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Quesito
Caro Padre Angelo,
sono piuttosto anziano, ho fede convinta e prima di andarmene vorrei sottoporLe ugualmente un interrogativo inquietante che mi "perseguita" da tanto tempo. Dio ha concesso all’uomo il libero arbitrio, cioè la libertà di scegliere se credere o non credere alla Sua esistenza.. Il credere, sperabilmente, presume scelte comportamentali di vita gradite a Dio, con relativo "premio finale". Il non credere non è detto comporti necessariamente scelte peccaminose. Conosco, come tutti, moltissime persone non credenti o non praticanti, tuttavia gran brave persone, e non è scontato, poiché proprio convinte, possano prima di morire cambiare opinione. Ora, queste saranno irrimediabilmente punite (e che punizione spaventosa, inaudita, spropositata !! ….. S. Faustina Kowalska nelle sue visioni dell’inferno – diario pag. 277: " una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno").
Dove finisce a questo punto la presunta liberalità della scelta?
Dio è celato e per giungere a Lui e credere profondamente in Lui non è cosa da poco e neanche da tutti, malgrado l’aiuto delle Sacre Scritture. Mi sembra (Dio mi perdoni) un atteggiamento improprio, seguendo la logica comune di giustizia di cui umanamente disponiamo e che Lui ci ha inculcato.
Che poi le Sue logiche siano estremamente diverse (e lo sono senz’altro viste le atrocità dell’inferno rispetto alla colpa conseguita da un ineffettivo – o malinteso? – libero arbitrio), non pensa Lei Padre il tutto sproporzionato?
Perdoni anche Lei Padre Angelo tanta impertinenza.
La riverisco molto.
Tristano
Risposta del sacerdote
Carissimo Tristano,
1. l’errore nella tua mail è nelle premesse e più precisamente in un errato concetto di libertà.
Ecco la premessa non corretta: “Dio ha concesso all’uomo il libero arbitrio, cioè la libertà di scegliere se credere o non credere alla Sua esistenza.
2. Certamente, come rileva il Concilio Vaticano II, “la libertà nell’uomo è segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle lasciare l’uomo “in mano al suo consiglio” (Sir 15,14) così che egli cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con l’adesione a Lui, alla piena e beata perfezione” (GS 17).
3. Ed è anche vero ciò che dice San Tommaso: “L’uomo è simile a Dio non per il corpo, ma per l’anima, che ha la volontà libera e incorruttibile” (Expositio in Symbolum Apostolorum) e che per la libertà egli è “causa sui” (Somma teologica, I, 14,1), “principio delle sue opere… e potestativo sulle proprie azioni” (Ib., I-II, prol ).
Ma il medesimo san Tommaso ricorda chela libertà “non è portata al bene e al male alla stessa maniera: perché la tendenza al bene è assoluta e naturale; quella invece al male è un difetto, e contro l’ordine della natura” (Ib., III, 34, 3, ad 1).
Si comprende allora come mai il Magistero della Chiesa in un documento sulla teologia della liberazione dica che “quando l’uomo vuole liberarsi dalla legge morale e si rende indipendente da Dio, invece di conquistare la libertà, la annienta” (Istruzione Libertatis conscientia, 19).
4. Ciò significa che l’uomo in forza della sua libertà non può fare quello che vuole. Ad esempio, non può ammazzare, né rubare, né dire che due più due facciano cinque.
La libertà gli è stata data perché possa fare elettivamente e cioè responsabilmente e pertanto con amore e con merito il proprio dovere.
C’è un legame intrinseco tra libertà e verità.
Non siamo liberi di fare il male. Non dobbiamo farlo in nessun modo. È proibito farlo.
Compierlo è un abuso della libertà, che non ci è stata data per questo.
5. Siamo liberi invece nel fare il bene, nel decidere come, quando e con quale intensità compierlo.
Inoltre ci sono delle realtà che ci precedono e che non sono in nostro potere. Sicché sì, l’uomo è libero, ma nonostante la sua libertà quante cose gli si impongono e non è libero di sceglierle.
Gli si impone la propria natura di essere persona anziché un semplice animale.
Gli si impone di essere dotato di un corpo regolato da leggi perfettissime dalle quali non può derogare pena la sua sofferenza e anche la sua morte.
Gli si impone di essere razionale e libero!
Gli si impone la presenza degli altri con la loro storia.
Gli si impone il creato con le leggi che lo regolano, con la varietà dei suoi elementi, riflesso meraviglioso della perfezione del suo Autore.
Gli si impone la presenza di Dio: “poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro” (Rm 1,19).
E il motivo è chiaro: “Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.
Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa” (Rm 1,20).
“Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore” (Sap 13,5).
6. Non che l’esistenza di Dio sia evidente. Ma non è difficile riconoscerla.
“Le opere da lui compiute” ci rimandano continuamente alla sua presenza tanto che il grande sant’Agostino diceva: “E cielo e terra e tutte le creature in essi d’ogni parte mi dicono di amarti e non cessano di dirlo a tutti affinché “siano senza scusa” (Rm 1,20)” (Confessioni, X, 6, 8).
7. Pertanto non riconoscere la presenza di Dio – a meno che uno non vi sia ancora giunto per un difetto di ragionamento o per qualche blocco di ordine psichico – è un peccato oppure è sintomo di un peccato, di un ottenebramento che non è scusabile.
Scrive San Tommaso a questo proposito: “L’ignoranza scusa la colpa quando procede causando la colpa, non quando è causata da essa. Come quando qualcuno, applicata la dovuta attenzione, percuote il padre mentre crede di percuotere il nemico.
Ma se l’ignoranza è causata dalla colpa non può la stessa ignoranza scusare la colpa che segue.
Perciò se qualcuno commette un omicidio a causa dell’ebrietà non viene scusato dalla colpa, perché ubriacandosi ha peccato” (Commento a Rm 1,20).
8. Per questo san Tommaso afferma che “l’esistenza di Dio ed altre verità che riguardano Dio si possono conoscere con la ragione naturale” (Somma teologica, I, 2, 2, ad 1).
Queste “non sono verità di fede, ma preliminari alla fede” (Ib.).
Tutti sono chiamati a prenderne possesso perché Dio, dalle opere da Lui compiute, si è reso manifesto.
9. Certo, tale conoscenza non ci fa comprendere in maniera chiara chi sia Dio, ma conduce con certezza e chiarezza alla sua esistenza.
Dice ancora san Tommaso: “Da effetti non proporzionati alla causa non si può avere di questa una cognizione perfetta; tuttavia da qualsiasi effetto noi possiamo avere la chiara dimostrazione che la causa esiste.
E così dagli effetti di Dio si può dimostrare che Dio esiste, sebbene non si possa avere per mezzo di essi una conoscenza perfetta della sua essenza” (Ib., ad 3).
10. Arrivati a questo punto, riconosciuta l’esistenza di Dio e delle sue perfezioni, come non riconoscerlo autore del nostro essere ed esprimergli la nostra gratitudine di essere passati dal nulla ad esistere per sempre e di tutti gli altri doni?
La conclusione dell’esistenza di Dio porta di per sé a dargli culto e si dice insieme con Davide: “Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?” (Sal 116,12).
11. Giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica evitando quel comune linguaggio antropomorfico per cui si dice: “Dio ti manda all’inferno” ne usa un altro, più comprensibile e più vero: “Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio (che è quanto dire: rifiutando esplicitamente o implicitamente la sua comunione e la sua amicizia, n.d.r.), significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta.
Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola «inferno»" (CCC 1033).
12. Un grande domenicano francese, il p. A. Sertillanges, ha scritto: Se Dio è Dio, è un agente di felicità.
Egli struttura tutte le cose in vista della felicità.
Ma l’ordine che stabilisce non sarebbe un ordine morale se si potesse essere felici allontanandosi dal bene” (Catechismo per i non credenti, ESD, p. 341).
13. “Dio è celato” mi scrivi.
Sì, è celato dietro le creature che nello stesso tempo lo nascondono e lo rivelano.
Soprattutto è celato nell’intimo dell’uomo, nella sua coscienza. Ma proprio lì continua a bussare, a parlare, a chiamare.
Lo fa con tutti e continuamente.
Se la coscienza rimane limpida si sente facilmente questa voce, proprio come scrive il Concilio Vaticano II in una pagina mirabile della Gaudium et spes: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa questo, fuggi quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato.
La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo” (GS 16).
14. Il p. A. Sertillanges ha detto: Se Dio è Dio, è un agente di felicità.
A me piace parafrase e dire: Se Dio è Dio, è un agente di amore, di comunione, di vita.
Rifiutarlo significa sottoscrivere autoescludersi dalla comunione, dalla vita, dalla felicità. L’inferno è questo.
Ti auguro di permanere sempre in questa comunione, che è il tuo e il comune paradiso.
Per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo