fedeli, hanno recitato la seguente “preghiera” che non è né il Simbolo Niceno-Costantinopolitano né il Simbolo degli apostoli:
Io credo e amo Dio Padre
che ha creato tutele cose
belle del mondo, mi ama,
non mi lascia mai solo
ed è più forte del male.
Io credo e amo Gesù Cristo
il Signore, il figlio di Dio
che per noi è morto e risorto
ci ha dato il suo Vangelo,
ci guida e vive sempre con noi.
Io credo e amo lo Spirito Santo
che ci perdona, ci sostiene
e ci riunisce nella Chiesa
per darci il pane di Gesù.
Io credo nella Chiesa di Gesù
che ci aiuta ad amare gli altri
come fratelli e a camminare
verso la casa del Padre
dove sono i santi. Amen
Le confesso che sono rimasto molto perplesso. Si può fare?
Inoltre al momento dell’offertorio il sacerdote insieme ai fedeli hanno recitato la preghiera per la presentazione dei doni.
Ma non è finita qui, perché il prefazio e la preghiera eucaristica non sono tra quelli che si trovano nell’Ordinamento Generale del Messale Romano. E’ permesso tutto ciò?
Ancora una volta grazie e buon lavoro.
Giuseppe.
Risposta del sacerdote
Caro Giuseppe,
non è permesso niente di tutto questo.
1. Sull’obbedienza ai riti stabiliti dalla Chiesa Giovanni Paolo II si è espresso così: “Il sacerdote come ministro, come celebrante, come colui che presiede all’assemblea eucaristica dei fedeli, deve avere un particolare senso del bene comune della Chiesa, che egli rappresenta mediante il suo ministero, ma al quale deve essere anche subordinato, secondo la retta disciplina della fede. Egli non può considerarsi come proprietario che liberamente disponga del testo liturgico e del sacro rito come di un suo bene peculiare così da dargli uno stile personale e arbitrario. Questo può talvolta sembrare di maggiore effetto, può anche maggiormente corrispondere ad una pietà soggettiva, tuttavia oggettivamente è sempre un tradimento di quell’unione che, soprattutto nel Sacramento dell’unità, deve trovare la propria espressione.
Ogni sacerdote, che offre il santo sacrificio, deve ricordarsi che durante questo sacrificio non è lui soltanto con la sua comunità a pregare, ma prega tutta la Chiesa, esprimendo così, anche con l’uso del testo liturgico approvato, la sua unità spirituale in questo sacramento. Se qualcuno volesse chiamare tale posizione “uniformismo”, ciò comproverebbe soltanto l’ignoranza delle obiettive esigenze dell’unità autentica e sarebbe un sintomo di dannoso individualismo. Questa subordinazione del ministro, del celebrante, al Mysterium, che gli è stato affidato dalla Chiesa per il bene di tutto il popolo di Dio, deve trovare la sua espressione anche nell’osservanza delle esigenze liturgiche relative alla celebrazione del santo sacrificio. Queste esigenze si riferiscono ad esempio all’abito e, in particolare, ai paramenti che indossa il celebrante” (Dominicae cenae, 24.2.1980, n. 12).
2. Un anno prima della morte Giovanni Paolo II ha approvato il documento Redemptionis sacramentum della Congregazione per il culto divino e la Disciplina dei Sacramenti (25 marzo 2004), in cui vengono biasimati gli abusi liturgici.
Ecco, tra l’altro, che cosa è scritto al n. 11:
“Troppo grande è il Mistero dell’Eucaristia «perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale».
Chi al contrario, anche se Sacerdote, agisce così, assecondando proprie inclinazioni, lede la sostanziale unità del rito romano, che va tenacemente salvaguardata, e compie azioni in nessun modo consone con la fame e sete del Dio vivente provate oggi dal popolo, né svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità.
Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento, ma ledono il giusto diritto dei fedeli all’azione liturgica che è espressione della vita della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina.
Inoltre, introducono elementi di deformazione e discordia nella stessa celebrazione eucaristica che, in modo eminente e per sua natura, mira a significare e realizzare mirabilmente la comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio.
Da essi derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo del popolo di Dio e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre: tutti elementi che nel nostro tempo, in cui la vita cristiana risulta spesso particolarmente difficile in ragione del clima di «secolarizzazione», confondono e rattristano notevolmente molti fedeli.
E al n. 12: “Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme.
Allo stesso modo, il popolo cattolico ha il diritto che si celebri per esso in modo integro il sacrificio della santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa.
È, infine, diritto della comunità cattolica che per essa si compia la celebrazione della Santissima Eucaristia in modo tale che appaia come vero sacramento di unità, escludendo completamente ogni genere di difetti e gesti che possano generare divisioni e fazioni nella Chiesa”.
Probabilmente non sarebbe male ricordare con garbo al sacerdote celebrante questi testi, che forse gli sono sfuggiti.
Come vedi, è implicato ben di più di una semplice uniformità ai riti voluti dalla Chiesa.
Ti saluto, ti prometto una preghiera e ti benedico.
Padre Angelo