Questo articolo è disponibile anche in: Italiano
Quesito
Caro padre Angelo,
Secondo l’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco quello alla proprietà privata non è un diritto naturale originario ma è uno strumento per la realizzazione del diritto alla destinazione universale dei beni.
Nel paragrafo 120 dell’enciclica si dicono quattro cose:
1) la proprietà privata non è un diritto assoluto
2) la proprietà privata ha una funzione sociale
3) «Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale”, è un diritto naturale, originario e prioritario»
4) «Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati».
La prima affermazione è vera (…):.
La seconda affermazione è in sé vera ma può venire equivocata (…). Il contesto del paragrafo 120 in cui essa è inserita può essere causa di questi equivoci. La proprietà privata è sociale di per sé e non quando viene limitata artificialmente dal potere politico pensando in questo modo di renderla più sociale. La funzione sociale della proprietà privata non legittima un fisco esoso, interventi indebiti del pubblico nell’economia, normative paralizzanti la libertà economica. La proprietà privata è sociale perché è spazio di libertà, è espressione del lavoro, protegge la famiglia, unisce le generazioni, produce ricchezza e così via. In altre parole non bisogna essere socialisti per valorizzare la dimensione sociale della proprietà privata.
La terza affermazione: (…). Decisamente non accettabile, invece, è che quello alla destinazione universale dei beni sia un “diritto naturale, originario e prioritario”.
Per questo motivo risulta inaccettabile la quarta affermazione: «Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati». Qui si dice apertamente che quello alla proprietà privata è un diritto “secondario e derivato”, mentre per Leone XII era un diritto naturale e perfetto. Del resto, come può un diritto essere naturale e nello stesso tempo derivato? Se è naturale vuol dire che è contenuto nella stessa natura umana. (…).
Leone XIII nella Rerum novarum insegnava che la proprietà privata è «vero e perfetto diritto», è un «diritto naturale», in quanto «conforme alla natura» umana e «non si oppone per nulla» al principio della destinazione universale dei beni «poiché quel dono egli lo fece a tutti, non perché ognuno ne avesse un comune e promiscuo dominio, bensì in quanto non assegnò nessuna parte del suolo determinatamente ad alcuno, lasciando ciò all’industria degli uomini e al diritto speciale dei popoli».
È molto difficile fare andare d’accordo questo passo della Rerum novarum con il paragrafo 120 della Fratelli tutti.
Ringraziandola, mi scuso ancora per la lungaggine
don …
Risposta del sacerdote
Carissimo don.,
1. l’appunto che tu faresti all’insegnamento di Papa Francesco sarebbe questo: che la proprietà privata non può essere definita semplicemente come un diritto secondario e derivato.
Forse non ci si intende sufficientemente sul significato dei termini delle parole, ma le parole di Papa Francesco sono precise.
2. Perché il diritto alla proprietà privata è un diritto derivato?
Per il medesimo motivo per cui a suo tempo Leone XIII l’ha difesa: il lavoro trasforma i beni e chi lavora ci mette del suo, sicché il bene lavorato non è più come quello di prima. La proprietà privata, allora, è una risultante del lavoro e non è altra cosa che il frutto del lavoro.
In altre parole è un diritto derivato dal lavoro.
3. Ecco le testuali parole dell’enciclica Rerum novarum di Leone XIII:
“Così evidenti sono tali ragioni che non si sa capire come abbiano potuto trovare dei contraddittori in alcuni, che, rinfrescando viete utopie, concedono bensì all’uomo l’uso del suolo ed i vari frutti dei campi; ma del suolo, ove egli ha fabbricato, e del campo che ha coltivato, gli negano la proprietà.
Non si accorgono costoro che in questa guisa vengono a defraudare l’uomo degli effetti del suo lavoro.
Poiché il campo dissodato dalla mano e dall’arte del coltivatore non è più quel di prima: da silvestre è divenuto fruttifero, da sterile ferace. Questi miglioramenti prendono siffattamente corpo in quel terreno, che la maggior parte ne sono inseparabili. Or che giustizia sarebbe questa, che un altro il quale non l’ha lavorato, subentrasse a goderne i frutti? Come l’effetto appartiene alla sua causa, così il frutto del lavoro deve appartenere a chi lavora.
A ragione pertanto il genere umano, senza punto curarsi dei pochi contraddittori, e con l’occhio alla legge di natura, trova in questa medesima legge il fondamento della divisione dei beni, e riconoscendo che la proprietà privata è sommamente confacente alla natura dell’uomo e alla pacifica convivenza sociale, l’ha solennemente sancita mediante la pratica di tutti i secoli” (RN 4).
4. Leone XIII rivendica e difende con forza il diritto naturale di proprietà contro chi affermava (i marxisti) che la proprietà privata è essenzialmente un furto.
5. Tuttavia si tratta di un diritto inscritto all’interno di un altro diritto, più grande, che è quello della destinazione universale dei beni. A questo diritto la proprietà privata deve essere subordinato. Diversamente viene posseduto in maniera aliena dalla volontà del Creatore.
Viene detto secondario non già perché non sia un diritto naturale e non sia di particolare importanza, ma perché è subordinato al bene comune.
6. In questo senso ne parla Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno del 1931: “Pertanto occorre guardarsi dall’urtare contro un doppio scoglio. Giacché, come negando o affievolendo il carattere sociale e pubblico del diritto di proprietà si cade e si rasenta il cosiddetto individualismo, così respingendo o attenuando il carattere privato e individuale del medesimo diritto, necessariamente si precipita nel collettivismo o almeno si sconfina verso le sue teorie.
E chi non tenga presenti queste considerazioni va logicamente a naufragare negli scogli del modernismo morale, giuridico e sociale. E di ciò si persuadano coloro specialmente che, amanti delle novità, non si peritano d’incolpare la Chiesa con vituperose calunnie, quasi abbia permesso che nella dottrina dei teologi s’infiltrasse il concetto pagano della proprietà, al quale bisognerebbe assolutamente sostituire un altro che, con strana ignoranza essi chiamano cristiano” (QA 19).
7. Sulla medesima linea si esprime il Concilio ecumenico Vaticano II, nella Gaudium et Spes: “Poiché la proprietà e le altre forme di potere privato sui beni esteriori contribuiscono alla espressione della persona, e inoltre danno occasione all’uomo di esercitare il suo responsabile apporto nella società e nell’economia, è di grande interesse favorire l’accesso a tutti, individualmente o in gruppo, ad un certo potere sui beni esterni.
La proprietà privata o qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona indispensabile di autonomia personale e familiare, e devono considerarsi come un prolungamento necessario della libertà umana. Infine, stimolando l’esercizio della responsabilità, costituiscono una delle condizioni delle libertà civili.
Ogni proprietà privata ha per sua natura una funzione sociale, che si fonda sulla comune destinazione dei beni. Se si trascura questo carattere sociale, la proprietà può diventare frequente occasione di cupidigia e di gravi disordini, così da offrire facile pretesto agli oppositori per mettere in discussione lo stesso diritto di proprietà” (GS 71).
8. Giovanni Paolo II nella enciclica Laborem exercens, del 1981, si esprime nella medesima linea: “La tradizione cristiana non ha mai sostenuto questo diritto come un qualcosa di assoluto e di intoccabile. Al contrario, essa l’ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni della creazione intera: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni…
La proprietà si acquista prima di tutto mediante il lavoro perché essa serva al lavoro. Ciò riguarda in modo particolare la proprietà dei mezzi di produzione….
Essi non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere, perché l’unico titolo legittimo al loro possesso – e ciò sia nella forma della proprietà privata sia in quella della proprietà pubblica o collettiva – è che essi servano al lavoro; e che, conseguentemente, servendo al lavoro, rendano possibile la realizzazione del primo principio di quell’ordine che è la destinazione universale dei beni e il diritto al loro uso comune” (LE 14).
9. Nell’enciclicaCentesimus annus, del 1991, dice la stessa cosa: “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. È qui la radice dell’universale destinazione dei beni della terra
Questa, in ragione della sua stessa fecondità e capacità di soddisfare i bisogni dell’uomo, è il primo dono di Dio per il sostentamento della vita umana. Ora, la terra non dona i suoi frutti senza una peculiare risposta dell’uomo al dono di Dio, cioè senza il lavoro: è mediante il lavoro che l’uomo, usando la sua intelligenza e la sua libertà, riesce a dominarla e ne fa la sua degna dimora. In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. È qui l’origine della proprietà individuale” (CA 31).
10. Come si può vedere, l’insegnamento di Papa Francesco è l’insegnamento costante della Chiesa.
Mentre ti auguro un secondo ministero nella vigna del signore, ti assicuro la mia preghiera.
Padre Angelo